Chiesa di Santa Maria della Visitazione vulgo la Pietà

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Chiesa della Visitazione di Maria Vergine - Castello

Chiesa di Santa Maria della Visitazione vulgo la Pietà. Ospizio per gli esposti.

Storia della chiesa e dell’ospizio

Che un infame mal regolato amore vada poi a terminare in una crudeltà, di cui non sono capaci né men le fiere, se ne videro non di rado luttuosi esempi in quelle non meno scellerate che infelici madri, le quali avendo raccolto da illegittimi amplessi qualche frutto delle lor viscere, o gli tolsero barbaramente due vite dopo avergliene data una, o, esponendolo per minor male lasciarono che l’altrui carità supplisse al loro difetto. Di tali infelici fanciulli, gettati a qualunque evento ne permettesse la Divina Providenza, abbondava la città di Venezia, massimamente nel secolo XIV, allorché arrivò a Venezia nell’anno 1310 per spargervi il seme della divina parola Fra Pietro d’Assisi francescano, uomo di sommo zelo e di egual carità, il quale dopo aversi con l’apostolica sua predicazione acquistato il credito ed applauso universale, nel veder di tratto in tratto giacere semivivi sulle pubbliche strade miserabili bambini abbandonati dai lor genitori, sentissi dai loro vagiti penetrare le pietose viscere. Eccitato dunque nel cuore dalla divina misericordia, che disposto aveva il rimedio al grave male, dispose di fondar un pio luogo, ove si raccogliessero e nutrissero gli esposti fanciulli, molti dei quali perivano bene spesso anco prima di essere rigenerati nel sacro lavacro. Pubblicata dal pio uomo la sua intenzione, ed implorata nell’anno 1346 dall’autorità pubblica la permissione di fondare l’ideato ricovero, cominciò a ricercare dalla misericordia dei fedeli gli opportuni aiuti, elemosinando in persona di porta in porta non con altri termini, che con ripeter ad alta, e flebile voce Pietà Pietà. Dal che il buon uomo, che era piccolo di statura, acquistò il soprannome di fra Pieruzzo dalla Pietà, sotto cui vien conosciuto come primo fondatore del pio luogo della Pietà. Radunati poi alcuni devoti uomini ne instituì di essi in chiesa di San Francesco sotto l’invocazione del detto santo una confraternita, di cui cura fosse raccogliere e dalle strade, e dalle piazze, ove esposti fossero, gli abbandonati bambini, e ridurli a ricovero nell’ospizio a ciò destinato. Con quali regole si governasse al principio questa pia congregazione non ci è noto; solo sappiamo, che presedeva al luogo un rettore ed un sotto rettore, e che furono prese ad affitto diciasette case non molto lontane dal monastero di San Francesco per collocarvi gli esposti bambini; d’onde poi quel luogo fu denominato Corte della Pietà, lasciata poi nell’ anno 1475 in legato da Lucrezia Dolfin all’ospedale stesso della Pietà.

Crescendo frattanto all’eccesso il numero degli esposti, per l’accoglimento e nutrimento dei quali ristretti erano i luoghi, ed inferiori le forze dei confratelli, pensò saviamente fra Pietro, già istituito priore attuale del luogo, di dividere i maschi dalle femmine, e lasciando di quelli incarico alla confraternita già eretta, consegnare queste ad una congregazione di matrone, che a tal oggetto istituì nella vicina chiesa Santa Maria della Celestia sotto l’invocazione di Santa Maria dell’Umiltà. Comprò egli poi una ben ampia casa nella Parrocchia di San Giovanni in Bragora, che lasciò nel suo testamento fatto con dispensa apostolica per perpetuo uso dei miseri esposti; dopo di che l’uomo di Dio passò a ricever nell’altra vita il premio destinato ai misericordiosi, correndo l’anno del Signore 1353. Insorsero appena morto il buon fondatore varie contese atte a turbare un così lodevole istituto. Poiché fra le due congregazioni, alle quali era demandata la cura degli esposti, cominciarono a nascere gare e pretese per il governo del luogo, le quali tosto furono dalla pubblica provvidenza sopite, stabilendo che alla direzione locale del pio luogo fossero prescelte le donne, come più capaci in tale esercizio di allevare figli, e poi fu con legge del maggior consiglio decretato nel giorno 15 di dicembre dell’anno stesso 1353 che la priora dell’ospedale fosse bensì eletta dalla congregazione delle donne di Santa Maria dell’Umiltà, ma dovesse essere confermata dal doge, al quale ed ai di cui successori fu raccomandato il pio luogo in perpetuo giuspatronato.

Nuovo tentativo per interromper il felice corso della pia opera fu fatto nell’anno 1356, allorché un rettore della confraternita degli uomini, unito ad alcuni dei suoi compagni, trasportò la Scuola di San Francesco alla Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari: ma oppostasi la parte più sana dei confratelli fu stabilito, che la scuola di San Francesco dovesse ritornare alla primiera sua chiesa, ed ivi stabilmente fermarsi.

Raffreddatosi poi, e non molto dopo totalmente estinto il caritatevole fervore dimostrato dalla confraternita degli uomini a favore del pio luogo, restò alle sole donne il peso di ricevere e nutrire i fanciulli di ambi i sessi, onde comprato dalle stesse un dilatato numero di oltre 25 case in aggiunta all’antica fabbrica dell’ospedale, ne fu dilatato il recinto, onde supplire al necessario accoglimento degli abbandonati bambini.

Ma conoscendo le savie matrone, che per gli affari più gravi d’uopo avevano e di consiglio e d’aiuto, elessero quattro assennati uomini fra l’ordine dei patrizi, con l’assistenza, e prudenza dei quali dirigere si dovessero. A questi ne aggiunse alcuni altri nell’anno 1540 Lucrezia Gritti, allora priora del luogo, onde ebbe principio la congregazione, che ora pienamente governa e l’interno e l’esterno del pio luogo. Poiché nell’anno 1571, essendosi il solito numero dei governatori aumentato d’altri quattordici fu stabilito, che la congregazione delle matrone fosse in avvenire convocata nei casi di bisogno. Così andò estinguendosi la benemerita congregazione di Santa Maria dell’Umiltà, la quale elesse nell’anno 1604, l’ultima priora dell’ospedale, che restò poi unicamente soggetta alla congregazione dei nobili.

Dalla carità di questi incessantemente assistito il pio luogo poté coll’aiuto della divina provvidenza mantenere un numero riguardevole di fanciulli, che ivi sono istruiti nei dogmi di nostra religione, e poi opportunamente applicati a qualche esercizio adattato alla loro abilità. Quantunque però molti siano, e ben disposti gli edifici del luogo, con tutto ciò al numero oltremodo grande, che vi concorre di fanciulli, massimamente dalle parti di mare, fu giudicato nei principi del secolo XVIII necessario di doverlo ampliare di circuito, ed aumentare di fabbriche, riducendo ancora la troppo angusta chiesa ad una struttura più comoda alla moltitudine degli abitatori, e più conveniente al decoro della città. Pose nei fondamenti di essa nuova chiesa la prima pietra solennemente il doge Pietro Grimani sotto il titolo della Visitazione della Beata Vergine Maria, come si rileva dal medaglione, che fu gettato nei fondamenti stessi, e di cui se ne esibisce a suo luogo una copia.

Non solo per perpetua ricordanza del benefico giuspatronato, che devono conservare di questo pio luogo i dogi di Venezia, ma anche per acquistare le antiche indulgenze concesse dai romani pontefici a chi nella domenica delle Palme visitasse quest’ospedale, e stendesse a soccorrerlo le mani elemosiniere, visitano annualmente il principe ed il senato nella stessa domenica la chiesa dell’ospedale, e benchè secondo il metodo corrente più non vi sia l’obbligo dell’elemosina, con tutto ciò per spontaneo impulso dei loro animi lasciano a sovvenimento di quei poverelli qualche soccorso. (1)

Visita della chiesa (1839)

Con la costruzione della nuova chiesa venne introdotto nell’ospizio l’uso della ruota onde ricevere i bambini che dalle balie permanenti vengono allattati fino a tanto che siano consegnati alle balie campestri. Appo di esse rimanevano i maschi sotto la Repubblica sino ai 10 anni: e le femmine sino ai 14; passato il qual tempo venivano o rimandati al luogo o trattenuti senza compensi. Il desiderio del veneto governo che molti esposti si assoggettassero all’agricoltura faceva dare dei premi ai parroci, alle balie ed agli esposti medesimi affinché quei figli fossero indotti ad amare la vita dei campi.

Tuttavolta i figli rimandati e raccolti nel luogo sino all’ordinario numero di 500 venivano a varie mansioni distribuiti. I maschi apprendevano qualche utile professione e le donne; parte si esercitavano nei lavori muliebri, e parte (per il favore di un apposito-legato del nobile Pietro Foscarini) si ammaestravano nel suono e nel canto come veniva già praticato negli ospedali maggiori della nostra città. Questo della Pietà andava però sopra gli altri distinto per la perizia nel suono facendone bella mostra le sue figlie ad ogni festa nell’accompagnare i divini uffici ed in certi determinati giorni, in cui avevano luogo degli spirituali concerti chiamati oratori. Ora sebbene la Pietà sia il solo speciale nel quale, per servire alle intenzioni dell‘anzidetto testatore Foscarini, venga la musica coltivata non offre però che una languida immagine del vanto antico.

Presentemente la casa degli esposti, come nei tempi della repubblica, viene diretta da apposita amministrazione, il che non era sotto il cessato regime italico il quale (anno 1807,) concentrando tutti i luoghi pii in una sola amministrazione l’affidava alla così detta congregazione di carità composta dei soggetti principali della città nostra. Durò essa sino al 1826 in cui dall’attuale governo scorporate quelle amministrazioni si diedero ai singoli pii luoghi con massimo loro vantaggio.

Non sarà discaro all’intelligente l’entrare in questo ospizio della Pietà affine di vedere il gran quadro di Alessandro Bonvicino chiamato il Moretto esprimente la Maddalena ai piedi di Gesù Cristo.

Non badiamo più che tanto al costume tradito nel rappresentare cotesto storico punto; ma la correzione si esamini delle figure e l’espressione dei due protagonisti, Gesù Cristo e la Maddalena; quegli che mostra commosso al Fariseo ciò che faceva per lui la penitente, ed il vero lagrimare, la vera umiltà di costei che tutta prostrata ai piedi divini gli unge col balsamo suo. E chi mai dopo si belle espressioni non ravviserà in cotesto quadro il buon succo altresì del colore, e quella maniera di dar rilievo alle cose senza sforzi di ombre, ma col semplice vario effetto del colorito.

Veduta un tal quadro, passiamo adesso ad osservare la prossima chiesa della Pietà eretta sul disegno di Giorgio Massari (anno 1745). Sé nella facciata e nell’interno, colpa le traversie degli ultimi tempi, non ricevette finora l’intero compimento, ben per le sollecitudini dell’odierno direttore della casa degli esposti, signor Angelo Duse, andrà assai presto a riceverlo. Frattanto entrando in essa vedremo dipinta da Francesco Cappella nel primo altare alla destra la pala, con Nostra Donna, il Beato Pietro Acotanto ed i Santi Domenico, Vincenzo e Teresa. Nel 2. altare troveremo dipinto da Domenico Maggiotto San Spiridione che per miracolo fa uscire l’acqua da una fiamma. Nel maggior altare si cominciò da Giambattista Piazzetta la tavola con la Visitazione di Nostra Donna (titolare della chiesa}, e si compiva dal suo discepolo Giuseppe Angeli. Giammaria Morlaiter fece poi gli angeli del tabernacolo.

Fu il detto Giuseppe Angeli che nel 1. seguente altare all’altro fianco della chiesa, con tanto buon gusto di panneggiamento e di distribuzione nelle figure, faceva la pala esprimente San Pietro Orseolo che riceve l’abito di monaco per le mani di San Romualdo, e fu Antonio Marinotti, detto il Chiozzotto, che fece la pala del 2. ed ultimo altare col Crocifisso ed i Santi Francesco di Paola ed Antonio di Padova.

Però ciò che deve richiamare più l’attenzione nostra egli è il soffitto dipinto a fresco da Giambattista Tiepolo e rappresentante l’incoronazione di Maria Vergine. Si consideri in prima al poetico pensiero di far che Maria spicchi dal globo terracqueo e si sollevi al cielo sulle ali degli angeli con tal direzione da dover incontrare di necessità la corona con cui il Padre Eterno, posto alla sinistra, è in atto di cingerle il capo; indi l’altro pensiero si calcoli di fare spiegare dagli angeli il gran manto di lei così da dover ricoprire l’universo. Ma finalmente chi mai tanto è ignaro di ogni artifizio pittorico da non conoscere gli arditi scorci di quei angeli che formano l’avanti del quadro, la penombra in che tutti stanno quelli occupanti il mezzo affinché fosse servata una luce più pura sugli altri distribuiti nelle più lontane regioni del paradiso? Alcuni notarono è vero un po’ di confusione in quest’opera, e niuno può essere si tenero del Tiepolo da discolparnelo, comunque sempre si saggio nella economia delle cose. Però chi non ravvisa il genio e chi non trova forse la causa della stessa confusione nell’entusiasmo onde era Tiepolo investito producendo quivi col fatto le grandi idee che lo agitavano? Tuttavolta se una falsa educazione non ha distrutto in noi ogni senso del bello, se per alcune lievi esagerazioni non vorremo chiudere gli occhi alle originali bellezze esistenti in questo soffitto, notiamo almeno la luce si bene in esso maneggiata, valutiamo a parte a parte il prezzo di ogni figura e lacciamo tesoro di tutto a pro dei nostri studi. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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