Parrocchia di San Pietro di Castello

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Chiesa di San Pietro di Castello

Parrocchia di San Pietro di Castello

L’isola ove sorge la chiesa, chiamasi Olivolo, forse perchè aveva la figura di un’oliva, o piuttosto perchè anticamente vi germogliavano degli olivi. Perciò i primi vescovi qui residenti si chiamavano Olivolensi.

La denominazione di Castello, che vi è aggiunta, si reputa procedente dai ruderi di antico Castello, forse di costruzione romana, che diconsi qui rinvenuti. Sembra però verosimile, che questo nome sia derivato dalla muraglia di fortificazione ivi eretta sotto il Doge Pietro Tribuno, intorno al 906, di cui si è parlato nel discorso preliminare. Questa opinione trova appoggio nella circostanza, che Enrico Contarini, vescovo di questa chiesa, fu il primo che s’intitolò Castellano nel 1091, e quindi dopo la erezione di quel forte.

La prima chiesa, in questa località, dicesi fondata nel V secolo dalla famiglia Samacali, poi chiamata Caotorta, abitante nella contrada; era sacra ai Santi Sergio e Bacco, dei quali si custodiscono tuttavia le spoglie mortali. Nel 774 venne riedificata in maggiore estensione, dedicata a San Pietro Apostolo, ed eretta in Cattedrale. Il Vescovo Orso Participazio, figlio di Angelo, primo Doge in Rialto, la condusse a compimento, e la consacrò nel 30 Maggio 841.

Nei secoli successivi fu restaurata più volte, e alla fine riedificata nell’attuale sua forma per cura dei Patriarchi Priuli, Cardinale, e Tiepolo. Il Patriarca Cornaro la consacrò nuovamente nel 2 Settembre 1642.

La cattedra vescovile, eretta nel 774, vi si mantenne sino al 1451, alla quale epoca, soppresso il Patriarcato di Grado, diventò Patriarcale, Primaziale e Metropolitana. In questa condizione rimase sino al 1807, nel quale anno la cattedra fu trasferita di fatto nella Basilica di San Marco, traslazione dappoi sancita con bolla papale del 1816, placitata dall’imperatore Francesco I.

Chiesa

Tempio vasto e magnifico, di stile palladiano, costrutto nel 1621, architetto Gio. Grapiglia. Facciata d’ordine composito, architetto Francesco Smeraldi. E’ decorato di buone pitture e di qualche scultura; ho dato la sua descrizione nel mio libro Otto Giorni a Venezia.

Nella concentrazione delle Parrocchie, praticata nel 1810, si aggiunse a questa una frazione di quella di San Biagio, allora soppressa. Nel circondario attuale di questa parrocchia, sussistono le chiese seguenti:

San Francesco di Paola = Succursale.
San Giuseppe = Oratorio delle Monache Salesiane, al cui convento è annesso.
Santi Pietro e Paolo = Oratorio.

La giurisdizione di questa parrocchia si stende anche sull’Oratorio di Santa Maria Assunta nella vicina Isola delle Vignole, che è fuori della Città. La parrocchia stessa esercita pure qualche diritto sull’Isola di San Servilio, o San Servolo. Una volta il suo circondario abbracciava anche il Lido, e i due Lazzaretti, vecchio, e nuovo; ma queste frazioni furono smembrate quando, nel 1625, si eresse la parrocchia di Santa Maria Elisabetta del Lido, cui ora appartengono.

Innanzi la soppressione avvenuta sotto il governo italiano, nei primi anni di questo secolo, molte altre chiese esistevano in questa parrocchia di San Pietro e cioè

Santa Maria delle Vergini = secolarizzata, e incorporata al Bagno della Marina.
San Daniele = demolita.
Sant’Anna = incorporata Collegio di Marina.
San Gioacchino = secolarizzata.

Queste chiese, i rispettivi conventi, ed altri stabilimenti cui erano annesse, vennero atterrati per formare l’area dei pubblici giardini

San Domenico
San Nicolò
Concezione di Maria Vergine detta delle Cappuccine
Sant’Antonio Abate

Nella Chiesa di San Domenico erano tumulati molti personaggi illustri, fra i quali ebbe onorevole sepoltura anche la celebre letterata Cassandra Fedele. Qui prese l’abito dell’ordine dei Predicatori Pier-Francesco Orsini, assumendo il nome di Vincenzo Maria, il quale salito poi nel 1724 al soglio pontificio si chiamò Benedetto XIII, papa di altissima rinomanza.

Nella Chiesa di San Antonio Abate si trovava il monumento del celebre Vittore Pisani, colla sua statua, che dopo il 1807 fu trasportato nel Regio Arsenale, ed eretto nella Sala d’armi del piano superiore.

Patriarcato

Adiacente alla Chiesa di San Pietro sorge un vasto edificio, già residenza del Vescovi, indi dei patriarchi, ora è convertito in caserma ad uso della marina.

Punta di Quintavalle

È uno spazio che forma l’estremità meridionale dell’Isola di Castello Olivolo. Molto si è detto sulla procedenza di tale denominazione; è però verosimile che questa località, essendo la più remota di e Venezia, si sia chiamata Quindavalle o Quinavalle perché questa voce, nella lingua italiana dei secoli di mezzo, si usava per esprimere la giù basso, ma alquanto lontano.

Il vocabolo Quinavalle o Quindavalle fu poi agevolmente trasformato in Quintavalle. Dicesi fosse ivi domiciliata una famiglia Quintavalle, da cui si vuole dato il nome al sito; ma potrebbe anche la famiglia medesima averlo preso dalla località, come spesso avveniva nei secoli addietro. Lasciata l’Isola di Castello Olivolo, e attraversato il rio che la separa dal rimanente della città, si trova

Collegio di Marina

Questo stabilimento trovasi collocato nel già soppresso convento di Sant’Anna, ove era un cenobio di monache benedettine. È destinato alla istituzione de cadetti della marina, che vengono iniziati a coprire i posti di ufficiali in quel corpo: diretto da un ufficiale superiore di marina, è provveduto di scelti professori: vi si trovano costantemente circa 50 alunni. Tanto questo collegio, come la casa di educazione per i sotto-ufficiali, della quale si parlerà descrivendo la parrocchia di San Francesco della Vigna, vengono generosamente mantenuti dallo stato.

Salesiane

Il convento di San Giuseppe già ad uso di suore agostiniane, fu al principio di questo secolo concesso dal governo ad una società religiosa di monache salesiane, che si presta con merito segnalato alla educazione di donzelle.

Pubblici Giardini

Sorgono questi nel vasto spazio che finisce in una punta sulla laguna, spazio di già occupato, come si disse, da chiese, conventi, ospitali e dal seminario ducale. Un decreto 7 Dicembre 1807, del cessato governo italiano, destinò quel terreno alla erezione dei pubblici giardini: demoliti quindi tutti i fabbricati ivi esistenti, si piantarono i giardini con disegno del Selva, e presero la forma che tuttora conservano. Alcuni ornamenti vi furono aggiunti sotto l’attuale dominio di recente, una privata società vi fece costruire magnifica scuola di equitazione con buon maestro, e fini cavalli da maneggio.

Punta di Sant’Antonio

L’estremità meridionale dei pubblici giardini porta l’antico nome di Punta di Sant’Antonio, perchè ivi appresso sorgeva una chiesa intitolata a quel santo abate, annessa ad un cenobio di canonici regolari. Vicino al cenobio era l’Ospizio dei Marinari invalidi, al quale apparteneva la Chiesa di San Nicolò di Bari. Quella punta si chiamava anche Motta, per la sua elevazione.

Strada Nuova ai Giardini

In conseguenza del suaccennato decreto italiano, venne coperto di lunga vòlta quel tronco del Rio di Castello che si stendeva dal Ponte Nuovo, detto della Veneta Marina, sino oltre il punto d’ingresso ai suddetti giardini, e si formò così la strada nuova conducente ad essi giardini, lunga circa 250 passi veneti.

Ponte della Catena

Questo ponte era di legno, e sostenuto da catene onde poterlo alzare in caso di bisogno pel passaggio delle barche destinate ad entrare nel vicino Rio della Tana. Circa 20 anni or sono, venne ricostruito in marmo, e prese il nome di Ponte Nuovo: si chiama però Ponte della Veneta Marina, per l’adiacente bottega di caffè così intitolata.

Feste Veneziane

La Chiesa di San Pietro ricorda uno di quegli avvenimenti che sembrano accompagnare l’adolescenza delle nazioni, e che manifestano la ferocia degli offensori, l’energia degli offesi, lo spirito e la condizione dei tempi.

Gli antichi Messeni, violando le belle Spartane raccolte nel Tempio di Diana per celebrare i sacri misteri, accesero la terribile messenica guerra, che innaffiò il suolo greco di tanto sangue. Il Ratto delle Sabine segnò l’epoca della fondazione di Roma, sviluppando il violento carattere del popolo che si proponeva la conquista dell’universo. Venezia, nascente in Rialto, d’uopo aveva d’abitanti: però il Governo, ben lungi d’imitare e Greci, e Romani, e di seguir la politica del senato di Sparta che autorizzò con decreto l’adulterina generazione dei Parteni, saviamente dispose più retti provvedimenti onde rendere popolosa la capitale.

Prese quindi ogni cura di promuovere e proteggere i matrimoni, e di segnalare la santità delle nozze colla più splendida magnificenza. Sino da primi, tempi si destinarono il tempio di San Pietro, e il giorno della Purificazione di Maria Vergine, ricorrente il 2 Febbraio, per consacrare gli sponsali di questi abitanti; per la qual cosa la maggior parte del matrimoni contemporaneamente, e nella Chiesa medesima celebrandosi ogni anno, diedero origine ad una festa nazionale di commovente amistà, e di brillante esultanza.

Per innalzare a più alto decoro tal Festa, fu poi decretato, che 12 fanciulle distinte per saviezza e avvenenza, annualmente prescelte fra le famiglie povere, si dotassero dallo Stato, e ricoperte di candide vesti e d’ampio velo sul capo, fossero presentate all’Altare dal Doge con tutto lo splendore della sua dignità.

Regnante Candiano II, o come vogliono alcuni, Candiano III, cioè fra l’anno 932 e il 942, spuntato il sole, che illuminar doveva la cerimonia, tutti erano devotamente nella cattedrale riuniti, quando alcuni pirati dalle istriane coste venuti, e durante la notte appiattati a tergo dell’Isola di Castello Olivolo, sbucando da lor nascondigli invasero a mano armata la chiesa, rapirono a piedi dell’altare le spose e le arcelle che racchiudevano il corredo delle medesime, e gettato confusamente il tutto nei loro navigli fuggirono a piene vele.

Niuna resistenza opporre potevano gli astanti dall’improvviso assalto atterriti: ma il Doge intrepido, troncato ogni indugio, esce dal tempio coi giovani sposi, e con i più coraggiosi, scorre le vie, i cittadini chiamando a vendicare l’oltraggio. Formato rapidamente uno stuolo di armati, vi si pone alla testa, s’imbarca, e va in traccia dei rapitori.

Li raggiunge a Caorle, ove, presa terra, si disputavano la divisione della preda. Colà sorpresi li attacca con gagliardia, li combatte, li uccide, e ne getta i cadaveri al mare onde privarli persino dell’onore del sepolcro. Il campo della battaglia si felicemente agitata prese il nome, che tuttora conserva, di Porto delle Donzelle. Ricuperate spose ed effetti, tutti tornarono a Venezia in trionfo, e la generale esultanza aggiunse nuovo lustro al compimento dei sacri riti, e al rendimento di grazie verso l’Altissimo.

Per conservare memoria di sì famoso successo, i casselleri (fabbricanti di casse) che somministrato avevano sull’istante il nerbo di quelle forze, chiesero in grazia, il Doge visitasse ogni anno, nel giorno appunto della Purificazione di Maria Vergine, la chiesa di Santa Maria Formosa, nella cui parrocchia erano stabiliti. Scosso da meraviglia per la moderazione della domanda, il Doge mise scherzosamente in campo qualche difficoltà, dicendo: e se piovesse? noi vi daremo cappelli onde coprirvi, risposero: E se avessimo sete? vi daremo da bere. Soddisfatto il Doge da tanta semplicità, concesse la grazia: così ebbe principio la visita che nel suddetto giorno il capo della Repubblica, dopo la celebrazione dei matrimoni, faceva annualmente alla chiesa di Santa Maria Formosa, nella quale circostanza il pievano gli offriva in nome dei parrocchiani, alcuni cappelli di paglia, qualche bottiglia di malaga, e degli aranci. Questa festa fu intitolata delle Marie, forse pel giorno sacro a Maria in cui ricorreva, o forse perché molte spose portavano della Beata Vergine il nome.

Si Celebrava nel primi tempi con lauta pompa per otto giorni continui, nel corso dei quali le Spose, magnificamente ornate, giravano per la città; lo che diede argomento all’ingegno d’illustri letterati di comporre fioritissime descrizioni sotto il titolo di Ludi Mariani. Continuamente aumentando il dispendio per quelle feste, adottò il Governo nel 1272 di limitare il numero delle spose, riducendole da 12 a 4, poi a 3: finalmente scomparsa l’antica modestia, cominciò introdursi qualche disordine che adombrava la santità della cerimonia, per cui alle donzelle furono sostituiti dei simulacri onde rappresentarle, lo che diede causa alle derisioni, e ad altra natura d’inconvenienti.

Sopravvenuta intanto la guerra di Chioggia che occupava la nazione di più gravi sollecitudini, si soppressero nel 1379 i Ludi Mariani, né più vennero ristabiliti; continuarono peraltro sino alla fine del governo aristocratico, nel giorno prestabilito, la consueta visita annuale del Doge alla chiesa di Santa Maria Formosa, e la offerta che gli faceva il pievano.

Visita al Monastero delle Vergini

Alla fine del secolo XII, si eressero nei contorni dell’Isola di Castello una Chiesa intitolata a Maria Vergine, e l’adiacente cenobio, nel quale entrarono alcune suore prendendo l’abito di Sant’Agostino, e si chiamarono Le Vergini.

Il Doge e il Governo avendo sostenuta la spesa di quel sacro stabilimento, ne rimase il patronato al governo medesimo, per cui ogni nuova abbadessa riceveva dal Doge la investitura della sua dignità, nella quale cerimonia esso Doge le poneva in dito un anello d’oro che ella portava durante la vita. Inoltre si decretò, che nel giorno primo Maggio di ogni anno, il Doge con la signoria visitasse la chiesa, e dopo l’ufficio divino, anche le suore.

In quella occasione l’Abbadessa, pomposamente vestita, recitava elegante discorso, talvolta nella lingua del Lazio, e regalava il Doge di un ricco mazzo di fiori con manico d’oro, e guernito di merletti veneziani. Altri fiori si distribuivano al corteggio del principe, il quale poi con benigne parole si congedava. Questo anniversario continuò sino alla fine della Repubblica. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia di San Pietro di Castello dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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