Chiesa e Monastero di Santa Maria della Carità

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Antonio Canal detto Canaletto. Chiesa di Santa Maria della Carità. Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli (foto dalla rete)

Chiesa di Santa Maria della Carità. Monastero di Monaci Lateranensi. Chiesa e Monastero secolarizzati

Storia della chiesa e del monastero.

Circa l’anno 1120, Marco Zuliani patrizio veneto offrì a Dio, ed all’apostolo San Pietro i suoi averi nelle mani di Pietro cardinale vescovo Portuense, allora pontificio legato in Venezia, affinché con essi si fabbricasse una chiesa, ed un monastero ad uso dei Canonici Regolari, promettendo perciò di presentare annualmente come censo perpetuo alla camera apostolica una moneta d’oro chiamata Bisanzio. La pia offerta, e la religiosa brama del pio nobile furono dal legato stesso rese note al pontefice Callisto II, il quale con sue lettere dirette allo stesso Marco lodò la di lui divozione, lo animò all’esecuzione, e gli trasmise una pietra benedetta da porre la prima nei fondamenti della nuova chiesa. Fabbricata dunque la chiesa sotto il titolo di Santa Maria, ne fu offerto il dominio ai Canonici Regolari di Santa Maria in Porto di Ravenna; ma procrastinando essi ad assumerne il governo, Innocenzo II, nell’anno 1134 commise loro, che o accettar tantosto dovessero l’esibito luogo, o rifiutarlo liberamente per sostituirvi altri canonici.

Accettarono dunque i Canonici Portuensi l’offerto monastero, e vi stabilirono un collegio di canonici sotto Druduno priore, a cui poi furono per alimento dei religiosi offerte dai fedeli rendite e possessioni così nella città di Venezia, come nei circonvicini territori. Accrebbe poi il decoro, ed i vantaggi di questo monastero il sopra lodato Innocenzo II, ricevendolo con apostolico diploma sotto l’immediata protezione della sede apostolica, ed esentandolo dalla contribuzione dell’ecclesiastiche decime, privilegio che gli fu poi nell’anno 1185 confermato in Verona dal pontefice Urbano III.

Prima però essendo giunto in Venezia nell’anno 1177 Alessandro III, volle di sua mano consacrare questa chiesa nel giorno 5 di aprile, concedendo spirituali indulgenze a chi nel giorno anniversario della dedicazione, o nei tre giorni avanti, e dopo devotamente la visitasse; donde ebbe origine che il doge accompagnato dai nobili del governo portasi annualmente in devota e positiva forma a far acquisto dell’ecclesiastico tesoro: Anche Innocenzo III nell’anno 1706 confermò gli indulti dei suoi precessori, permettendo anche ad ognuno il poter eleggersi la propria sepoltura nella chiesa stessa, privilegio allora singolare, e concesso a pochi. Onorio III poi nell’anno 1285 con nuovo diploma confermò, ed ampliò le molte concessioni dei suoi antecessori.

Continuavano frattanto con non interrotto possesso i priori Portuensi di Ravenna tanto conventuali, quanto dopo di essi i commendatari ad eleggere il priore della Carità di Venezia, al qual posto essendo circa l’anno 1409 da Angelo d’Anna cardinale e priore commendatario di Ravenna stato destinato Francesco Capello nobile veneto, e canonico della Carità, dubitò questi della validità di sua elezione, per essersi il cardinale Angelo sottratto nello scisma dall’ubbidienza di Gregorio XII vero pontefice. Ricorse dunque alla clemenza del pontefice, il quale accolte le suppliche del fedele canonico, commise all’abbate di San Gregorio, che ritrovandolo idoneo al governo lo dovesse investire del priorato. Intrapresa dunque l’amministrazione del luogo, il nuovo priore vedendo quanto diminuito fosse il numero dei suoi canonici, né potendo sperare che d’attrarne dal monastero portuense rovinoso, e pressoché destituito di abitatori per l’incuria, ed avidità dei priori commendatari, si rivolse ai canonici regolari, detti Frisonari di Luca, affinché volessero assumer l’ufficiatura, e governo della veneta chiesa di Santa Maria della Carità.

Accettarono essi ben volentieri l’offerta, e spedirono tosto a Venezia alcuni religiosi, ai quali il buon priore assegnò la chiesa, e le abitazioni, e per il loro mantenimento stabilì oltre le quotidiane offerte dei fedeli, anche una notabile parte delle rendite del suo priorato; cosicché s poterono per dieci anni mantenere trenta canonici ivi inservienti al culto divino. Estinto poi l’ostinato scisma nel Concilio di Costanza, ed eletto supremo capo della chiesa Martino V, ottenne il sopra lodato priore Francesco Capello da esso nell’anno IV del suo pontificato di poter unire il suo monastero all’ordine dei canonici regolari di Sant’Agostino della congregazione di Santa Maria Frisonaría di Luca, di cui egli pure volle abbracciar l’istituto, e fu poi nel capitolo generale dell’ordine celebrato in Bologna nell’anno susseguente dichiarato primo priore annuale del monastero da lui rinunziato.

Ridotto ad intera perfezione l’affare della stabilita unione gli introdotti canonici intrapresero tosto non solo l’interna riforma della disciplina regolare, ma anche la rinnovazione degli edifici pregiudicati, e rovinosi, vivendo, e servendo a Dio con tal esemplarità di costumi, che divennero l’ammirazione della città tutta. Arrivò anche la notizia del cardinal Gabriele Condulmiero poi Eugenio IV, la fama di loro virtù: che però determinò d’introdurli nell’illustre, ed abbandonato monastero di San Salvatore di Venezia, di cui era allora priore commendatario.

Non credettero i buoni canonici di dover ricusare l’offerta per le obbligazioni, che professava la lor congregazione al pio cardinale; ma pochi mesi dopo conoscendo, che al ritirato lor vivere poco era confacevole un’abitazione posta in mezzo ai tumulti della città, ne rinunziarono volontariamente il possesso ritornando al loro più quieto monastero della Carità. Nuova testimonianza del particolar suo affetto diede alla congregazione dei Canonici Regolari il sopra lodato cardinale eletto che fu sommo pontefice. Poiché essendo reso vacante per la morte dell’ultimo suo priore il Monastero di San Clemente in Isola abbandonato dai canonici regolari, che lo possedevano, il benefico pontefice con suo apostolico diploma nel giorno 3 di dicembre dell’anno 1432, l’unì perpetuamente al Monastero di Santa Maria della Carità, che poi per nuova beneficenza dello stesso Eugenio I, nell’anno 1438, restò smembrato dalla canonica Portuense già ridotta ad sterminio, e fu ridotto alla propria libertà con la sola dipendenza dal corpo della sua congregazione.

Perché però al frequente concorso del popolo ristretta troppo sembrava l’antica chiesa, determinarono di ampliarla, e d’innalzare maestosamente una cappella maggiore, per la di cui fabbrica lo stesso pontefice Eugenio, di cui implorata avevano l’autori trasmise una pietra benedetta di porfido, perché fosse la prima posta nei fondamenti; lodando con sua lettera segnata nel giorno 3 di settembre dell’anno 1446 la pietà, e lo zelo di quei canonici.

Crescendo poi sempre più il credito della religiosa comunità, la famiglia dei conti di Collalto le fece libero dono circa l’anno 1505 della chiesa di Santa Maria di Marcadello diocesi di Ceneda, approvandone la pia offerta con suo diploma il pontefice Giulio II, nel giorno 12 di dicembre dello stesso anno.

Mentre però la condizione del monastero andava sempre avanzando e per le sopra espresse beneficenze, e per l’acquisto, che fece di beni nel territorio di Sinigaglia acquistati dalla canonica Portuense nell’anno 1547, anche la chiesa si rendeva sempre più riguardevole negl’interni suoi abbellimenti, avendo molte persone nobili eretti in essa sontuosi altari di marmo, e fra queste i dogi Marco ed Agostino Barbarighi ad onore di Nostra Signora per collocarvi una devota di lei immagine fecero innalzare un magnifico altare di sceltissimi marmi.

Questi materiali ornamenti furono però di gran lunga superati dagli spirituali tesori dei quali fu arricchita la chiesa, fra quali è riguardevole il sacro corpo di Sant’Aniano discepolo e successore di San Marco evangelista nel patriarcato di Alessandria. Fu egli (come scrive nella sua Cronaca il Dandolo) portato a Venezia sotto il doge Pietro Polani eletto capo della Repubblica nell’anno 1128, e fu collocato nella Chiesa di San Clemente in Isola, da cui poi lo trasferirono i canonici nella loro Chiesa di Santa Maria della Carità nel giorno 4 di novembre dell’anno 1453 vent’anni in circa dopo che avevano dal pontefice Eugenio IV ottenuto il possesso di quell’isola.

Un dente pure di San Giovanni Battista, una costa di San Bartolommeo apostolo, ed un dito di San Tommaso apostolo si conservano in questa chiesa, alla quale papa Alessandro VI, concesse nell’anno 1507 che nella Vigilia della Natività del Signore fra le prime ore della sera celebrare si potesse la prima messa di quella solennità, prerogativa allora assai rara e solo permessa alle più illustri basiliche.

Contiguo alle abitazioni dei canonici fu eretto il grandioso ospizio destinato ai devoti usi dell’illustre confraternita, la quale dal nome della vicina chiesa assunse il titolo di Santa Maria della Carità, e si gloria di essere la prima fra quelle, che si chiamano Scuole Grandi. Ebbe ella la sua origine nell’anno 1260, fondata nella Chiesa Parrocchiale di San Leonardo, dalla quale poi dipartissi, come lo attesta un’antica Cronaca di autor anonimo, ma accreditato, e accurato: 1260. Molti di Venezia fra loro fecero una Fraterna, e ridotti assieme adì 6 novembre nel giorno di San Leonardo con l’assenso del Dominio di Venezia, e di Papa Urbano IV, l’istituirono nella Contrada di San Lonardo, e l’intitolarono Fraterna, ovvero Scola di Carità imitando molte constituzioni, che per San Domenico furono date a certe Fraterne, che levò nella Città di Pisa, e fra loro ancora fecero molte istituzioni, la qual Fraterna fu trasferita poi alla Zuecca, e dipoi fu portada appresso la Chiesa di Santa Maria della Carità. Dalla chiesa dunque di San Leonardo si dipartirono poi i confratelli della Carità per fissare la loro sede nell’Isola della Giudecca; ma ricordevoli della primiera loro Madre stabilirono di visitarla solennemente ogni anno (come tuttavia continuano) nel giorno festivo di San Leonardo di lei Titolare.

Passati alla Giudecca i devoti uomini, ivi per gli spirituali loro esercizi fabbricarono un non molto grande oratorio sotto il titolo dell’apostolo San Giacomo Maggiore, che poi volontariamente cedettero per dilatare la chiesa, e abitazione di Santa Maria Novella dei Padri Serviti, ora dall’antico oratorio chiamata di San Giacomo. Dopo aver dunque per così religiosa causa lasciato il loro Ospizio di San Giacomo determinarono i Confratelli di stabilire perpetuamente la loro fissa permanenza appresso la Chiesa di Santa Maria della Carità, ove appunto trovarono un terreno voto di ragion dei canonici ampio e capace, e però opportuno interamente al loro disegno. Era allora priore commendatario della Canonica Portuense di Ravenna, da cui di pendeva (come si è detto di sopra) il Monastero della Carità, Americo de Chalus cardinale, ed arcivescovo di Ravenna, dal quale a titolo oneroso di sborso di duecento ducati d’oro, e di un annuo stabilito censo, e coll’assenso anche delle due canoniche Portuense, e Veneta ottennero nell’anno 1344, il ricercato sito ove eressero un magnifico oratorio a comodo degli spirituali loro esercizi di orazione, e di discipline frequentemente usate ad onore dei patimenti di Gesù Redentore.

Perché però la pietà verso Dio mai scompagnata deve essere dalla misericordia verso dei prossimi, deliberò nell’anno 1411, il capitolo generale della Scuola, che a ricovero dei confratelli poveri fosse eretto un ospedale, ove si alimentassero, e per tal pio oggetto acquistarono da Francesco Capello allora priore della Carità alquante case antiche e rovinose, sul fondo delle quali piantarono un comodo ospedale.

Una sì grande, e così regolata pietà attrasse alla confraternita gli applausi della città tutta, ed avendone avuto notizia il celebre cardinal Bessarione, allora legato a latere di papa Pio II, in Venezia, volle portarsi in persona a visitar il devoto oratorio, ed ammirato avendo la soda devozione dei confratelli ricercò di esser ascritto nel loro numero, ed a decoro del sacro luogo donò una croce d’oro, in cui inclusa vi era una particella del salutifero legno della Santissima Croce, ed una piccola porzione di veste del Nostro Redentore. Fu accolta con esultanza non solo della Scuola, ma della città tutta la preziosa offerta, e per comando del senato, dopo essere stata esposta nella Ducale Basilica all’adorazione del popolo, fu con pomposa processione tradotta all’oratorio della Scuola, la quale a perpetua memoria dei posteri fece collocare in sito decoroso dell’ospizio il ritratto del benefico cardinale con una iscrizione latina scolpita in marmo, da cui si rileva la liberalità del donatore, e la umile riconoscenza dei confratelli.

Né il solo cardinal Bessarione ricercò di dar il proprio nome alla divora confraternita, ma molti altri cospicui soggetti vollero esser ammessi nel ruolo dei confratelli, fra i quali devono essere nominatamente espressi alcuni principi Giapponesi, che essendo stati a Roma ambasciatori dei re di Bungo, di Arima, e di Tegen provincie della grand’Isola del Giappone, nel loro ritorno passando per Venezia vollero venerare le sacre reliquie custodite nell’Oratorio della Scuola. Chiesero poi di esser come confratelli vestiti dell’abito proprio dal guardiano grande con solenne promessa d’istituire nelle loro patrie, tostochè vi si fossero restituiti, una confraternita, che fosse in tutto simile a quella di Santa Maria della Carità di Venezia.

Oltre le sopra enunziate sacre reliquie prezioso dono del sopra lodato cardinal Bessarione si conservano pure in ricchi reliquiari rinchiuse tre Spine della Corona del Redentore, un frammento della Colonna, a cui fu legato nella sua flagellazione, ed alcune porzioni di ossa dei Santi Pietro e Bartolommeo apostolo, di San Lorenzo Levita martire, e di San Leonardo confessore. Si venera pure con singolar culto una piccola devota immagine di Maria Vergine, del numero di quelle, che si dicono dipinte dall’evangelista San Luca. (1)

Visita della chiesa (1839)

Era ricca di pitture questa chiesa. Vi sono sotto al coro quattro tavole con diversi Santi opere dei Vivarini. Vi è anche appresso di queste un quadretto, dove si vede questa chiesa col doge, che riconosce papa Alessandro III, che gli dà la benedizione; cosa in vero molto gentile di mano di Vincenzo Catena. Sopra il coro vi è papa Alessandro, che pone il piede sul dorso a Federico Barbarossa di maniera incerta. All’Altare del Santissimo due Angeli, che aprono il monumento sono di Antonio Foller. Nella Cappella dalla parte destra dell’Altare maggiore vi è la tavola con San Giovanni, che battezza Cristo, e i Santi Paolo, Giacomo, Agostino e Girolamo, una delle belle del Conegliano. Un quadretto, che si vede sopra la porta, che va alla riva con la Madonna sedente, e San Giovanni, dice il Boschini esser della scola di Tiziano, ma bisogna aggiungervi della prima, e meno rotonda maniera. Nella Cappella di San Giovanni dalla parte sinistra dell’Altare maggiore vi è una tavola con molte figure concernenti alla vita di San Giovanni Battista, Nostro Signore in Croce nell’alto, e nel basso un altro piccolo comparto, opera tutta di Vittore Carpaccio, ma mal conservata, il Ridolfi la crede di Giovanni Bellino, e ommette la seguente. Nella tavola grande passata la porta che va in Sagrestia vi è la Beata Vergine in alto fra bellissime architetture, e due Angioletti, che suonano con i Santi Catterina, Nicolò, Giorgio, Antonio, Sebastiano, e Lucia opera di Giovanni Bellino. L’ultima tavola poi nell’uscire di Chiesa, dove Cristo risuscita Lazzaro e opera riguardevolissima di Leandro Bassano. Nella Sagrestia la tavola mobile con Sant’Agostino sedente, che scrive sopra un libro da un Chierichetto tenutogli, ed alcuni Canonici, è opera di Carletto figlio di Paolo delle sue più belle. Nel Refettorio vi è un quadro di Antonio Zecchini con Nostro Signore, che assiste ai discepoli pescatori con molti astanti, opera copiosa e delle belle dell’Autore. Vi è pure la Passione di Cristo di chiaroscuro di Gian Bellino. (2)

Eventi più recenti

Chiusa la scuola nel 1807 insieme alla chiesa della Carità, vi si trasferì bentosto l’Accademia delle Belle Arti formando essa con la chiesa e la Scuola un solo edificio ed aggiungendovi anche altre appendici al chiostro di Palladio. La chiesa scompartita nella sua altezza da un tramezzo porge quindi nel piano superiore nobili stanze ai modelli di gesso, e dal pian terreno si trassero le scuole di architettura, di ornato, e di pittura. Il monastero fu convertito nelle scuole d’incisione, in albergo di alcun professore, ed offrendo stanza al segretario ed agli altri uffici inferiori, accoglie soprattutto la libreria e la Pinacoteca. Finalmente la scuola con giunta alla chiesa della Carità conserva buona parte della Pinacoteca e le sale per le riduzioni degli Accademici. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin e dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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