Chiesa e Monastero di San Stefano

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Chiesa di San Stefano - San Marco

Chiesa e Monastero di San Stefano. Monastero di Frati Eremitani Agostiniani. Monastero secolarizzato

Storia della chiesa e del monastero

Riusciva ai religiosi eremitani dell’ordine di Sant’Agostino troppo incomodo per gli esercizi del loro caritatevole zelo il Monastero di Sant’Anna da essi fondato in un remotissimo angolo della città, come pure difficile riusciva, il concorrervi con frequenza del popolo. Avuta dunque l’opportunità di trovar case e sito nel mezzo della città, ove ergere un nuovo monastero, cedettero coll‘assenso di Bartolommeo Querini; di questo nome II, vescovo di Castello la chiesa, e fabbriche annesse di Sant’Anna ad un numero di religiose, che ivi professar volevano la regola di San Benedetto, ed essi si ritirarono a vivere religiosamente in alcune case nella parrocchia di Sant’Angelo, già da loro acquistate nell’anno 1274 ad oggetto di fabbricarvi un nuovo monastero. Stabilirono fino dai principi di dedicare il monastero, e la chiesa al nome del Protomartire Santo Stefano. Che però si leggono chiamati Frati Eremitani di Santo Stefano in documenti dell’anno 1297, cioè qualche anno prima dell’erezione della chiesa, la di cui prima pietra benedisse nel giorno 7 di giugno dell’anno 1294 il già menzionato vescovo di Castello Querini. Collocata poi nei fondamenti la pietra già benedetta, e celebrato ivi il divino sacrificio protestò il vescovo così a nome suo, che del piovano e clero della parrocchiale di Sant’Angelo, aver essi dato la permissione, ed assenso all’intraprese fabbriche senza pregiudizio della vescovile e parrocchiale giurisdizione, il che tosto venne confermato dal provinciale e padri dell’ordine ivi presenti. La scarsezza dei documenti altro non ci lascia sapere dei principi di quest’illustre monastero, da cui oltre altri cospicui soggetti sortirono tre, i quali poi collocati furono nella suprema dignità del loro ordine. Il primo di questi fu Bartolommeo da Venezia, che nell’anno 1387, essendo generale della religione fu per il merito di sua dottrina nominato dal senato veneto al patriarcato vacante Gradese; ma il pontefice Urbano Vi temendo, che per la di lui mancanza ne derivassero all’ordine gravi sconcerti, destinò alla sede patriarcale Pietro Ameli francese della stessa Agostiniana famiglia. L’altro è Pietro Niccoletti, nativo di Cividale di Friuli, e figlio del convento di Santo Stefano, dichiarato da Gregorio XII nell’anno 1412 generale dell’ordine; alla quale dignità egli però rinunziò poco dopo. Il terzo finalmente fu Gabriel Avolta veneziano, che nel capitolo generale di mille e cento religiosi tenuto in questo convento alla presenza del cardinal Egidio, figlio, e protettore dell’ordine, fu dichiarato a pieni voti nel giorno 11 di giugno dell’anno 1519, padre e priore generale di tutta la famiglia agostiniana.

Per dar una particolar testimonianza di stima alla rara dottrina, per cui era famoso in tutta l’Europa Paolo Veneto agostiniano, concesse il senato veneto nell’anno 1417 così ad esso, che a tutti religiosi del Monastero di Santo Stefano, il poter usare della beretta solita portarsi dai patrizi; la quale consuetudine essendo durata per molto tempo fra essi, pensarono poi essere più convenevole alla moderazione religiosa il mutarla nella beretta, di cui si servono i sacerdoti secolari. Nell’anno poi 1443 fu per concessione apostolica annessa a questo monastero la cadente chiesa di Santa Maria degli Angeli, vicina al Castello di Sacile, insieme con le tenui sue rendite, delle quali a nome del suo convento di Santo Stefano prese il possesso Giovanni Rubini Veneto, poi dichiarato vescovo Limosiense, e amoroso benefattore del suo monastero, a cui ancora vivente assegno in libera donazione quanto egli possedeva. Oltre il sopra lodato Giovanni Rubini furono tratti da questi chiostri altri personaggi per innalzarli alla dignità vescovile; cioè Niccolò vescovo dell’Isola di Scarpanto che consacrò la chiesa di Santa Maria dei Servi in Venezia; Giovanni Morosini eletto nell’anno 1344 vescovo d’Emonia, ossia città nuova nell’Istria; Antonio di San Canziano veneto, fatto nell’anno 1396 vescovo di Dionisiopoli nella Misia inferiore; Donato da Murano nell’anno 1403 vescovo di Cittanova nelle Lagune Venete; Pietro vescovo Vadiense nell’anno 1415 e Paolo Ciera vescovo vestano.

Riposa (come si ha per tradizione) in questa chiesa il corpo del Beato Rossemblante religioso agostiniano; e in essa pure onorevolmente si conservano una porzione dell’osso del braccio del Santo protomartire titolare, e quattro teste dei Santi diecimila martiri crocifissi, ed altre reliquie dei santi collocate nell’altare della sacristia.

Condusse vita anacoretica nei chiostri di questo monastero per molti anni Paolo famoso corsaro di Candia, il quale dovendo per suoi misfatti finire la vita con un laccio, liberato per divina misericordia dalla meritata morte, si diede ad austerissima penitenza, vegliando gran parte della notte nella contemplazione delle verità eterne fra i cadaveri dei defunti nelle sepolture, ed orando il giorno genuflesso e piangente avanti una divora immagine del crocifisso, che (come è certa tradizione) piegò una volta il venerabile suo capo a consolazione del ravveduto penitente. Sparsa la fama di tal prodigio per la città, fu ad onore della sacra immagine nei chiostri stessi disposta un’onorevole cappella, e vi fu poi istituita una devota confraternita di qualificate persone.

Morì santamente Paolo nell’anno del Signore 1491 e fu sepolto nella chiesa di Santo Stefano in luogo ora sconosciuto. In questa stessa chiesa ebbero sepoltura Andrea Contarini, e Francesco Morosini, celebri dogi di Venezia, e Beltrando di Tolosa cardinale legato apostolico nella Germania.(1)

Visita della chiesa (1839)

Quanto al corpo generale della chiesa diviso in tre navate è tale oggidì quale dapprima venne fondato. Ebbe l’incominciamento nel 1294 e la fine nel 1325; e se alcune interne modificazioni non si fossero introdotte più per il capriccio di seguire il vario genere dei gusti corsi da quell’epoca in fino ai noi che per il bisogno che ne fosse, noi la vedremmo tuttavia tanto semplice negli ornamenti suoi quanto lo è l’architettura tedesca sulla quale è modellata.

Al destro lato di chi entra, e precisamente presso il primo altare, si trovano vari monumenti. Il primo viene formato da un intercolunnio posato sopra un basamento, e sotto all’intercolunnio c’è un’urna sulla quale sta collocato il busto del senatore Antonio di Francesco Zorzi morto nel 1588: il secondo consiste in una urna ad Antonio di Antonio Marcello morto nel 1555 dopo essere stato podestà di Brescia; il terzo mostra il busto del medico Pietro Porta, morto di 38, anni nel 1614. Tiene dietro a quest’ultimo monumento un’iscrizione in versi elegiaci al generale Jacopo del Verme; finalmente un altro monumento eretto a Grazioso Grazioli giureconsulto d’Ancona morto di 26 anni nel 1558, e, quanto all’architettura, conforme al tutto a quello primo già descritto di Antonio Zorzi.

La palla del primo altare è opera bene immaginata, condotta con la più castigata correzione di disegno, e con buon sapore di tinte da Nicolò Bambini non appena tornato dagli studi di Roma. Giuseppe Angeli fece la tavola del secondo altare coi Santi Luigi Gonzaga, Antonio di Padova ed Antonio abate. Ci sarà manierismo, ma la disposizione totale è sapiente.

Viene l’organo opera grandiosa di Pietro Nachini comunque dissuoni dalla semplicità originaria di tutta la chiesa Jacopo Marieschi dipinse nel terzo altare la pala con Nostra Donna concetta; e nell’ultimo altare Giustino Menescardi fece quella di Sant’Agostino vestito con gli abiti agostiniani in atto di conculcar le eresie. Non si possono qui negare le esagerazioni e nel disegno e nel giuoco della luce; ma l’effetto, la scelta dei contrapposti onde raggiungere l’effetto stesso chi potrebbe negarli in questa pala?

Di qui per magnifica porta si passa nella sagrestia. L’elegante altare ha un Cristo di sommo effetto ed ai lati due buone statue di Pietro Lombardo. Sante Peranda dipingeva sopra l’altare un gran quadro col martirio di San Stefano; ma come non mai contento dell’opera sua annullava tratto tratto ciò che prima aveva eseguito, quindi cogliendolo la morte nel 1638, prima che avesse compiuto il lavoro rimase il quadro imperfetto.

In una gran tela Gaspare Diziani dipingeva la strage degli innocenti: immaginazione, partito certo qui campeggiano; ma il soverchio desiderio del gusto trasse Diziani alle esagerazioni che ognuno rileva contemplando questa tela.

Tornando in chiesa si trova appeso alla parete il busto del giureconsulto Lazzaro Ferri morto nel 1692. Nella cappella laterale alla maggiore si è trasferito dalla soppressa chiesa di Sant’Angelo l’altare del Sacramento. Sono di Giulio dal Moro le tre statue rappresentanti il Redentore, i due angeli ed il basso-rilievo con Cristo sostenuto da un angelo. I due candelabri di bronzo, ora collocati innanzi a questa cappella, sono opera del secolo XVI.

Per due balaustrate sulle quali è scolpito: Magister fr. Augustinus Corneanus U. exprov. pos. a. 1712, si entra nella cappella maggiore. Attribuiscono alcuni a Girolamo Campagna il magnifico e semplice altare ad un tempo. È di un gusto diverso al resto della chiesa; ma pure colla semplicità delle sue linee assai vi si associa. Le tre arcate onde è formato, lasciando travedere la parte posteriore del coro, rendono un grande effetto. Nel parapetto della mensa con intarsiate pietre venne espresso da Giovanni Ferri il martirio di San Stefano, e, sulla anteriore facciata dei piedistalli delle colonne sostenenti l’altare, altre intarsiature pur sono con pregiati arabeschi, mentre nella facciata interiore hanno quei piedistalli gustose pitture sulla lavagna assai però pregiudicate dal tempo. Rappresentano esse il giudizio di Salomone, il martirio di San Sebastiano, l‘adorazione dei Pastori ed il riposo in Egitto.

Con i marmi che formavano il parapetto del coro dividente trasversalmente questa chiesa si adornarono nel secolo XVII le pareti di questa cappella maggiore. Sopra le cornici posano 12 grandi statue di marmo attribuite a Vittore Camello volgarmente detto Gamello; mentre tra i cinque intercolunni che sono dall’una e dall’altra parte si vedono in bassi rilievi gli evangelisti ed altri santi. Somma semplicità è qui in tutto. Dietro l’altare vogliono essere osservati i sedili i quali stavano a ridosso del detto parapetto del coro quando divideva la chiesa; ma tolto esso di là i sedili si disposero con buon accorgimento in questa parte posteriore dell’altare.

La tavola dell’altare della cappella vicina è formata di due quadri. Il superiore è di Jacopo Palma il vecchio, e quantunque male si veda per lo scarso lume pur si conosce essere della miglior maniera di quell’autore. Dalla parte sinistra di questa cappella vi sono due urne. L’una, la inferiore, accoglie le ossa del senatore Marino Zorzi oratore, filosofo e delle arti studioso, morto di 66 anni nel 1532, e la superiore contiene quella di Giovanni Boldù morto in fresca età nel 1537. In faccia a queste due urne c’è il bel deposito del celebre giureconsulto Giambattista Ferretti di Vicenza morto nel 1557; deposito attribuito a Michele Sammicheli e veramente degno che altri lo imiti.

Da questa cappella si passa all’altra del battistero che per una porta mette nel chiostro. Sulla pila battesimale di pietra del paragone, già appartenente all’ antica chiesa parrocchiale di Sant’Angelo, si scorge la statua del Battista di Giulio dal Moro, mentre si riconosce della scuola di Paris Borbone la tavola dell’altare col battesimo di Nostro Signore.

Tornando in chiesa per compierne il giro, si osserverà nell’alto della parete una statua antica rappresentante Sant’Antonio di Padova e dopo s’incontrerà una magnifica porta sulla quale si pose la statua del generale Bartolommeo Alviano morto nel 1515: statua che venne qui trasferita nel 1742, perché in altro sito era collocata.

Nel primo seguente altare Girolamo Brusaferro fece una leggiadra pittura esprimente Nostra Donna ed i Santi Pietro, Foca e Marco. Nel secondo altare c’è una delle opere migliori di Antonio Foler col martirio di San Stefano; nel terzo altare, trascurando la moderna tavola di Nostra Donna incoronata, si possono osservare piuttosto le due statue di Pietro Lombardo raffiguranti tutte e due San Girolamo in vario atteggiamento. Nel quarto altare è di Gregorio Lazzarini la tavola di San Michele, e nel quinto altare finalmente Leonardo Corona, proponendosi a modello la maniera tizianesca, fece Maria Vergine che ascende al cielo col rosario, stando vari santi ad osservarla.

Quivi presso è degno di considerazione un basso-rilievo in bronzo che già servi di tavola ad un altare eretto dal medico Jacopo Suriani riminese assai celebrato ai suoi giorni. Questo pezzo pregevole offre Nostra Donna col bambino, ed ai lati i due apostoli Jacopo maggiore e Jacopo minore, insieme a due devoti. Vicino a questo pezzo sta sopra due grifoni l’urna sepolcrale dello stesso medico Suriani morto nel 1551: urna di molto buon gusto e degna divenire posta a modello.

La porta maggiore è occupata da un magnifico monumento colla statua equestre del generale Domenico Contarini morto nel 1650, ed accanto il busto di Angelo nipote di lui che corse la carriera civile nelle più nobili magistrature e morì nel 1657. In mezzo alla chiesa vi ha la tomba finalmente di Francesco Morosini morto nel 1694, con la iscrizione: Francisci Mauroceni Peloponnesiaci Venetiarum principi: ossa MDCLXXXXIV: tomba che venne intagliata da Francesco Parodi il quale vi spese molti anni di travaglio e largamente venne compensato dalla nobile famiglia.

Uscendo dal a porta maggiore, si troverà alla destra la porta dell’antico monastero di cui è degno di essere veduto il chiostro fatto sul disegno del frate Gabriele da Venezia. In una delle pareti di questo chiostro che riguarda il cortile esistono ancora alcuni tenui avanzi delle pitture a fresco da Giannantonio Pordenone, con tanto calore di emulazione eseguite che è fama averle lui lavorate con le armi accanto per il timore che aveva del suo rivale Tiziano.

Chi poscia si trasporti ad esaminare i monumenti esistenti intorno al resto chiostro troverà, presso la porta più sopra ricordata e per la via del battistero mette in chiesa, l’urna del celeberrimo letterato Domenico Molino morto nel 1635. Procedendo più innanzi incontrerà nella posta al doge Andrea Contarini che tanto si distinse nel a guerra di Chioggia. Siccome quel sepolcro, dietro il testamento del doge, era privo del nome e dello stemma della famiglia così convien dire essere posteriormente stati posti i versi ivi incisi a suo onore.

Succede a quest’ urna un’epigrafe al celebre medico Viviano Viviani veneto, morto nel 1658, ed il busto del quale quivi esistente si è collocato all’Ateneo veneto. Seguono due iscrizioni, l’una per Vincenzo Gussoni che sostenne varie patrie magistrature e che morì nel 1642 e l’altra per altro Vincenzo Gussoni che battendo la carriera del primo morì nel 1654.

Nel muro laterale alla porta per cui si va al campo di Sant’Angelo vi è un’epigrafe al cavaliere Carlo Ridolfi celebre pittore e scrittore dell’arte. Segue a questa iscrizione l’urna posta a Giulio Soranzo, morto nel 1378, per sé e suoi eredi. Parecchie urne con le loro epigrafi erano altra volta disposte intorno a questo chiostro; ma nel 1705 furono levate perché col peso loro non recassero severchio danno alla muraglia della chiesa. Si lasciarono nondimeno le iscrizioni di alcune. Tali sono quelle a Pietro Grimani, a Marco Trevisan, a Filippo suo figlio e ad Antonio suo nipote, a Marco Bolani morto nel 1419 ed a Francesco Trevisan morto nel 1348. Ma la principale perdita che fece questo chiostro si è l’urna di Francesco Novello da Carrara ultimo signore di Padova, che in luogo dell’iscrizione aveva questa sigla; T\P cioè Pro Norma Tyrannorum.

Non tralasciamo di ricordare che sopra il muro della chiesa, dalla parte rivolta al campo, vi è una grande pittura a fresco di Pietro Liberi che al presente offre appena la figura di San Sebastiano saettato, mentre per lo innanzi offriva inoltre Nostra Donna con vari santi.

Se si passi pel ponte che dal chiostro mette direttamente nel campo di Sant’Angelo si vedrà nello scendere affissa ad una casa alla sinistra una lapide in caratteri semigotici la quale rammenta le indulgenze che godrebbe chiunque soccorresse con le limosine l’ospedale della Pietà instituito a San Francesco della Vigna da Pietro Assisi francescano, detto anche Pieruzzo dalla Pietà, scudo sommo pontefice Clemente VI, patriarca di Grado Andrea Dotto e vescovo di Castello Niccolò I Morosini. Come, quando e da chi dall’antico luogo di San Francesco della Vigna sia stata qui trasportata una tal lapide è ignoto. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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