Parrocchia di San Martino

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Chiesa di San Martino

Parrocchia di San Martino

Nome della località

Questa isola era una delle Gemine ossia Gemelle, e pare così chiamata per la sua posizione quasi parallela ad altra dello stesso nome, nella quale si trova la Parrocchia di San Giovanni in Bragora. Altri pensano, che in queste due isolette sorgesse anticamente un tempio dedicato ai gemelli Castore e Polluce, deità che avevano culto particolarmente nelle regioni marittime.

Chiesa

Variano le opinioni sull’epoca della fondazione di questa chiesa, da taluno fissata nel 1161. L’erudito Tentori la colloca fra quelle erette nel VII secolo per insinuazione di San Magno; ma il celebre Flaminio Cornaro si limita a dichiararla esistente nel secolo XI, poiché sin da quel tempo era sottoposta alla giurisdizione ecclesiastica del Patriarca di Grado, che risedeva gran parte dell’anno in Venezia presso San Silvestro, al quale anzi il parroco di San Martino prestava omaggio annualmente di due ampolle di vino, di una refezione nel giorno del santo titolare, e di 12 grossi di moneta Veneziana.

Le famiglie Valaresso e Saloniga concorsero generosamente al dispendio della prima erezione di questa chiesa, cadente per vetustà, venne riedificata intorno al 1540 con modello di J. Sansovino, nella forma che tuttora conserva, nel 5 Febbraio 1653 fu consacrata da Giovanni Francesco Morosini Patriarca di Venezia.

Merita di essere visitata e per la interna sua euritmia, e per gli oggetti d’arte dei quali è fregiata. Il circondario di questa parrocchia ebbe qualche riforma nel 1810, allora si aggregarono ad essa alcune frazioni delle due soppresse Parrocchie della Santissima Trinità (vulgo Santa Ternita) e di San Biagio. In quella circostanza si staccarono dalla medesima alcune contrade per unirle alla Parrocchia di San Giovanni in Bragora.

Chiese entro la periferia di questa Parrocchia, attualmente officiate.

San Biagio. Antica Parrocchiale, si reputa costrutta nel 1052 a spese della famiglia Boncigli, l’isoletta ove sorge si chiamava una volta Adrio, o Ladrio. Per molti anni venne ufficiata alternativamente con rito latino, e con rito greco, sino a che, verso il 1550, i greci domiciliati a Venezia, costruirono per il loro culto, ed a loro spese, il tempio di San Giorgio.

Chiusa al momento della concentrazione delle nostre parrocchie, fu poi riaperta nel 1816, ed eretta in parrocchiale del l’I. R. Marina, gli individui appartenenti alla quale spiritualmente da essa dipendono, qualunque sia il luogo di lor domicilio. Molto opportunamente fu qui collocato il monumento del celebre ammiraglio Angelo Emo, morto nel 1792, che si trovava nella ora demolita chiesa dei Padri Serviti.

San Gioacchino. Oratorio della Cà di Dio. L’ospizio della Cà di Dio, cui è annesso quest’oratorio, fu eretto, e dotato sino dal 1272 a beneficio di pellegrini e d’infermi. Convertito nel secolo successivo a ricovero di femmine di nobile e civile condizione cadute in povertà, il Doge ne assunse il patronato.

Chiese secolarizzate o demolite

Madonna dell’Arsenale. Questa cappella sorgeva all’estremità della fondamenta dell’Arsenale presso il Ponte del Paradiso; fu demolita nel 1809 per allargare quel sito.

Santa Maria del Rosario. Annessa al monastero chiamato delle Muneghette, questo edificio fu convertito ad uso della I. R. Marina che vi ha stabilite le carceri militari.

Chiesa di Santa Maria della Celestia. Benché il convento adiacente a questa chiesa appartenga al circondario della parrocchia di San Francesco della Vigna, nondimeno parve opportuno di tracciare la chiesa nella tavola qui unita, perché, dopo secolarizzata, venne compresa nel recinto dell’Arsenale, cui serve di deposito. Era annessa al convento dello stesso nome, ora caserma, il quale si vedrà tracciato nella tavola della preaccennata parrocchia di San Francesco.

Nell’anno 1237, dodici suore dell’ordine cisterciense del monastero di Piacenza, per insinuazione del veneto Renier Zeno che ivi copriva la carica di podestà, si trasferirono a Venezia sotto la direzione di due monaci di quel cenobio della Colomba, e fondarono questa chiesa dedicandola a Santa Maria Assunta, detta Santa Maria de Celestibus, volgarmente Celestia, presso la quale fissarono abitazione. Al principio del secolo XVI gravissimi disordini di quella religiosa famiglia determinarono il governo a toglierne ai monaci la direzione, affidandola invece al patriarcato, che ne ebbe cura sino alla soppressione nel 1810 avvenuta. Nel 1569 distrutto quello stabilimento dalle fiamme, il chiostro venne riedificato nel 1571, nel 1606 fu data opera anche alla chiesa, dappoi consacrata nel 1611. Cospicui restauri, e ricchi ornamenti ebbero il monastero, ed il tempio per le generose sollecitudini dell’abbadessa donna Laura Memmo, e delle sacrestane Maria Cornaro, e Triadana Molin. Qui erano deposte le spoglie mortali di chiarissimi uomini, e fra le altre quelle del Doge Lorenzo Celsi, del celebre capitano Carlo Zeno, e dell’illustre letterato Triffon Gabriello.

Arsenale

Ampio spazio, in questa parrocchia di San Martino, occupa l’Arsenale. Mancano tracce sicure della prima sua fondazione, ma una potenza marittima, qual sin dall’origine fu Venezia, non poteva far senza d’un grandioso stabilimento per le costruzioni navali, e pee il guerriero loro corredo. Vi ha quindi tutta ragione di ritenere, che ne primordi della veneta società, o al più tardi quando al principio del IX secolo l’irruzione del re Pipino costrinse il governo a fissare la sede in Rialto, l’Arsenale sia sia fondato. In tre principali riparti convien distinguere questo vasto edifizio, cioè Vecchio, Nuovo, Nuovissimo.

Arsenale Vecchio. Questo è l’antico Arzanà de Veneziani, di cui Dante fa menzione nel 21 canto dell’inferno. Sansovino trae questo nome da Ara Senatus, e seguendo Du-Cange procede da Ars cioè macchina. Eretto intorno al 1104, epoca della prima crociata, Doge Ordelafo Faledro o Faliero. Che infatti esistesse innanzi al 1130, lo assicura un documento di donazione fatta a quel tempo dal Polani al cenobio di San Daniele. Presenta una vasta darsena, cinta da cantieri, e da fabbricati diversi, che prende principio all’ingresso di terra e di acqua.

Arsenale Nuovo. Sorge all’oriente del vecchio, del quale fu la prima ampliazione: questo fabbricato rimonta al 1503, si reputa disegnato da Andrea da Pisa, celebre architetto di quella età. Vi si aggiunse la nuova darsena che formava l’antico lago del conterminante Convento di San Daniele, da cui la Repubblica ne fece acquisto l’anno 1325.

Arsenale Nuovissimo. Altra darsena, chiamata Novissima Grande, della quale una sezione ha nome Novissimetta, e gli ampi cantieri che la coronano quasi tutta, costituiscono l’ingrandimento eseguito nel 1473, epoca della maggior floridezza della nazione.

Canale delle galeazze e vasca. È questa una prolungazione al nord del vecchio Arsenale, costrutta intorno al 1557, adattando all’uopo uno spazio che apparteneva al monastero della Celestia, in compenso del quale la Repubblica corrispondeva alla religiosa famiglia l’annuo censo di ducati 120.

Arsenale di terra. Questo forma altro grande riparto disgiunto nel 1809 dal rimanente dello stabilimento, e destinato alla fabbricazione e custodia dell’artiglieria, ed altre armi ad uso della milizia terrestre. Esso ha un apposito ingresso verso la calle di San Zuanne nella parrocchia di San Pietro di Castello. Ha pure altra comunicazione coll’interno dello stabilimento, la quale però non si apre che in qualche circostanza non ordinaria. Il complesso di codesti riparti diversi è chiuso da alte e robuste mura, e da torri, costituenti un ricinto di circa due miglia geografiche.

Descrivere tutte le parti di tanto esteso e svariato edificio, richiederebbe un volume, il quale fu già dato al pubblico dal sig. Casoni Architetto e ingegnere idraulico a servizio dell’Arsenale medesimo. Anche nel mio Libro intitolato Otto giorni a Venezia, ho additati gli oggetti più cospicui in esso raccolti. Perciò mi limito a far cenno di quanto segue.

Porta d’ingresso terrestre eretta e decorata magnificamente sotto il Doge Pasquale Malipiero. Vi si scolpirono il nome di quel Doge, e l’epoca della erezione, cioè nel 1460 dell’Era Cristiana, e nel 1039 dell’Era Veneta.

Riportandosi l’origine di Venezia alla fondazione della prima chiesa in Rialto, sacra a San Jacopo Apostolo, che si reputa avvenuta nel 25 Marzo del 421, l’anno 1039 dell’Era Veneta, corrisponde al 1460 dalla Venuta di Cristo. Anzi, in rispetto al suddetto mese di Marzo, fu sempre osservato il sistema di contare, a Venezia, il principio dell’anno da detto mese, e l’ultimo dell’anno allo spirar di Febbraio. Perciò i documenti e i pubblici atti in data di Gennaio o Febbraio portavano sempre la indicazione del precedente anno solare; per esempio, una scritta del Febbraio 1751 veniva datata in Febbraio 1750. Ma per togliere i dubbi vi si aggiungevano le iniziali M. V. cioè More Veneto: così Venezia aveva il suo anno particolare, come ora le pubbliche amministrazioni economiche seguono l’anno camerale, che scorre dal 1 Novembre a tutto Ottobre.

La porta di cui si parla, venne arricchita nel 1571 di fini ornamenti onde convertirla in monumento della celebre vittoria riportata all’altura delle Curzolari da Don Giovanni d’Austria Generalissimo della Flotta alleata Veneto, Spagnuola, Pontificia. Còlti quegli allori nel giorno sacro a Santa Giustina, fu inaugurata nell’alto la statua di questa santa, opera di Girolamo Campagna, nel fregio si scolpì la iscrizione: Victoriae Navalis Monumentum MDLXXI. Finalmente, nel 1688, quel nobile ingresso divenne quasi arco trionfale in onore di Francesco Morosini conquistatore della Morea, ed espugnatore di Atene; essendosi decorato in quella circostanza di emblemi e di trofei di metallo, e dello stemma dell’eroe, collocato nel sito ove ora splende l’aquila imperiale.

Ai fianchi dell’esterno vestibolo si disposero i leoni tolti all’Attica dal Morosini medesimo, e sulla adiacente piazza si eresse quel pilo di bronzo che sostiene lo stendardo, e che porta scritto Duce Francisco Mauroceno Peloponnesiaco Anno Domini MDCXCIII. Opera di G. F. Alberghetti. Lateralmente al suddetto ingresso terrestre, sorge un edificio che scorre lungo il canale sino all’angolo vicino al ponte de Pennini, nel quale risiede l’I. R. Comando Superiore della Marina, e gli uffici allo stesso attinenti. Questo quarto si distingueva in due sezioni, la prima chiamata Purgatorio; la seconda, verso il suddetto angolo, Inferno, le quali servivano una volta di abitazione e di ufficio a patrizi destinati alla presidenza dello stabilimento, e che si chiamavano Patroni dell’Arsenale. Essi erano tre, due dei quali abitavano nelle suddette sezioni: il soggiorno del terzo era nel fabbricato adiacente alla torre a mano destra di chi entra in Arsenale per acqua. Questa terza sezione si chiamava Paradiso, nome tuttora conservato dal Ponte vicino. Non ho potuto aver tracce sicure sulla origine delle suddette strane denominazioni che rimontano a tempi di oscurità. Come però il servigio della Magistratura de Patroni dell’Arsenale, e dei Provveditori, che furono aggiunti ai medesimi, era molto arduo, dovendo essi vegliare giorno e notte alla sua custodia, potrebbero forse i primi due nomi procedere dal penoso ufficio incombente a quelli che ivi abitavano.

Molte cose osservabili offre l’interno di questo stabilimento, e fra le altre: Le sale d’armi, nelle quali primeggiano: il busto in bronzo di S. M. l’imperatore e re Francesco I, opera di Bartolommeo Ferrari, anno 1817, il monumento in marmo del grande ammiraglio Angelo Emo, scolpito da Canova, anno 1794, l’armatura di Enrico IV di Francia, donata da quel re alla Repubblica quando venne aggregato fra i suoi patrizi.

I Cantieri. Le Fonderie de cannoni. La Sala dei modelli. La Tana, vasto edificio per la fabbricazione dei cordaggi, lungo P. V. 911, largo 62, alto 59, opera di Antonio Da Ponte, anno 1579, e l’ampio Locale che serve alla squadratura del legname, lungo P. V. 422, largo 79, alto 65, opera di Giuseppe Scalfarotto, intorno al 1750. Cospicue sono pure le antiche sale d’armi, ora comprese nel circondario dell’Arsenale di terra; le quali, ai tempi della Repubblica, erano provvedute del bisognevole per l’armatura di 60.000 soldati.

Il vicino depositorio si chiamava intangibile: esso racchiudeva quanto era necessario all’armo di 24 navi, che dovevano essere sempre pronte nei cantieri.

L’ingresso d’acqua dello stabilimento è protetto da due torri ricostruite nella forma attuale nel 1686. Per facilitare l’uscita dei vascelli d’alto bordo, il governo italiano aperse nel 1809 altro varco marittimo alla parte orientale del riparto Novissimo, ove fu eretta una torre alta P. V. 98; per inalberare i navigli. Questa opera, lasciata da quel governo imperfetta, fu condotta a compimento dall’austriaca amministrazione, sotto li cui auspicii molti altri utili miglioramenti e riforme si praticarono. È a notarsi, che anticamente in quel sito medesimo esisteva un ingresso, di già chiuso sino dal 1516.

Forni. L’ampio edificio che sorge sulla riva degli Schiavoni presso il canale che mette nell’Arsenale, fu innalzato nel 1475 per la confezione del biscotto ad uso delle flotte: era un’appendice dell’Arsenale ai cui bisogni si prestava, e porta tuttora la originaria sua denominazione per i forni nel medesimo costruiti. Presentemente vi è stabilita l’I. R. Intendenza delle sussistenze militari.

Bagno. Confina coll’Arsenale, e con esso comunica mediante un ponte. l’ergastolo di marina, chiamato Bagno, ove stanno rinchiusi i condannati ai pubblici lavori, tanto militari, quanto ancora alcuni civili. Questo stabilimento, una volta monastero delle Vergini, essendo compreso nella parrocchia di San Pietro, se n’è fatto cenno nella descrizione di essa parrocchia.

Bucintoro. Nel giorno dell’Ascensione dell’anno 998, il Doge Pietro II. Orseolo, alla cima della veneta flotta, recatosi al divino ufficio nella Cattedrale di Olivolo, ossia Castello, ebbe dalle mani del Vescovo Domenico Gradenigo lo stendardo della Repubblica, e inalberato questo sulla sua capitana, uscì dal porto avviandosi alla conquista di alcune piazze dell’Istria, e della Dalmazia, sulle quali alzò le venete insegne sino oltre Ragusi. L’esito felicissimo di quella spedizione, per cui al titolo di Doge di Venezia fu aggiunto quello di duca della Dalmazia, si celebrò molto festosamente, e pare istituito sin da quel tempo un anniversario della vittoria.

Limitate ne i primi anni le cerimonie alla sola visita del Porto di Lido, queste si ampliarono nel 1177, quando Papa Alessandro III venuto a Venezia per fermar pace coll’imperatore Federico Barbarossa, colmò la Repubblica di quelle onorificenze e prerogative, che i pontefici solevano distribuire in quei tempi ai regnanti, e diede al Doge Sebastiano Ziani l’anello, qual simbolo d’investitura di dominio sull’Adriatico.

Così ebbe origine lo Sposalizio del Mare, ed ogni anno nel suddetto giorno dell’Ascensione, sì fausto alla spedizione marittima intrapresa nel 998, il Doge circondato dalla signoria, dai magistrati primari, e dagli ambasciatori, montava, sulla riva della Piazzetta, questo sontuoso vascello, col quale pomposamente usciva dal Porto del Lido, e giunto a una certa altura, traeva un anello d’oro, che, benedetto dal patriarca, gettava in mare, dicendo: Noi ti sposiamo in segno del nostro vero e perpetuo Dominio. Indi faceva ritorno, e approdando al Lido entrava nella chiesa di San Nicolò per assistere alla messa solenne, dopo cui, ripreso l’imbarco, si restituiva alla Piazzetta da onde era partito: rientrato poi nel palazzo, convitava lautamente i personaggi che lo avevano accompagnato.

Il naviglio montato in quella festività dal capo della Repubblica, e dal corpo sovrano, doveva essere adorno di ricchi ornamenti, e si hanno memorie che tale si fosse anche prima dell’anno 1293. A renderlo però più magnifico, fu decretato, nel 1311, di costruirne altro nuovo: la legge fu così concepita quod fabricetur navilium ducentorum hominum. Pare che la voce ducentorum abbia dato origine al titolo Bucentoro; senonché pensano alcuni procedere questo nome dalla musica che lo festeggiava, poiché anche i romani chiamavano buccinatori i trombettieri che alla testa delle legioni davano il segno della battaglia, suonando le loro buccine, le quali in origine erano corni di bue.

Rinnovato più volte nel corso de secoli, splendidissimo comparve quello costrutto nell’anno 1606 sotto la direzione dell’illustre Marc’Antonio Memmo, patrizio di alta celebrità, salito nel 1612 al trono ducale. Assicura il Sivos, che questo naviglio richiese il dispendio di 70.000 ducati, somma ben ragguardevole particolarmente a quei tempi. Finalmente l’ultimo Bucintoro si è fabbricato sotto gli auspici del Doge Alvise-Sebastiano Mocenigo, e portava presso la prora la seguente iscrizione: ALOYSIO MOCENICO / VENETIARUM PRINCIPE / ANNO SALUTIS / MDCCXXVII. Aveva 400 piedi di lunghezza, 21 di larghezza, camminava a mezzo di 42 remi disposti 21 per ogni fianco, ciascheduno dei quali veniva mosso da 4 rematori, presi fra i più robusti artefici dell’Arsenale, chiamati maestranze, che tenevano in grandissimo pregio l’onore di questo servigio.

Alcuni grossi battelli attaccati dinanzi al vascello, aiutavano il suo movimento. L’esterno, come l’interno di questa nave, erano intonacati di oro, e fregiati d’ogni maniera di emblemi, e di simboli di lavoro finissimo, parimente dorati. La coperta, ossia il Tiemo, lungo 65 piedi, era integramente tappezzato, nella superficie esterna, di velluto cremisino, e verso la puppa sorgeva lo stendardo della Repubblica. Il trono del Doge dominava l’interna sala, nella quale erano maestosamente disposti gli aurati sedili per la signoria, per i magistrati, per gli ambasciatori, ed altri personaggi cospicui. Questa splendida reggia ondeggiante, dopo avere servito all’ultima festività dell’Ascensione nell’anno 1796, fu distrutta dai francesi durante l’occupazione del 1797.

Si custodiva il Bucintoro nell’Arsenale, al quale oggetto il celebre Sammicheli eresse nel 1544 nobilissimo edificio che da ogni parte lo difendeva dalle ingiurie dell’acqua, del sole, e de venti, ed ove tuttora si conserva un tronco dell’albero dorato che pompeggiava una volta sopra il naviglio. Questo cospicuo deposito serve presentemente a custodia degli scale, ossia lance fregiate in oro, ad uso dell’augustissima casa imperante.

Uscirono dal nostro Arsenale le innumerabili flotte che stesero il dominio della cessata Repubblica veneta sino al mar Nero ed al Tanai, che protessero il suo commercio, e convogliarono i tesori dell’Indie dai veneti navigatori distribuiti per molti secoli alle varie nazioni delle tre parti del mondo antico. La sorgente di tanta possa fu oggetto talvolta delle insidie d’invidiosi malvagi, i quali vi appiccarono le fiamme, come avvenne nel 1509 e nel 1569, o tentarono di appiccarvele, come erasi divisato, nel 1618, da alcuni congiurati stranieri, a ciò mossi dal marchese di Bedmar ambasciatore di Spagna a Venezia, di concerto col duca d’Ossuna vice-Re di Napoli, e con Don Pietro di Toledo governatore a Milano. Tali pericoli interessarono in ogni tempo la più severa vigilanza del Governo per la salvezza di questo Palladio sostenitor dello Stato: non sembra quindi fuor di proposito aggiungere in una Nota in calce al presente capitolo, ciò che riferisce il Tentori nel suo Saggio della storia civile e politica di Venezia, intorno alle discipline colle quali doveva essere custodito.

Col sistema esposto da esso Tentori si reggeva l’Arsenale, quando nel 12 Maggio 1797 spirò la Repubblica, e allora occupata Venezia dalle legioni del direttorio francese, esse spogliarono anche questo venerando stabilimento di quanto si poteva vendere, o trasportare. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia di San Martino dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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