Palazzo Civran a San Giovanni Grisostomo

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1949
Palazzo Civran a San Giovanni Grisostomo. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Civran a San Giovanni Grisostomo

Nell’ area, ove s’innalza questo palazzo, non lungi dal ponte di Rialto, e di fronte alle fabbriche vecchie del Sansovino, il Maggior Consiglio aveva stabilita, secondo i cronisti, la panatteria e la frutteria, e con raro esempio di munificenza, il Senato regalava il fondo, dalla parte opposta dell’erberia, che allora sussisteva da un secolo, acciò sorgesse questo edificio. Ciò fu nell’anno 1355, ben nefasto per la Repubblica, segnando il fatto della cospirazione di Marin Falier, Doge traditore. Mancando in gran parte i disegni delle opere dei primi secoli, non si può avere un’idea dell’architettura, che si vedeva nell’area di questa fabbrica. Sarà stata per avventura di stile gotico-moresco, come può convenire chi getta uno sguardo ad alcuni rimasugli in un cortile interno e alla forma sontuosa degli ornati. Oggidì appare di forma moderna, nè senza qualche leggiadria il prospetto, di semplice architettura. Svelto è l’arco della riva d’approdo; sembrerebbe però meglio adatto ad edificio più vasto. La faccia è a bozze squadrate di marmo, dal basamento al poggiolo, che per Io largo incorona il primo ordine, con balaustrate alle colonnelle. Il finestrone di mezzo, arcuato nel primo ordine, con decorazioni, corrisponde alla riva sottoposta, parimenti ornata superiormente. Le finestre di ambi gli ordini si vedono adorne di frontone triangolare. Nel secondo piano nessun balcone manca di poggiolo; una cornice dorica chiude di sopra l’armonia dell’insieme. Risulterebbe, che lo stile fosse quello a un dipresso del palazzo Grassi e del terzo ordine del palazzo Rezzonico; opere del Massari.

L’ ingresso, dalla parte di terra, un po’ angusto, introduce ad un atrio, d’altronde spazioso. Le gradinate, a più rami, sono magnifiche, decorate di un rivestimento generale di pilastri a disegno, che degradano poi negli ultimi rami, coi terrazzi incrostati di marmi a colori. Un tempo era vastissima la gran sala, ma oggidì si converse in parecchie capaci stanze. L’arcata d’ingresso risponde alla splendidezza dell’insieme, è tutta di pietra d’Istria, fino al zoccolo o piedestallo, con colonne di marmo veronese venato, e capitelli di ordine composito, con fregio alla cornice, pure incrostata di marmo veronese nericcio. Altre porte di marmo sono sparse nelle stanze, e si trovano sulle scale, che danno accesso agli ammezzati. Vi ha qualche soffitto pregevole, con fregio all’ intorno, sostenuto, ai lati dei riquadri, da graziosi termini, questi per altro bizzarramente imbiancati. In altra stanza il fregio è di legno intagliato, con dorature, e colle stesse decorazioni di termini, che fanno l’ufficio di cariatidi dorate, e anche le travature si scorgono dorate, con sfarzo, ed a bel disegno, di carattere Sansovinesco.

Si fondava questo palazzo dai patrizi Civran, di provenienza dalla Cervia, il primo recatosi sulle lagune essendo stato quel Paolo, che capitanò le truppe, da cui furono conquisi con gran valore i francesi. Ammessi alla serrata del gran Consiglio, si distinsero Ubaldo, senatore e legato a parecchie Corti, e tre volte agli Imperatori di Oriente, Pietro, Provveditore generale dell’esercito contro Zara che vinse il re d’Ungheria, calato con trentamila prodi in difesa della piazza combattuta, onde seguiva per suo merito la resa alle armi della Repubblica. È di lui quel sarcofago nell’andito verso la sagrestia della chiesa di San Giorgio Maggiore, che malamente il Sansovino attribuiva a Sebastiano Ziani; e meritò fede sino a dì nostri, che il cavaliere Cicogna ne rilevava l’errore.

Un Bertucci, capitano nel golfo, fu procuratore e generale di terra nel 1355; un altro Pietro, generale in Dalmazia, e ambasciatore a Costantinopoli, era utile alla patria, per assennato consiglio e per avvedutezza politica. Altro Bertucci, governatore di Galeazza, batteva nel porto di Focchie gli Ottomani; e un Andrea, nel 1511 provveditore delle milizie albanesi nell’Istria, salvava la terra di Muggia, rotta guerra a Cristoforo Frangipane, capitano imperiale, e come generale provveditore in terra ferma, e represse le forze degli Ungari e degli Ottomani, coll’espugnazione di Crema. Per imprese cosi segnalate, anzi eroiche, il Senato retribuiva il prode benemerito di 180 scudi di provvigione all’anno, insieme ai figli, sulla Cassa dell’ufficio del sale.

All’illustre guerriero cittadino è sacra l’urna di marmo, di assai vago disegno, nella chiesa di Santa Maria del Carmine, ove i Civran avevano le tombe loro, poiché nel campo si innalzava un altro palazzo dominicale, ora distrutto, sul prospetto del quale, dalla parte del rivo, una figura scolpita, che il tempo anneriva, diede motivo alla volgar tradizione, che fosse un moro, e che il palazzo appartenesse ad Otello. Giova però, a troppo necessaria dilucidazione, avvertire, che quella figura è inconcludente abbastanza, non essendo che un porta insegne, come si vede dal cervo, che sta in piedi sullo scudo, colle corna ramose, ed è lo stemma della casa; la quale si diceva Casa dei cacciatori, perché nell’atrio erano sparsi dei cervi; insegna appunto della famiglia. Una simile scultura, cioè un simile porta insegne, si vede nel prospetto del palazzo, che era di Giovanni Matteo Bembo, in campo a Santa Maria Nova. Fu quindi ben ridicola l’idea di chi demoliva l’antica fabbrica, e vi surrogava il nuovo attuale casamento, di ricollocare nel muro, sul rivo, quella scultura. Certamente il buon uomo credette di conservare una preziosità, anzi di rendere un grande, un importante servigio alla storia, e poco men che alla patria.

Nell’atrio di questo palazzo sta ancora uno stemma grandioso in legno, rappresentante un cervo che fugge, e si conserva dall’attuale proprietario, quasi per quella specie di religioso culto, che ormai si consacra, con onore di Venezia, alla tradizione delle antiche sue glorie. Fu primo a darne l’esempio l’onorevole sig. Stefano Mengotto, che acquistò un tempo una gran parte dell’edificio, e postovi amore, lo ristorava massime nel prospetto, con quell’illuminato buon gusto, che anche in tal genere di opere lo distingue. Una porzione della fabbrica, per ragione di parentela coi Civran, fu lunga pezza proprietà dell’ottimo cavaliere Girolamo Bollani di Santa Marina. Ora possiede per intero il palazzo il dottore chiarissimo Isacco Pesaro Maurogonato. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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