Chiesa e Monastero di Sant’Anna

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Chiesa di Sant'Anna - Castello

Chiesa e Monastero di Sant’Anna. Monastero di Monache Benedettine. Chiesa e Monastero secolarizzati

Storia della chiesa e del monastero

Il santo istituto degli Eremiti, che vivevano professando la regola di Sant’Agostino, fu diffuso dall’Africa nel resto del mondo cattolico, probabilmente nei tempi della persecuzione vandalica, che diede tanti martiri al cielo. Alcuni di questi religiosi solitari che abitavano nei boschi, e nelle solitudini del territorio di Fano, nella Marca d’Ancona, nei principi del secolo XIII, unitisi insieme fondarono vicino a Brittina, piccolo Castello nella diocesi di Fano, una chiesa, ed un angusto monastero sotto l’invocazione del Vescovo e Martire San Biagio: d’onde ebbe origine la Congregazione dei Brittini, o Brettinesi dell’ordine di Sant’Agostino. L’esemplarità dei nuovi cenobiti trasse moltissimi ad aggregarli al loro austero istituto; cosicché convenne pensare alla fondazione di nuovi monasteri, per soddisfare ai santi desideri dei concorrenti, e destinare uno del loro numero, che con titolo di priore generale dirigesse l’intero corpo dell’istituita congregazione.

Esercitava tale ufficio nel 1240 un uomo piissimo per nome Andrea, che destinò uno dei suoi più esemplari religiosi per nome Giacomo da Fano, acciocché procurasse d’acquistare nella città di Venezia una nuova sede per la sua religione. Ubbidì Giacomo ai comandi del superiore, e con l’assistenza della divina previdenza comprato nell’ anno 1242 un sufficiente spazio di terreno vacuo, non lungi dalla cattedrale, vi fabbricò sopra, con permissione di Pietro Pino vescovo castellano, una chiesa, ed un monastero sotto il titolo delle Sante Anna e Caterina. Tale fu la probità dei costumi, con la quale quei primi religiosi si meritarono l’amore universale, che per autorità del Maggior Consiglio nel giorno 14 di marzo 1284.ottennero indulti, ed elemosine dal pubblico erario, eguali a quelle, che prima erano state concesse alle due religioni dei predicatori, e dei minori.

Ma come la situazione del luogo, collocato nell’estremo angolo della città, rendeva difficile ai buoni religiosi l’esercizio del loro zelo per l’aiuto dei prossimi, così avendo ritrovato sito più opportuno nella parrocchia dl Santo Stefano, pensarono d’alienare interamente le fabbriche di Sant’Anna. Ne concesse loro la facoltà Bartolommeo Querini di questo nome II vescovo castellano; a condizione però, che quelle oneste persone, alle quali fosse cesso il monastero, dovessero sempre essere soggette ai vescovi castellani, e finché si eseguisse la mutazione, dovessero ivi abitare solo quattro frati coi suoi serventi. Si offrì ben presto l’opportunità d’alienare il monastero ad alcune devote femmine, le quali dirette da una Superiora, chiamata Maria Zotto, desideravano in luogo remoto servire a Dio professando la regola di San Benedetto. Fu segnato dunque l’accordo nell’anno 1297, ma le religiose donne non s’introdussero nell’acquistato monastero, che verso il fine dell’anno 1304, o nei principi dell’anno susseguente, in cui nel giorno 28 di giugno Maria Zotto, già dichiarata abbadessa, con altre quattro monache si presentarono al vescovo di Castello Ramperto Polo, ed ivi, presente il priore di Santo Stefano, cessarono volontariamente al priore stesso, ed al di lui convento tutte le pie oblazioni donate già dai fedeli al Monastero di Sant’Anna fino al giorno della mutazione, e traslazione del monastero stesso fatta a loro favore. Varie poi furono le controversie, che per motivo di tal cessione furono agitate così nei fori ecclesiastici, che nei civili, e si rileva da una sentenza dei giudici della curia, detta del procuratore; per cui alcuni beni lasciati al Monastero di Sant’Anna, mentre in esso abitavano i frati Agostiniani, furono nell’anno 1343, con positiva sentenza dichiarati appartenenti in egual porzione ai due contendenti monasteri.

Andarono poi, per la miseria dell’umana instabilità, decadendo dal loro primiero fervore le monache, ed avendo alcune di esse, sorto pretesto della loro debole complessione, e dell’intemperie dell’aria, ottenuto da Pietro cardinal Riario, legato apostolico, una troppo perniciosa facoltà di potersi portare alle case dei loro congiunti accompagnate da due, o più monache, senza ché l’ordinaria autorità del patriarca potesse opporvisi, da ciò ne contrassero elle sentimenti e costumi secolareschi, che facilmente comunicarono all’altre. Rese dunque di solo abito religiose, niente per la loro riforma eseguirono di quei salutari documenti, coi quali il pio patriarca Antonio Contarini procurò ridurle al loro dovere. Onde conoscendo inutili tutti i rimedi, pensò d’introdurre in una parte separata del monastero alcune monache, tratte da gli osservanti chiostri di San Giovanni Laterano: deliberazione, che fu poi approvata, e confermata dal Pontefice Leone X, che con suo decreto in data 12 ottobre dell’anno 1519, prescrisse, che in simile maniera dovessero ridursi all’osservanza tutti gli altri monasteri delle monache Conventuali.

Riuscirono fruttuose le diligenze del zelante prelato, poiché eccitare dall’esempio delle nuove abitatrici seguirono gli impulsi della divina grazia, che le chiamava, e fecero rivivere nel monastero l’antico splendore dell’osservanza, che tuttavia vi si conserva.

Perché però restasse in questi chiostri un perpetuo stimolo al ben operare, le monache di San Giovanni Laterano vi lasciarono in deposito il corpo della virtuosa serva di Dio Suor Niccolosa, che avevano seco portato dal primo loro monastero, ove ella santamente morì, illustrata poi da Dio con grazie miracolose. Fu quel rispettabile corpo per ordine del patriarca Girolamo Quirini collocato in un sepolcro eminente alquanto da terra, ed affisso al muro, ove riposò finché nell’inverno dell’anno 1689, essendovi penetrata insensibilmente l’acqua dalla molta copia delle nevi, fu per comando del patriarca Giovanni Badoaro schiuso il sepolcro, ove ritrovarono il virgineo cadavere, malgrado l’umidità del luogo, affatto incorrotto con le vesti di lana sane ed intatte, quasiché dal contatto delle verginali carni partecipata avessero l’incorruzione. Riposto poi nel suo sepolcro, fu d’indi per alcuni prodigiosi segni avvenuti nuovamente estratto, e così avendo prescritto il soprallodato patriarca, fu per tre giorni esposto alla devozione del popolo: dopo di che rinchiuso in una decente cassa, coperta di panno nero, fu collocato separatamente nel coro interiore delle monache.

Frattanto andava l’antica chiesa dimostrando ogni giorno più manifesti contrassegni di non lontana rovina, onde convenne rinnovarla. Fu nel giorno 4 di ottobre dell’anno 1634, gettata la prima pietra benedetta nei fondamenti della nuova chiesa, che poi ridotta a perfezione conseguì il decoro dell’ecclesiastica consacrazione nel giorno 4 di luglio dell’anno 1659, per mano di Giovanni Francesco Morosini, patriarca di Venezia. La medaglia impressa per memoria della fondazione di questa chiesa si è di sopra esibita con altre molte nel fine della prefazione.

Poco discosto dal Monastero di Sant’Anna è situato un devoto conservatorio, ove vivono alcune buone donne, che professano la regola del terzo ordine di San Francesco. Ne fu l’istitutrice Elena Marchi, che nell’ anno 1418, lasciò una sua casa posta nella parrocchia di San Pietro con alcune rendite per abitazione, ed alimento di quattro suore del terzo ordine serafico. Avendo poi nell’anno 1630 la pestilenza, che affliggeva Venezia, rapite tutte le suore a riserva di Domenica Rossi, poté questa sola con l’assistenza divina acquistare al religioso luogo nuove abitatrici, che poi nell’anno 1727, per maggiore perfezione di vivere si ridussero allo stato di comunità sotto il soave giogo dell’ubbidienza. (1)

Visita della chiesa (1733)

Entrando dentro a mano sinistra la tavola prima con la Santissima Trinità la Beata Vergine ed un angelo in aria, abbasso i Santi Gíoacchino, ed Anna è di Domenico Tintoretto. Segue l’organo tutto dipinto da Pietro Vecchia. Sopra le portelle nel di fuori la nascita di Maria, nel di dentro lo sposalizio, ed il transito di San Giuseppe. Nel parapetto la natività del Signore e dalle parti l’Annunziata. Nel soffitto San Giovanni Battista che predica nel deserto. La tavola dell’altare maggiore con il Padre Eterno, e molti angeli è opera di Bartolommeo Scaligero. Dal lato destro di detto Altare vi è Cristo la Vergine, i Santi Anna, Rocco, Sebastiano, e Lorenzo Giustiniani in aria, ed abbasso il flagello della peste, che segui in Venezia l’anno 1630; pittura di Giovambattista Lorenzetti. Nel lato sinistro un quadro con Nostra Signora la Vergine, Sant’Anna ed alcuni angeli, e nel piano i Santi Marco, Giovambattista, Nicolò ed altri, con alcuni scheletri di vascelli è di Bartolomeo Scaligero. Dai lati della detta cappella maggiore al di fuori vi sono due quadri l’uno con San Benedetto, e l’altro con Santa Scolastica opere della maniera del Tiepolo. Vicini a questi vi sono due quadri bislunghi di Santo Piatti con azioni di due santi benedettini, e due altri simili in fondo la chiesa dello stesso aurore. Il soffitto è di Francesco Ruschi; opera delle sue più belle, eccetto l’ovato di mezzo, senza il quale sono pezzi 14, con parabole dell’Evangelio. Sopra il finestrone delie monache vi è San Lorenzo Giustiniani, che appare in spirito a comunicare la Beata NicoJosa abbadessa delle stesse madri; opera di Michele Neithlingher. Dice il Boschini, che sia in questa chiesa un pallio d’altare fatto d¡ ricamo dalle figlie del Tintoretto Ottavia, e Perina, rappresentante la Passione dipinta dal loro genitore in San Rocco. Nell’uscire di chiesa si vede una tavola con un santo francescano di maniera bolognese. (2)

Eventi più recenti

Nel 1807 i loro edifìci furono secolarizzati, per poi, mediante il decreto 25 aprile 1810, accogliere il Collegio di Marina. Ora però si prestano ad uso di ospedale del III Dipartimento Marittimo. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) GIUSEPPE TASSINI. Edifici di Venezia. Distrutti o vòlti ad uso diverso da quello a cui furono in origine destinati. (Reale Tipografia Giovanni Cecchini. Venezia 1885).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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