Scuola Grande di San Rocco

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Scuola Grande di San Rocco - San Polo

Scuola Grande di San Rocco

Storia della Scuola

Da quando nel Concilio Generale di Costanza convocato nell’anno 1414 fu con festiva pompa approvata la venerazione del glorioso San Rocco, e la di lui intercessione riconosciuta efficace presso Dio contro i pericoli del morbo contagioso, molte città dell’Italia con pubbliche dimostrazioni di religioso ossequio procurarono di meritarsi il di lui patrocinio, erigendogli altari, ed istituendo confraternite, che promovessero il di lui culto. Una di queste fu fondata in Venezia nella chiesa parrocchiale di San Giuliano, ove radunate alcune devote persone eressero con licenza ottenuta nel giorno 10 di giugno dell’anno 1478 dal Consiglio dei Dieci, una scuola di divozione sotto il titolo di San Rocco, alla quale potevano allora essere ascritte persone di qualunque sesso, e condizione.

Da sì tenui principi ebbe origine l’illustre Scuola di San Rocco, che annoverata poi fra le Grandi della città, divenne per la magnificenza delle sue fabbriche, per la ricchezza dei suoi addobbi, per la rarità delle sue pitture, e soprattutto per la preziosità delle sue reliquie, uno dei principali ornamenti della città di Venezia. Fondata dunque la scuola crebbe in pochi giorni a tal numero, che impetrò dal Consiglio dei Dieci nel giorno 30 di novembre dello stesso anno facoltà di poter portarsi con l’accompagnamento di cento fratelli sotto l’adorabile insegna del crocifisso alle sue devozioni, ed alle sepolture dei confratelli con l’abito suo proprio, e con le discipline, in tal guisa però, che restando i fratelli col volto scoperto, quei soli potessero coprirsi la faccia col cappuccio, che nudi gli omeri si flagellavano a sangue per mitigare lo sdegno divino irritato dai peccati del popolo; e così restò la scuola dichiarata del numero delle disciplinarie, che ora si chiamano Scuole Grandi.

Mentre dunque con esercizi così esemplari di cristiana penitenza si conciliava questa pia adunanza l’amore, e l’ammirazione della città, un’altra confraternita, che sotto il titolo di San Rocco era stata precedentemente fondata nella chiesa di Santa Maria Gloriosa, detta dei Frari, ricercò, ed ottenne d’unirsi, e formare un solo corpo con quella istituita nella chiesa di San Giuliano, a cui concesse nell’anno 1480 il Consiglio dei Dieci licenza di potersi trasferire, ed unire con quella che era ai Frati Minori, e ne confermò poi nell’anno susseguente le proprie costituzioni. Per quattr’anni in circa stettero i devoti confratelli nella chiesa dei frati minori; d’onde poi per gravissime cause risolsero di partirsi; e quantunque avessero già cominciato ad innalzare per loro uso una chiesa, pure ottennero nell’anno 1485 facoltà dal patriarca Maffeo Gerardi di atterrare il già fabbricato per costruire in luogo più opportuno altro sacro edificio alla necessità delle loro adunanze, e molto più per collocarvi il sacro corpo del protettore loro San Rocco, che in quei giorni era stato condotto a Venezia. Attesa questa licenza del prelato, accolse il Consiglio dei Dieci le suppliche dei confratelli, e permesso loro il trasferirsi ove lor fosse a grado, concesse pure il poter accrescere il numero dei cento stabiliti fratelli con altri cento, a condizione però, che non fossero prima aggregati ad alcuna delle quattro scuole, dette dei Battuti, o siano Disciplinanti.

Frattanto che si andava operando per il trasporto del luogo, fu premiata da Dio la devozione dei pii confratelli col più desiderabile dei tesori, cioè con l’acquisto del venerabile corpo del titolare, e protettor loro San Rocco in tal maniera ottenuto.

Nel mese d’agosto 1484 un monaco camaldolese di nome Mauro trovandosi per calunnie rinserrato in una delle carceri di Venezia, s’obbligò con voto di portarsi a visitare il corpo di San Rocco, che si ritrovava in una città detta Ughiera del distretto milanese, luogo allora posseduto dal conte Pietro dal Verme. Liberato adunque per divina grazia dalla sua prigione, si portò tosto alla piccola chiesa di San Rocco, allora contigua alla chiesa dei frati minori, per render grazie di sua liberazione al santo. Vide ivi fortunatamente il guardiano della scuola Tommaso Alberti, al quale significò di aver determinato di portarsi a visitare il corpo del santo, che riposava nel Castello d’Ughiera. Mosso da interiore impeto i il guardiano, animò il monaco a rapire furtivamente il sacro corpo; perloché partito nel giorno 12 di ottobre da Venezia, ed arrivato nel 20 susseguente ad Ughiera, si portò a dirittura ad un ospitale, chiamato di San Rocco, presso cui era un oratorio, nel di cui altare sotto forte custodia di due porte, e di una ben chiusa cassa riposava il corpo di San Rocco, e ne conservavano gelosamente le chiavi quattro diverse persone. Disperato dunque dell’impresa il buon monaco senza aver potuto né meno consolarsi con la veduta del sacro deposito, ritornò a Venezia. Ivi riveduto dal guardiano, e rimproverato di sua pusillanimità si determinò ad un nuovo viaggio per eseguire l’ideato progetto, e considerando che quantunque chiuso sotto fortissimi ripari era però il sacro corpo senza personali custodie, vie più si animò all’impresa. Giunse dunque in Ughiera per la seconda volta nel giorno 24 di febbraio del susseguente anno 1485, ed ivi fermatosi due giorni finalmente in una notte, che più gli parve opportuna, salita chetamente una finestra, si calò in chiesa, e nell’ore più avanzate, quando tutti erano nel più forte del riposo, schiusa con grimaldello la prima portella di legno, ed indi schiodata con tenaglia la seconda di ferro, rapì la cassa, e per una porta da lui con falsa chiave aperta l’estrasse di chiesa. Tradottala poi ad un luogo o ritirato e remoto, ne cavò il capo, e le altre sacre ossa, a riserva di due, che lasciò ivi nella stessa cassa involte in alcuni stracci di lino; dopo di che riportata la cassa a suo luogo, e riadattate alla meglio che poteva le portelle, che la custodivano, chiusa anche la porta, si parti, ritirandosi in luogo nascosto e remoto, finché sull’alba del giorno si disserassero le porte del castello. Riposte poi in un sacco involte fra panni lini le sacre reliquie e con esse trapassata la Lombardia ritornò allegro a Venezia, ove giunto rese tosto partecipe di sua venuta il guardiano fuori di se per il giubilo, collocate prima come in deposito le venerabili reliquie nella chiesa di San Geminiano (come ci attesta il Sabellico) corse a darne notizia al patriarca Maffeo Gerardi.

Prima però di permettere, che esposte fossero alla pubblica venerazione volle il prudente prelato, che fosse formato rigoroso processo, onde risultasse la verità dall’asserzione dei giurati testimoni, che già venerato avevano in Ugheria il corpo del santo, e concordi deposero, riconoscere essi nelle sacre ossa trasportate a Venezia i contrassegni tutti già in esso notati, e massime nell’osso della gamba, e del femore una nera macchia, contrassegno del morbo pestilenziale, da cui era stato afflitto il santo vivendo.

Ne diede poi conto con sua lettera il prelato medesimo al Consiglio dei Dieci, notificandogli che per collocar degnamente il santo corpo permesso aveva al guardiano della scuola l’abbattere l’incominciata chiesa non ancor consacrata, per edificarne altra in luogo creduto a ciò più opportuno.

Nello stesso anno dell’ottenuta licenza si trasferì la scuola in un luogo spazioso, dove eretta era un’antica chiesa ad onore di Santa Susanna nella parrocchia di San Samuele, ed ivi acquistate prima, e poi atterrare molte casette, alcune delle quali servivano ad uso infame di lupanare, destinarono d’innalzare la nuova magnifica chiesa, ottenuto avendo dalla pubblica pietà, che nelle vicine abitazioni dimorar più non potessero meretrici.

Ma perché la divina provvidenza destinato aveva, che quel sito già da tante impurità contaminato si consacrasse convertendolo in abitazione di purissime vergini, fece che i direttori della scuola mutato consiglio cedessero il luogo con le incominciate fabbriche per un monastero, che ivi sotto il titolo dei Santi Rocco e Margherita doveva istituirsi, e pensassero di portarsi a fermare lor dimora nell’antico Palazzo dei Patriarchi di Grado presso la chiesa di San Silvestro già ottenuto a livello perpetuo dal mentovato patriarca Gerardi.

Là dunque con pomposa solennità di tutte le Scuole, che processionalmente l’accompagnarono, fu portato il corpo del santo dalla chiesa di San Geminiano, e sontuosamente adattata a forma di cappella una porzione del palazzo stesso, fu in essa con decoro riposto.

Ivi aveano stabilito di perpetuamente fermarsi i devoti confratelli stanchi ormai di tante, e sì dispendiose mutazioni; ma promossi avendo il piovano di San Silvestro contro la confraternita molesti litigi; credettero di dover ricomprare la loro quiete abbandonando il luogo benché risarcito, e reso adorno con gravi dispendi, e ritornarsi all’antica stazione nella parrocchia di San Pantaleone, ove avevano molti anni prima intrapresa la fabbrica di una nuova chiesa, che tanto più si rendeva loro necessaria dopo il fortunato acquisto del santo corpo.

Impetrarono dunque con nuova supplica nell’anno 1489 permissione dal Consiglio dei Dieci di restituirsi al primo loro luogo appresso i frati minori, ed ivi far restaurare la chiesa sotto il titolo di San Rocco già nei precedenti tempi abbattuta approvando le convenzioni tra il guardiano e suoi compagni dall’una, e i procuratori dei frati minori d’altra parte già stabilite.

Con tal fervore si adoperarono i devoti uomini per l’erezione della nuova chiesa, che ridotta in pochi mesi a stato di potersi ufficiare; con nuova pomposissima solennità di traslazione, a cui intervennero per pubblico assenso nel mese di Marzo dell’anno 1490 le altre quattro Scuole dei Battuti, levarono dal Palazzo di San Silvestro il corpo del lor protettore San Rocco, ed onorevolmente nella nuova chiesa lo collocarono, la quale fu poi consacrata da Domenico Alerio vescovo di Chisamo nel giorno primo di gennaio dell’anno 1508.

Quantunque però i divini uffici, e le più solenni funzioni si celebrassero nella nuova chiesa, contuttociò e radunanze dei confratelli seguivano a convocarsi nel Palazzo Patriarcale; il che riuscendo troppo d’incomodo, fu deliberato di comprare dal capitolo della chiesa di San Pantaleone, che le possedeva, una fornace, e tre piccole case contigue alla nuova chiesa, per poter sul loro fondo innalzare un ospizio alla convocazione dei confratelli più comodo ed adattato. Stabilito dunque il prezzo di mille ducati d’oro, fu il contratto con autorità apostolica dai delegati commissari a tal effetto dal cardinal penitenziere eletti approvato come utile, e confermato nel giorno 8 di agosto dell’anno 1516. In esso sito dunque si disposero i principi di un ospizio, che sotto la direzione di Giulio Padre, e Santo figlio Lombardi s’innalzò con tal magnificenza, che ridotto col divino aiuto a perfezione non cede in maestà a niuna delle fabbriche più sontuose di Venezia.

Non eguale però né in decoro né in consistenza fu la struttura del la chiesa innalzata in ristrettezze di tempo, che però sino dai principi del secolo XVIII dando manifesti segni di sua debolezza eccitò l’attenzione dei direttori della scuola a promuoverne la rinnovazione, principiata poi nell’anno 1725 e ridotta nel corso di qualche anno a perfezione riedificata in più adorna e maestosa maniera.

Riconosce la città di Venezia dall’intercessione di Maria Vergine Santissima, e dalla protezione di San Rocco l’essere stata dalla clemenza del divino Redentore liberata dalla fierissima peste, che l’afflisse nell’anno 1576. Per la qual cosa decretò il Senato di doversi ogni anno con pompa festiva nella solennità del santo visitare dal principe, e dallo stesso senato il venerabile di lui corpo, che in un’arca di scelti marmi riposa sull’altare maggiore della sua chiesa, ivi nell’anno 1570 onorevolmente collocato.(1)

Visita della scuola (1839)

La confraternita di s. Rocco era in antico composta non solo di cittadini facoltosi ed illustri, ma di gravissimi senatori anche, alcuni dei quali salirono sul trono della repubblica. E se nel 1640 il pontefice Urbano Vili aggregava questa Scuola all’Arciconfraternita dello stesso santo in Roma, arricchendola di molte indulgenze, era nel 1789 che Pio VI l’innalzava al grado di Arciconfraternita con facoltà di aggregare a se stessa le altre scuole sotto lo stesso titolo sparse per lo Stato Veneto.

Promosse mai sempre la confraternita di San Rocco il culto divino; nelle pubbliche calamità, e specialmente in tempo di peste, somministrava soccorsi ai bisognosi ed in particolare ai suoi confratelli poveri; continue erano le sue elemosine settimanali e mensili a più famiglie indigenti; ai monasteri ed agli ospedali somministrava annualmente alcune somme fissate dalla sua pietà o dalla volontà dei testatori; contava ogni anno 200 ducati alla scuola maggiore della Dottrina Cristiana; 100 ne dava all’infermeria di carcerati, ed altrettanti per restituire la libertà di chi fosse detenuto per debiti civili; finalmente impiegava 8000 ducati annui pel collocamento di 31 donzelle povere.

Tale era l’uso che faceva questa confraternita dell’annua sua rendita di quasi 60.000 ducati. Il Veneto Senato la prediligeva; la voleva amministratrice dei beni assegnati dai suoi testatori a favore dei poveri, né da altri la rendeva dipendente che dall’autorità patriarcale, volendo le sue liti privilegiate anche innanzi a qualunque tribunale per la sollecita spedizione. Ai favori del principe corrispose ognora la confraternita sia col mantenere nelle guerre un numero di armati, sia col dar sussidi di denaro, e sia col farsi garante per lo stato di sei milioni di ducati in faccia la nazione. In sul finire della Repubblica, oltre la somministrazione di 18.000 once di argento, ed oltre un dono spontaneo di 50.000 ducati la garantì nel prestito chiamato di sovvenzione, per altri ducati 200.000. Ma le accadute vicissitudini, facendo perdere alla confraternita il rilevante capitale di ducati 800.000, posto a censo nella pubblica zecca, si vide costretta a minorare le benefiche opere usate, finché fu soppressa affatto nel 1806 colle altre religiose e laicali corporazioni. Se non che, essendo San Rocco uno dei principali protettori della città, e votiva essendo la chiesa a lui innalzata, riuscirono conformi ai voti dei buoni le cure del cappellano della confraternita stessa don Sante Della Valentina, il quale seppe ottenere che la scuola e la chiesa di San Rocco, con nuovo decreto dello stesso anno, fossero conservate. Al presente, con l’assegno mensile dall’autorità superiore stabilito, e colle sostanze dei religiosi suoi confratelli, il sodalizio di San Rocco mantiene nella propria chiesa il decoro delle sacre funzioni, provvede al sostentamento del proprio cappellano ed alla conservazione non meno della chiesa che della scuola.

Facendoci ora ad esaminare l’insigne edificio di questa scuola, che può annoverarsi tra i più cospicui edifici di Venezia e forse di Europa, vedremo primieramente il suo prospetto tutto di pietra istriana di architettura composita. Lo adornano otte, spiccate colonne canalate; magnifica n’è la porta; bellissimi gli ornamenti delle finestre; vago il cornicione, l’architrave ed il fregio, e tutto in somma con mirabile simmetria è divisato. Parimenti è magnifica la facciata posteriore, e comunque accagionata venga di soverchi ornati ed intagli, tiene un non so che di maestoso e di nobile che piace a ciascuno.

Nell’angolo presso la chiesa vi ha una porta, donde si passa in un andito, sulla porta opposta del quale sta il scerico gonfalone colla figura di San Rocco; dono della confraternita di Bologna dipinto dal Galanino sul disegno di Lodovico Caracci. Di qui si entra nella gran sala terrena, divisa in tre navate da un doppio ordine di colonne in varia forma canalate, con bellissimi capitelli e piedistalli ornati di fini marmi. Le pareti di questa sala sono all’intorno abbellite dall’artificioso pennello di Jacopo Tintoretto. Il primo quadro offre l’Annunziazione di una verità che illude; il secondo l’Adorazione dei magi il terzo la fuga in Egitto; il quarto la Strage degli innocenti con tale gagliardia di pensieri, con tanta espressione nei sembianti e con sì bella varietà negli aggruppamenti da poter pascere ogni immaginazione. Nell’angolo vi è un paese colla Maddalena nel deserto. Si vuole opera di Girolamo Campagna il San Rocco che è sopra l’altare Santa. Maria Egiziaca, finalmente, che legge nella foresta, è nel primo quadro della successiva parete; la Circoncisione del Signore è nel secondo, e nell’ultimo l’Assunzione.

Dalla detta sala terrena, per due disgiunte branche di scala ornate nell’ingresso da marmoree colonne con piedistalli bellissimi, si ascende ad un pianerottolo dove è fermata l’attenzione dell’osservatore dalle sculture dei pilastri delle finestre e dall’iscrizione situata tra le finestre stesse che ricorda la pestilenza del 1576 per la quale fu desolata la città e perirono circa 400 confratelli di questa scuola. La superiore iscrizione fu posta nel 1782 al Pontefice Pio VI quando, reduce da Vienna, visitò la scuola medesima. Lavoro di Tiziano, eseguito nella migliore sue età e sublime sotto ogni aspetto, è la Vergine Annunziata che sta nell’alto. Pervenne alla scuola per testamento del confratello Amelio Cortona nel 1555; ma degno di stargli a fronte è l’altro quadro di Tintoretto colla visita di Maria Vergine alla cognata, per la qual cosa somme vi sono in esso e l’espressione e la veracità.

Ai fianchi dell’ampio e sfogato ramo di scala, che quindi si trova tra le due branche menzionate, è espressa primieramente alla destra, sopra vasta tela, da Antonio Zanchi la orribile pestilenza onde fu afflitta Venezia nel 1630. Supplice sta nell’alto la Vergine e San Rocco, sostenuto dagli angeli, discende a benedire i sottoposti languenti infermi. Da ogni lato si vedono ammonticchiati cadaveri, alcuni dei quali si trasportano al sepolcro ed altri si gettano da un ponte nelle barche preparate per condurli al Lido. Quest’opera, piena di espressione e di brio pittoresco, è la più bella del Zanchi. Nel quadro opposto Pietro Negri espresse la liberazione della città dalla peste: Venezia è in atto supplichevole; scende un raggio di luce a porre in fuga la peste, che portando sul dorso la morte, uccide alcune persone nel suo passaggio. Di lontano si vede il doge che va col senato a visitare il tempio della Salute e l’angelo che rimette nella guaina la spada dinanzi Maria ed i Santi Rocco e Sebastiano. Girolamo Pellegrini romano dipinse in fine a fresco nella cupola di questa scala la Carità che riceve la fiamma della Religione, ed alla quale San Rocco presenta la Confraternita.

Per un arco maestoso di candido marmo, a domo di vaghissimi intagli e sostenuto da sei colonne spiccate, che poggiano sopra due piedistalli ornati da bassorilievi, si perviene nell’ampia sala di cui non può lodarsi abbastanza la maestà e la bellezza. Il soffitto e le pareti sono tutte coperte dalle produzioni stupende del Tintoretto. Volgendoci a destra, si vede quindi con grande immaginazione espressa la resurrezione di Lazzaro, a cui segue la prodigiosa moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Col disegno di Francesco Bernardina si eresse, nel 1588, lo splendido vicino altare la cui tavola con San Rocco è dello stesso Tintoretto. Girolamo Campagna vi fece le belle statue laterali esprimenti il Precursore e San Sebastiano. Quelle sulla marmorea balaustrata sono dello scultore medesimo, che, prevenuto dalla morte, le lasciò incompiute. Nel recinto della balaustrata Giovanni Marchiori, col disegno di Giorgio Fossati, rappresentò scolpite in legno le azioni più singolari di San Rocco. Incominciando alla sinistra dell’altare si vede pertanto: 1. il santo ricevere dal padre gli ultimi avvertimenti; 2. distribuire il suo patrimonio ai poveri; 3. servire in un ospedale; 4. confortare alcuni afflitti per la morte di un loro congiunto; 5. Risanare un infermo in una capanna; 6. segnare in Roma la fronte del cardinale Britannico; 7. essere dallo stesso cardinale presentato al Pontefice; 8. essere avvisato dall’angelo dover, venire assalito dalla- peste; 9. essere scacciato dall’ospedale; 10. Ritirarsi nella capanna. Nei fianchi di questi intagli vi sono la Speranza e la Fede.

Gli intagli, dalla parte opposta raffigurano: 1. San Rocco provveduto nella solitudine dal cane; 2. il suo primo abboccamento con Gottardo Palastrelli; 3. lo stesso Gottardo che si ritira dal mondo, col Santo; 4. l’Angelo che gli ordina di tornare in Francia; 5. il suo congedo da Gottardo; 6. il suo arresto al giungere alla patria; 7. il santo veduto dal custode in prigione colla faccia radiante; 8. il santo che implora la liberazione del suo popolo dalla peste; 9. la morte del santo; 10. il principe della città si reca nel carcere a venerarne la spoglia. Nei due lati si vedono la Religione e la Carità.

Passando ad osservare i quadri del sinistro lato si vede: 1. l’Ultima rena; 2. l’Orazione all’orto; 3. la Risurrezione dove sono pieni di leggiadria gli angeli che rimuovono la pietra; 4. il Battesimo di Cristo; 5. la Natività del Signore. Tra le finestre, e quindi dirimpetto all’altare, vi sono i Santi Sebastiano e Rocco: santi per lo più insieme effigiati attesa la divozione che San Rocco vivente aveva per San Sebastiano.

Nell’angolo della contigua parete vi ha Cristo tentato dal demonio; indi sopra la porta del vicino albergo, che descriveremo dappoi, è il ritratto di Tintoretto fatto a se stesso nell’anno 66 della sua età. Il quadro oltre la porta offre la Probativa Piscina, e finalmente vien quello coll’Ascensione al Cielo.

Dopo aver osservate le pitture delle pareti è mestieri, parlare del soffitto avente gli intagli messi ad oro con ogni splendidezza. Dalla parte adunque opposta all’altare, vi sono Adamo ed Eva in atto di mangiare il pomo fatale, e nei vicini spazi angolari i tre giovanetti ebrei nella fornace di Babilonia e Mosè salvato dalle acque. Nel quadro successivo vi ha pure Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe, ed ai fianchi i chiaro-scuri esprimenti quando sull’Orebbo viene eletto da Dio condottiero del popolo ebreo e gli Israeliti scortati dalla colonna. Segue Giona uscito dalla balena, e nei chiaro-scuri laterali Sansone che si disseta coll’acqua uscita dalla mascella, e Samuello che unge il giovinetto Davide. Il gran quadro che sta nel mezzo esprime il castigo dei serpenti, ed ai suoi fianchi vedi quinci il campo ripieno d’ossa veduto da Ezechiello e quindi la scala del patriarca Giacobbe.

Succede Abramo in atto d’immolare Isacco, e nei chiaro-scuri angolari Daniele illeso tra i leoni ed Elia rapito dall’igneo carro. Il quadro seguente mostra il cadere della manna, ed ai suoi lati Elia nel deserto fuggito dall’ira di Gezabele, ed Eliseo che sazia con pochi pani una moltitudine. Finalmente sono espressi sopra l’altare gli ebrei che celebrano la Pasqua, e nei due ultimi spazi angolari Melchisedecco che offre il pane ed il vino, ed i trucidati Israeliti apparsi in visione al profeta Ezechiele.

Sebbene in tutte le pitture descritte si scorgano tra le molte bellezze non pochi difetti; alcuni errori nel, disegno; qualche figura superflua; Selle azioni esagerate e certa negligenza nell’esecuzione; l’ardire però dei pensamenti e delle mosse, e la dottrina in tutto dei lumi e delle ombre, paleseranno certo il grande ingegno dell’autore loro, né senza frutto rimarranno le meditazioni fatti dall’intelligente sui questi dipinti comunque consigliare non gli debbano una cieca imitazione.

Gli intagli onde sono fregiate le spalliere di questa sala furono lavorati mirabilmente da Francesco Pianta il giovane, quegli che pur fece gli intagli che stanno sotto alle mensole sostenenti le colonne delle finestre. Il pavimento di questa sala è formato di gran quadri di pietra istriana. Si voleva farlo di marmi, e se ne vede il principio nella fascia all’ intorno; ma ricercata la confraternita in quel tempo, di un prestito dalla repubblica ne sospese l’esecuzione. Un altro progetto andò svanito, che molto più avrebbe reso magnifico il locale di questa scuola. Nel 1 770 volevasi far l’aggiunta al destro lato di una nuova sala eguale a quella dell’albergo, e costruir si volevano da quel lato altrettante sale simili alle esistenti; ma, eletto nuovo, guardiano, si trovarono delle opposizioni, per cui il progetto fatalmente fu abbandonato.

Dalla descritta sala per una magnifica porta decorata da vaghi intagli e da due colonne spiccate di fino marmo con piedistalli adorni di bassi-rilievi si passa nell’albergo ricordato. Entrati in questa piccola ma nobilissima sala, offresi tosto allo sguardo il gran quadro della Crocifissione del Tintoretto, una delle tre opere segnate dall’autore col proprio nome, e dove l’esattezza del disegno, la terribilità dell’assunto, la disposizione delle figure, la vaghezza del colorito, la verità dell’espressione vi risplendono mirabilmente. Per quell’ opera ebbe il Tintoretto la ricompensa di ducati 280: 12, fu ascritto al novero dei confratelli ed ottenne l’incarico di adornare colle sue pitture la scuola e la chiesa per la somma di 200 ducati annui sua vita durante.

Nell’opposta parete alla sinistra della porta vi è Cristo dinanzi a Pilato, ed alla destra Cristo, che aiutato dal Cireneo, ascende il Golgota. Sopra la porta vedi la Coronazione di spine e tra le finestre delle pareti laterali vi sono in fine due profeti effigiati con particolare attenzione.

Nell’ovato in mezzo agli intagli dorati del soffitto è dipinto con artifizio stupendo San Rocco in piedi dinanzi all’Eterno. L’origine di quel dipinto merita di essere qui rammentata. Allorché nei 1560 concorsero i pittori più accreditati della città per dare il disegno di quest’ovato, Tintoretto seppe destramente rilevarne le misure. E mentre gli altri stavano preparandogli schizzi egli, eseguita l’opera di nascosto, l’aveva già collocata al suo sito coprendola con un cartone. Paolo Veronese, Andrea Schiavone, Giuseppe del Salviati e Federico Zuccaro suoi competitori, comunque per tale maniera venissero sopraffatti, al vedere quella pittura si diedero per vinti. Nondimeno gli sdegnati confratelli volevano che fosse levata; ma avendone il Tintoretto fatto un dono a San Rocco non potè più quindi essere rifiutato ciò che si offriva al santo. Nei vani all’intorno di quell’ovale sono rappresentate le sei scuole grandi.

Nel prospetto del banco sotto al quadro della Crocifissione Francesco Tosolin da Bologna espresse nel 1780 a chiaro, scuro in sul cuoio alcune azioni della vita di San. Rocco con tale bravura che sembrano di rilievo. Degni d’ammirazione sono pure gli intagli delle spalliere di questo albergo, ed il magnifico pavimento, nel quale con vago disegno sono disposti marmi sceltissimi: costò esso alla scuola ducati 2.193.

Si vede nella stanza, chiamata la cancelleria, un Cristo estinto sullo stile di Tiziano, e presso ad esso un altro dipinto dal prete Genovese. Nel soffitto, ornato di stucchi, Giuseppe Angeli dipinse San Rocco portato in cielo, ed ai lati la Religione e la Pace. Ma preziose e di marmo rarissimo sono le colonne della porta che mette nel piccolo archivio, dove si trova un antico quadro in mosaico e sopra gli armadi laterali alcune piccale statue marmoree sullo stile di Tullio Lombardo. Finalmente nel Sacrario che custodisce insigni reliquie, Domenico Tiepolo figurò in due quadri Abramo visitato dagli Angeli ed Agar cui l’angelo addita il ruscello. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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