Chiesa e Monastero di Santa Maria dell’Umiltà

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Antonio Canal detto il Canaletto. La Dogana e il Canale della Giudecca. Milano, collezione Mario Crespi. Verso sinistra (edificio chiaro) la Chiesa dell'Umiltà

Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà. Monastero di Monache Benedettine. Chiesa e Monastero demoliti

Storia della chiesa e del monastero

All’antico Monastero della Santissima Trinità dei Cavalieri Teutonici furono per religiosa liberalità di Andrea Lippomano, allorché ne possedeva il priorato, smembrate in diversi tempi le due chiese di Santa Maria Maddalena di Padova, e di Santa Maria dell’Umiltà di Venezia per fondarvi due collegi dell’illustre Compagnia di Gesù recentemente istituita da Sant’Ignazio Lojola.

La prima assegnazione della chiesa di Padova venne confermata dal pontefice Paolo III, e la seconda del terreno e sito con la Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà, e fabbriche ad essa annesse fu stabilita con apostolico diploma di papa Pio IV, all’erezione di un collegio, che fu poi con pontificia concessione mutato in casa professa della medesima compagnia. In qual tempo avesse i suoi principi la Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà, ora ci è ignoto, ma essendo assai verosimile, che questa fosse la prima casa abitata dalla religione dei Cavalieri Templari prima di ottenere il Monastero della Santissima Trinità, convien ridurre la origine di essa almeno ai primi anni del secolo XIII, avanti che Reniero Zeno fosse innalzato al trono ducale.

Nell’anno dunque di Cristo 1550, il sopra lodato Andrea Lippomano fratello, ed imitatore delle virtù del celebre vescovo di Verona Luigi Lippomano, avendo assaggiato negli esercizi spirituali fatti sotto la direzione di Giacomo Laynez di quanto vantaggio dovesse esser alla chiesa la nuova religione fondata dal Lojola, che già per ben tre volte aveva in Venezia dato chiari attestati dell’apostolica sua carità, approvata da Dio con evidenti miracoli, consegnò ai di lei fgli la chiesa, ed i contigui edifici di Santa Maria dell’Umiltà. Erano questi dalla lunga serie degli anni già resi pregiudicati e cadenti; onde convenne all’attenzione dei nuovi abitatori il ridursi a sussistente struttura adattati agli usi di un collegio, accorrendo a tale spesa anche la pubblica munificenza, la quale non solamente permise l’ampliazione delle fabbriche, ma avendo il Consiglio di Dieci mandati in dono per le di lui benemerenze al padre Antonio Possevino cinquecento zecchini, ed avendoli egli religiosamente ricusati, furono poi per decreto dello stesso consiglio assegnati a sussidio dell’intraprese fabbriche.

Mutò poi il collegio nell’anno 1578, la sua condizione, ridotto essendo per indulto di Pio IV all’essere di casa professa per la provincia veneziana. Rinnovata col collegio anche la chiesa fu dall’arcivescovo di Tiro Francesco Barbaro patriarca eletto d’Aquileia con solenne rito consacrata nel giorno 6 di luglio dell’anno 1589, sotto il titolo della Visitazione di Maria Vergine.

Insorte dappoi le famose controversie fra papa Paolo V e la Repubblica di Venezia, uscirono dalla città, e dal Dominio tutti i Gesuiti; onde restò vota ed abbandonata la casa di Santa Maria dell’Umiltà, finché nell’anno 1615, per decreto del Senato fu concessa alle Monache Benedettine dell’antico monastero posto nell’Isola di San Servolo. Avevano prima con replicate istanze quelle afflitte monache ricercato di esser tratte da quel luogo insalubre, e rovinoso, onde finalmente esaudire con la concessione del Monastero dell’Umiltà, a questo, dopoché opportunamente fu adattato all’uso monastico, si trasferirono in numero di oltre 70 nella vigilia precedente alla solennità dei Santi Apostoli Pietro, e Paolo.

Dall’Isola di San Servolo, da cui partivano, condussero seco loro le monache insieme con le sacre suppellettili tutte le preziose reliquie, che ivi si custodivano, cioè il corpo di San Leone vescovo di Samo, e confessore. Una gamba di San Servolo martire. La sacra testa di Sant’Anna madre di Maria Vergine, prezioso tesoro, di cui però non si sa né il tempo della donazione, né il nome del donatore. Porzioni della canna, con la quale fu percosso l’adorabile capo del Nostro Redentore nella sua coronazione, e della spongia, con la quale fu abbeverato d’aceto mentre languiva in croce, pregiatissimi tesori acquistati da Luigi Sagontino cittadino veneto nella città di Costantinopoli, mentre ivi si trovava nell’anno 1496, e da lui poi offrì alla Chiesa di San Servolo. Un dente, e porzione d’osso del Santo precursore Giovanni Battista. La testa di una vergine compagna di Sant’Orsola nel martirio. Una mano intera con tutte le sue dita, ed articoli di esse di Santa Eudosia eremita penitente, e martire, trasportata dall’Isola del Zante, ove con venerazione si custodiva nella Chiesa di San Giovanni Evangelista, da Costantino Loredano provveditore già in quell’isola nell’anno 1667, e da lui piamente donata alla chiesa di Santa Maria dell’Umiltà nell’anno 1671 insieme con alcuni antichi documenti greci, che ne comprovano l’identità. (1)

Visita della chiesa (1733)

La chiesa è ricchissima di dipinti: La prima tavola a mano sinistra con San Francesco è della scuola di Paris Bordone. La palla che segue della Circoncisione del Signore è di Marcantonio del Moro. Nella cappella alla destra dell’altare maggiore vi sono due quadri di Baldissera d’Anna nell’uno è la Purificazione, e nell’altro la Visita di Santa Elisabetta. All’altare maggiore nella cima del tabernacolo vi è la Natività del Signore, opera di Giacomo Bassano. Più abbasso nel frontispizio vi è il Padre Eterno di Paolo. Più abbasso nella terza luna due Angeli del detto. Nella portella del Santuario il Redentore con alcuni cherubini è pure di Paolo, appresso la detta vi sono due altri quadretti dello stesso autore l’uno con San Giovani che predica, l’altro col Centurione dinanzi a Cristo. Dai lati vicini al tabernacolo due quadri con Santi, e Sante, sono di Baldissera d’Anna; vicino a questi ve ne sono due del Palma nell’uno Cristo che fa scendere dall’albero Zaccheo; e nell’altro Elia soccorso dall’Angelo. Sopra il finestrone vi è Cristo morto con le Marie opera rara del Tintoretto. La tavola dei Santi Pietro e Paolo è opera preziosissima, e ottimamente conservata di Giacomo Bassano; si dice, che tacciato il Bassano, perché alle sue figure quasi mai facesse i piedi scoperti, forse perché non li sapeva fare, volle in quello quadro farne due scoperti, e belli ancora; benché alquanto grandi. La tavola che segue con gli Angeli, che coronano la Vergine è di Baldissera d’Anna. E d’intorno all’arco vi dipinse il Petrelli molti Santi. Il soffitto è tutto di Paolo Veronese. Nel mezzo l’Assunta di Maria con gli Apostoli. Nel altro vicino all’altare maggiore l’adorazione dei Pastori. Nel terzo sopra il coro l’Annunziata, e fra gli ornamenti di tutte queste opere vi sono molte figure di chiaroscuro del predetto autore. (2)

Eventi più recenti

Le monache benedettine vi rimasero sino al 1806 in cui concentrate furono in quelle di San Lorenzo. Sebbene chiuse, sussistettero nulla ostante le fabbriche; ma nel 1824, alfine di ampliare l’orto del vicino Seminario della Salute, furono esse atterrate insieme ad un piccolo oratorio, dedicato a San Filippo Neri, che vi stava accanto. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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