Chiesa e Convento di San Francesco della Vigna

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Chiesa di San Francesco della Vigna - Castello

Chiesa dei San Francesco della Vigna. Convento di Frati Minori Osservanti.

Storia della chiesa e del convento

Per impulso di quella devota propensione, che nutriva verso il Serafico istituto Marco Ziani Conte d’Arbe, figlio di Pietro doge, volle non solo con pii legati beneficarne gli alunni, abitanti in Santa Maria Gloriosa dei Frari, ma prescrisse pur anche d’esser sepolto appresso d’essi nella tomba comune dei Frati. Assegnò pure una vasta sua vigna, posta nella parrocchia di Santa Giustina, in cui eretta si vedeva una chiesa, acciocchè servisse di abitazione perpetua a sei religiosi, che dovessero esser tratti dalla religione dei Minori, o pur dei Predicatori, o dall’Ordine Cisterciense, i quali fossero ivi convenientemente con le di lui rendite in perpetuo trattati. La cagione, per cui il pio testatore nel suo testamento abbia preferita la religione serafica all’altre due, l’accenna egli nel suo testamento: perché, dice egli, a principio, quando essi Frati Minori giunsero a Venezia, dimorarono in essa vigna. Segno il suo testamento Marco Ziani nell’anno 1253 e poco dopo morì: il che si rileva da un pontificio diploma di Alessandro papa IV, dato nell’anno seguente, in cui lodando, la pietà di Marco testatore, permette al provinciale dei Minori della Marca Trevisana, di poter in detta vigna, secondo la testamentaria ordinazione, costruire un convento ed abitarvi. Concorsero tosto i commissari del defunto ad eseguire la di lui volontà, e solo uno di essi, per nome Giovanni Campolo, sotto frivoli pretesti ritirandosi dal parere degli altri ostava all’adempimento. Perciò ricorsa al pontefice Alessandro IV, Costanza figlia del marchese d’Este, e vedova del defunto conte Marco, ottenne, che con un breve apostolico costringesse nell’anno 1255 il renitente commissario all’esecuzione del suo dovere. Comandò poi nello stesso anno il pontefice ai frati Minori, che ricever dovessero dalle mani del commissario il luogo loro lasciato dal Ziani; e risaputo poi, che ne erano stati introdotti al possesso, con nuova apostolica bolla, segnata nell’anno 1256, ne approvò la consegna, e ne confermò perpetuo l’uso per abitazione dei frati. Poiché poi il nuovo monastero era poco discosto dall’altro di monache Cisterciensi, dette della Celestia, ed un’antica costituzione stabilita dal vescovo Castellano, e confermata dal patriarca di Grado, e dalla sede apostolica prescriveva, che niuno luogo religioso potesse fondarsi in Venezia, se non lontano cento e cinquanta passi da qualunque altro, derogò il pontefice per questo solo caso alla legge comune, ed ai privilegi dell’ordine Cisterciense.

Ma quantunque il possesso ottenuto fosse stato dalla suprema autorità del pontefice con bolla particolar confermato, con tutto ciò neppur questo bastò a fermare in quiete i nuovi abitatori. Perciò i procuratori della Chiesa di San Marco, commissari anch’essi del defunto Ziani, trattarono di escluderli dal luogo, sotto pretesto, che non dovevano le religioni possedere due monasteri nella stessa città, e che la fondazione del luogo offendeva altamente il Monastero della Celestia, ed i privilegi della sua religione. Si opposero a tal pretesa gli altri commissari; e ridotto l’affare a litigio, fu con sentenza dei giudici deciso, che i Frati Minori primi di ogni altro potessero, quando loro fosse di piacere, abitar nella vigna, e possederne le officine, ed altre pertinenze tutte ad essa annesse.

Si stabilì dunque in perfetto possesso del sacro luogo, vissero per lungo tempo in numero di sei sacerdoti, e due laici con quelle elemosine, che loro continuavano a somministrare i commissari del Ziani, finchè per l’odore di virtuose loro azioni avendo tratti molti a seco convivere, convenne ampliare di molto il ristretto convento, ed alzar dai fondamenti una chiesa più capace a contenere la frequenza del popolo, che vi concorreva. Fu eretta questa nuova chiesa sul modello di Marino da Pisa, architetto in quei tempi rozzi assai celebre. Fu però conservata l’antica chiesa, che, come porta la tradizione, è quella che tuttavia sussiste nell’orto del monastero, dedicata all’evangelista San Marco, di cui, è fama, che ivi sorpreso da burrasca pernottasse. Ritornando il santo (così scrive nella sua Cronaca Andrea Dandolo doge) da Aquileia, ove aveva piantato l’evangelo, a Roma, giunse alla palude chiamata Rivoalto, ove incalzando il vento, si fermò ad un luogo eminente nella laguna, e rapito in estasi udì dirsi da un angelo: Pace sia con te, o marco, qui riposerà il tuo corpo. Credette l’apostolo, che con ciò gli venisse predetto il naufragio, ma soggiunse l’angelo: Non temer Evangelista di Dio, molto ti resta ancora a patire. Dopo la tua morte qui si fabbricherà una città, ove sarà trasportato il tuo corpo, e tu ne sarai il protettore. A questo racconto del doge Dandolo era prestata sì ferma credenza da tutti universalmente i veneziani, che soleva ogni anno, come lo attesta il Sabellico, portarsi il doge ed il senato a visitare quest’antica chiesa, che si credeva fabbricata nel sito preciso, ove l’angelo apparve all’evangelista.

Abitarono nel dilatato monastero i religiosi, accresciuti non solo in numero, ma in splendore di virtù e di dottrina: al che contribuì molto una nobile raccolta di libri donata loro da Andrea Bragadin, detto Fascella, insigne benefattore, per le di cui elemosine si era quasi interamente rifabbricato il convento, come a spese della famiglia Marcimana si era eretta la nuova chiesa. Per l’esemplare vita però, che ivi conducevano i frati, molti erano quelli, che desiderosi d’osservare la regola nel suo rigore, chiedevano di essere introdotti in questi chiostri. Che però essendo nell’anno 1472, arrivato a Venezia l’apostolico San Bernardino da Siena, talmente sotto il di lui magistero si aumentarono i frati, che convenne loro fabbricare in altro angolo della città il Monastero di San Giobbe.

Fu in oltre decorato questo monastero con la dimora, che in esso fecero San Giovanni di Capistrano, e San Giacomo dalla Marca, l’uno e l’altro dei quali per lunghi, e replicati tempi seminarono in Venezia la divina parola. I beati Alberto Sartiatense, Angelo da Clavasio, e Bernardino da Feltre diedero in questo convento illustri testimonianze di loro virtù, ai quali aggiungere si possono il venerabile Antonio dei Pagani veneto, fondatore delle congregazioni delle donne dette Dimesse, ed il P. Pietro d’Assisi, i cui sotto nome di fra Pieruzzo della Pietà dovranno dirsi molte cose all’ospedale di tal nome, da lui fondato. Frattanto la chiesa fabbricata, come dicemmo, dalla famiglia Marcimana, dava manifesti contrassegni di non lontana rovina; perciò fu di necessità il pensare a nuova rifabbrica, la quale si determinò dover essere più dilatata di spazio, e più magnifica di struttura. Ne fu il disegno ideato dal celebre Sansovino, e la prima pietra fu gettata nei fondamenti nel giorno 15 di agosto dell’anno 1534, insieme con una medaglia già esposta fra le altre al fine della prefazione. Fu formato l’augusto tempio di una sola nave, e l’esteriore facciata eretta tutta in marmo, sull’idea esibita dal Palladio, supera in maestà qualunque altra della nostra città. Fu questa un effetto della religiosa pietà di Giovanni Grimani patriarca d’Aquileia, la di cui famiglia eresse pure la prima cappella, che si ritrova a man manca nell’ingresso della chiesa.

Ornatissimi sono gli altari dell’altre cappelle, fra le quali merita singolare attenzione quella, che è dedicata a San Girolamo, fabbricata già dai nobili Badoeri, tutta incrostata di marmi figurati a mezzo rilievo, di finitissimo lavoro. Oltre però le cappelle, che magnificamente erette, ed adornate si vedono nella chiesa, altra ve ne è vicina al primo chiostro, che arricchita di molte indulgenze, e di preziose reliquie di santi, vien detta per antonomasia la Cappella Santa, i di cui tesori sono rapportati dal Gonzaga nella Storia Serafica, e sono una Spina del Signore, un dito di San Paolo apostolo, un piede di Santa Anastafia, ed un altro piede di Santa Brigida, a quali aggiunger si deve un articolo di un dito di San Pietro d’Alcantara, ed una porzione di osso di San Pietro Regalato.

In un’urna di marmo ben disposta, e rilevata da terra, vicina alla cappella maggiore, riposa il corpo del beato Matteo da Bascio fondatore dei Cappuccini, missionario apostolico, che infermatosi in Venezia in casa del piovano di San Moisè, ivi santamente morì, manifestando Iddio la di lui gloria con aperti prodigi. Insorse perciò contesa tra il capitolo della chiesa parrocchiale di San Moisè, ed i regolari di San Francesco per seppellire il di lui corpo: ma conosciuto essendosi, essere egli vissuto sempre soggetto alla ubbidienza de ministri generali dell’ordine, e morto nel loro abito, fu giudicato appartener alla religione il di lui cadavere, che nel frattempo delle contese si conservò per tre giorni di fervida state incorrotto, e senza alcun mal odore. Fu il venerabile corpo più a guisa di solennità, che di funerale, condotto a San Francesco della Vigna, ed ivi depositato nella sepoltura comune dei frati; d’onde per il concorso del devoto popolo fu estratto dopo due mesi, e ritrovato senza segno veruno di corruzione, fu collocato prima in un’arca di legno, e poi nell’anno susseguente in altra di marmo, affissa al muro tra la piccola cappella di San Diego, e quella di San Girolamo, con inscrizione, che denota essere egli morto nel giorno 5 di agosto dell’anno 1552.

Di due altri soggetti altresì conviene nominatamente far menzione, i quali dopo aver condotta in questo convento austerissima vita, morirono in esso con la morte dei giusti. L’uno è fra Bonaventura da Venezia, uomo, il di cui vivere fu una continua serie di mortificazioni di corpo, e di spirito. Lontano da ogni ambizione, e dai desideri di qualunque cosa terrena, non mangiava se non una volta al giorno tozzi di pane avanzato, ed erba cruda insipida, e prendeva i tormentosi suoi sonni sopra le nude tavole con un legno per capezzale. Fatto sacrestano procurò con tutta la diligenza il divino culto, ed abborrendo l’ozio, passava tutto il tempo, che sopravanzava al suo impiego, in orazioni e meditazioni delle cose celesti. Finalmente giunto all’età di 77 anni dopo aver nell’ultimo giorno di marzo dell’anno 1622 celebrata con singolare divozione la messa, presago di sua vicina morte già da esso apertamente predetta, colto da un accidente, perdette il moto e la favella. Aperti poi gli occhi proferì dolcemente i sacri nomi di Gesù, e di Maria; indi poco dopo sorpreso da nuovo colpo placidamente spirò. Fu sepolto il suo corpo in una cassa separata, e sperimentarono molti l’efficacia della di lui intercessione nelle prodigiose grazie, che a lui ricorsi ottennero da Dio Signore. L’altro dei due soggetti è fra Lodovico da Bergamo, uomo singolare in ogni virtù, che dopo un’austerissima vita, volò al cielo nel giorno 27 di gennaio dell’anno 1700.

Fu consacrata solennemente la chiesa da Giulio Superchio vescovo di Caorle nel giorno 2 di agosto dell’anno 1582.

Fu annessa a questo convento circa l’anno 1593, la procura generale dei luoghi di Terra Santa, le di cui elemosine raccolte da tutto il dominio veneto, son ivi conservate da un procurator generale, uomo secolare e devoto dell’ordine, che vien eletto dal ministro generale della religione. Vi è pure l’ospizio destinato a raccogliere i religiosi passeggeri, che s’incamminano alla Palestina, ed alle circonvicine provincie d’Oriente, per conservarvi, e dilatarvi la cattolica fede; e vien custodito da un procuratore generale religioso sacerdote, esso pure destinatovi per nomina del generale dell’ordine. (1)

Visita della chiesa (1839)

La chiesa della Vigna rovinava nel secolo XVI, sicché si prese a riedificare sul modello di Jacopo Sansovino (anno 1533). Incominciavano a sorgere il presbiterio ed il coro allorché insorsero contese tra i procuratori interni ed esterni del convento sulle proporzioni da osservarsi nel nuovo sacro edificio. Sospeso frattanto ogni lavoro, Francesco Giorgi frate di questo monastero, chiamato dal doge Gritti, ne riformò secondo i principi Platonici le proporzioni dalle quali non poté più dipartirsi il Sansovino. Secondo tali norme aveva quel sommo architetto immaginata anche la facciata esteriore; ma non piacendo essa al patriarca di Aquileia Giovani Grimani, il quale volle sostenerne le spese, venne incaricato il Palladio a ridurre un nuovo disegno che colla semplicità conveniente all’interno della chiesa riuscisse di una grazia maestosa.

Tutta di pietra istriana è già quella facciata: il suo imbasamento è un continuo piedistallo su cui sorgono quattro gran colonne di circa 40 piedi sostenenti il sopraornato col frontespizio. Nel mezzo sta la gran porta, e nei laterali due nicchie hanno due statue di bronzo raffiguranti l’una San Moisè, e l’altra San Paolo. Ricorre tra gli intercolunni il sopraornato di un altro ordine minore corintio il quale serve alle due ali messe colà per il fine di ricoprire i fianchi delle cappelle laterali della chiesa.

A chi entra in essa chiesa si presenta nel mezzo una grandiosa crociera. Per meglio illuminarla Sansovino aveva ideato d’innalzarvi nel centro una cupola che avrebbe anche diminuita la soverchia lunghezza del tempio, che per noi a parte a parte verrà ora esaminato.

In altri tempi nella facciata interiore stavano primieramente tre cassoni coperti di panno scarlatto ove riposavano le ossa di due cardinali e di un patriarca della famiglia Grimani. Il primo cardinale era Domenico figliuolo del doge Grimani; il secondo era Marino che fu creatura di Clemente VII; ed il patriarca di Aquileia poi, appellato Marco, era uomo di tal valore che nel 1537 fu generale di papa Paolo III per la lega contro le forze di Solimano.

Troveremo degne di osservazione le due statuette sulle due pile dell’acqua santa, l’una raffigurante San Francesco d’Assisi e l’altra San Giambattista, opere entrambi di Alessandro Vittoria.

L’altare della prima cappella a destra ha una bella tavola di Giuseppe Salviati coi Santi Giambattista, Jacopo, Girolamo e Caterina. Nella seconda cappella, detta dello Stellario, merita osservazione il quadro posto lateralmente ed esprimente Maria Vergine visitata; opera di Pier Maria Penacchi. Nella terza cappella di casa Contarini la pala di Jacopo Palma, con Maria Vergine in gloria e vari santi, non vuol essere dimenticata, siccome di utile ricordanza sono i due busti collocati nei due muri laterali, l’uno posto al doge Francesco Contarini morto nel 1624, e l’altra al doge Luigi Contarini morto nel 1683. Invita la quarta cappella ad osservare una tavola celebrata di Paolo Veronese con a Risurrezione di Nostro Signore. In questa cappella, edificata dalla famiglia Badoer, vi hanno dall’uno e dall’altro lato due iscrizioni, l’una ad Andrea e l’altra ad Alberto Badoer. Entrambi furono gravissimi senatori, e sostennero entrambi importanti legazioni: il primo mori nel 1580, l’altro nel 1592. Battista Franco, detto il Semolei, dipinse la tavola della quinta cappella di casa Barbaro col battesimo di Cristo insieme ai Santi Francesco, Bernardino e Gregorio papa. Quivi riposano: 1. Francesco Barbaro cavaliere e procuratore che ebbe molti carichi dalla repubblica e che in fine liberò Brescia da uno stretto assedio; 2. Zaccaria Barbaro suo figliuolo; 3. Ermolao Barbaro figlio di Zaccaria il quale, dottissimo nelle scienze ed annoverato tra i più illustri uomini del suo tempo, fu vescovo di Verona e poi patriarca di Aquileia; 4. Marc’Antonio famoso specialmente perché ritrovandosi bailo a Costantinopoli nel 1571 durante la guerra col turco, tutto ché fosse rinchiuso e tenuto nelle strette, ragguagliava la repubblica di quanto colà si trattava, e Giosafat Barbaro celebre per i viaggi e per politiche negoziazioni.

Volgendoci un po’ alla sinistra si trova nella cappella a fianco della porta laterale un’antica tavola lavorata con somma diligenza ove è raffigurata Nostra Donna adorante il Bambino con molti angeli al piano: opera è dessa di frate Francesco da Negroponte, tranne il pezzo superiore che è d’altra mano. In quella cappella giace Marc’Antonio Morosini il quale nella guerra di Lombardia assai si distinse. La inscrizione in suo onore ivi collocata ricorda che incontratosi egli per ben due volte in due ambasciatori fiorentini i quali ceder non gli vollero la via, prese uno di loro e di sorte lo spinse che lo gettò nel fango dicendogli: impara a cedere ai maggiori dite. Segue il portone sopra il quale sta la memoria a Domenico Trevisan padre del doge che è sepolto nel mezzo della chiesa. Domenico sostenne importanti legazioni in Italia, in Francia, in Germania, a Costantinopoli, in Egitto e fu comandante delle navi e morì nel 1535. ln faccia all’ultima ricordata cappella un’altra ne vedremo dedicata a San Francesco nella quale niente vuol essere osservato, come niente si trova nella seguente interiore cappellina dedicata a San Bernardino.

I due lati della cappella maggiore coperti sono da due grandi eguali depositi di fini marmi, l’uno al doge Andrea Gritti morto nel 1538 e l’altro a Triadano avo di lui, morto nel 1474. Fu però il doge che morendo commise la erezione anco di questo secondo monumento. Non sono di gran conto i due quadri attribuiti da alcuno a Parrasio Michele e da altri a Francesco Montemezzano ai fianchi dell’altare maggiore; l’uno col sacrificio di Melchisedecco, e l’altro col miracolo della Manna. Sono fattura nondimeno di Gian Marco Canozio i bei sedili nella parte posteriore del coro.

Ma trascurata, alla destra della maggior cappella, anche l’altra cappellina interiore dedicata a San Didiaco, degna di ogni osservazione si riconoscerà poi la cappella susseguente tutta adorna di sculture del secolo XVI, detta di casa Giustiniana, dove forse è sepolto il doge Marcantonio Giustiniani creato nel 1683 e morto nel 1688. Fu al suo tempo che battuti i turchi sotto Vienna ne approfittò la repubblica per spingere le sue flotte nei mari di Levante sotto la condotta di Morosini il Peloponnesiaco. Nel parapetto dell’altare viene effigiato il Giudizio Finale nella tavola, divisa in tre comparti, vi è nel mezzo San Girolamo; alla destra San Michele che pesa le anime ed alla sinistra Sant’Antonio di Padova con altro santo. La parte superiore ha Nostra Donna col bambino, e l’inferiore parte, divisa in tre comparti da figure che suonano, contiene nel 1. San Girolamo che prega; nel 2. San Girolamo che risana il leone, e nel 3. lo stesso santo che parla ad alcuni condottieri di bestie. Nei due mari laterali poi di cotesta cappella si vedono intagliati a mezzo-rilievo 12 profeti ed i quattro evangelisti con la più alta perfezione dell’arte. Intorno al fregio vi stanno 18 fatti della vita di Gesù Cristo espressi con vera magistrale finezza.

Usciti da questa cappella troveremo il portone per il quale si passa nel corridoio che guida in sagrestia. Sopra il portone è posta un’iscrizione al doge M. Antonio Trevisano, che abbiamo veduto essere sepolto nel mezzo della chiesa. Indi entrando nel corridoio si trova primieramente la così detta cappella santa ove conservatissima e bella sta una tavoletta di Giovanni Bellino con la Beata Vergine seduta ed i Santi Girolamo, Sebastiano, Francesco d’Assisi ed un ritratto vestito da pellegrino. L’alto tuono della tinta usata dal Bellini ci manifesta questa tavola per una delle estreme sue opere.

In questo corridoio stanno varie sepolture ad illustri personaggi. Siccome ne è smarrita la rimembranza del vero sito non sarebbe difficile che qui fosse stato sepolto il celebre generale Carmagnola che appunto in questa chiesa ebbe sepoltura.

Procedendo poscia pel detto corridoio, si entra nella sacrestia ove nell’altare di mezzo vi ha una tavola con Maria Concetta ed i Santi Marco, Girolamo ed Antonio, lavorata da Giuseppe Angeli. Peccato che trascorresse cotesto Angeli al manierismo del secolo passato e che una lieve preparazione nelle tinte illanguidisse affatto il vigore dei suoi quadri! Si sta ora salvando la pala dipinta ad olio sul muro da Paolo Veronese nell’altare alla destra con Nostra Donna nell’alto ed al piano i Santi Girolamo e Giambattista. È poi creduta di Jacobello dal Fiore, nell’opposto altare alla sinistra, la gran tavola divisa in tre comparti con i Santi Bernardino da Siena, Girolamo e Lodovico.

Tornando dalla sacrestia in chiesa, si vede sopra il pulpito una bellissima figura del Salvatore opera di Girolamo Santa Croce, ed era del medesimo pittore nell’altare sottoposto al pulpito il quadretto col martirio di San Lorenzo passato a Parigi nel 1797. In mancanza di esso vollesi fare la misera sostituzione che pur si vede.

Nella seguente cappella di casa Giustiniana si ammira una bella tavola di Paolo Caliari con Nostra Donna ed i Santi Giuseppe, Giambattista, Antonio abate e Catterina; tavola che fu anche incisa da Agostino Caracci. Qui vi hanno due iscrizioni a Lorenzo Giustiniani procuratore ed al senatore Marc’Antonio.

Giuseppe Salviati ci attende con la solita sua correzione del disegno e col vigore del suo dipinto a vedere nella contigua cappella, detta di casa Dandolo, la tavola con Nostra Donna ed i Santi abati Antonio e Bernardo; ed ai due lati dell’altare un profeta ed una sibilla dipinti a fresco. Viene poi la cappella, che coperta tutta di bei marmi e condotta sotto la direzione di Tommaso Temanza, è dedicata a San Gherardo Sagredo. Antonio Cominelli fece la statua del santo e quella superiore della Vergine, mentre Antonio Gai operava i due laterali depositi, l’uno al doge Niccolò, l’altro al patriarca Alvise Sagredo. Tre bellissime statue si vedono nell’altro altare scolpite da Alessandro Vittoria ed esprimenti i Santi Antonio abate, Rocco e Sebastiano. Quanto gusto in quei panneggiamenti! Nell’ultima cappella, detta Grimani, Federico Zuccari dipinse all’olio nel 1564 sopra sei lastre di marmo d’Istria la visita dei Magi; ma, com’era affatto perita quell’opera, il vivente pittore Michelangelo Gregoletti tolse a produrne una copia. Però se si salvi il pensiero ed il disegno chi dirà copia quel successo dipingere? chi crederà che a tanto giungesse anzi Zuccari? Le due figure di bronzo ai lati di questo altare si dicono Opere di Cammillo Bozzetti. Nel mezzo di questa cappella vi è la sepoltura di Giovanni Grimani patriarca di Aquileia come quello che aveva fatta edificare la cappella medesima. Qui forse riposa inoltre il doge Antonio Grimani, creato nel fine morto 22 mesi dopo senza che nel suo principato accadesse cosa notabile.

Questa chiesa fu officiata dai padri minori osservanti sino al 1810 in cui accadde la soppressione generale delle corporazioni religiose. Allora divenne parrocchiale, come lo è attualmente; ma nel 1837 si diede in cura ai padri minori osservanti i quali vestirono nuovamente l’abito in Venezia e, non potendo passare nell’antico bellissimo convento per essere occupato dal militare, presero ad abitare il vicino. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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