Chiesa e Monastero di San Giobbe vulgo Sant’Agiopo

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Chiesa di San Giobbe - Cannaregio

Chiesa di San Giobbe vulgo Sant’Agiopo e Monastero di frati Minori Osservanti. Monastero parzialmente demolito

Storia della chiesa e del monastero

Dopo avere ridotto a compimento il monastero di San Girolamo per ricovero di sacre vergini in esso introdotte nell’anno 1375, si rivolse il pio e nobile sacerdote Giovanni Contarini ad intraprendere nuove opere di carità, fondando un Ospitale per l’accoglimento dei poveri. Ne comprò dunque nell’anno 1378 da Beruccia moglie di Marco Benado il sufficiente sito, ove ergerlo, al quale poi con permissione del Maggior Consiglio ottenuta nel giorno 21 di dicembre dell’anno 1389, furono coll’acquisto di nuove case ampliati li confini.

Contiguo alla casa di carità fu per ordine del fondatore fabbricato un Oratorio sotto l’invocazione del Profeta San Giobbe; ed il Pontefice Bonifazio IX, non solo ne approvò l’erezione, ma anche ad istanza della Repubblica, permise che in esso si potesse celebrare la messa, e gli altri Divini uffizi, concedendo spirituali indulgenze a chiunque lo visitasse in certi stabiliti giorni, come si rileva dall’Apostolico Diploma segnato in Roma nel giorno 22. di settembre dell’anno 1390.

Sopravvisse alcuni anni all’erezione della pia opera il religioso fondatore, e sentendosi poi chiamato da Dio per mezzo di gravissima infermità all’eterna remunerazione dei giusti, con l’ultima disposizione di sua volontà nel giorno 30 di agosto dell’anno 1407, lasciò i suoi beni interamente erede il dà se fondato Ospitale, e morto nove giorni dopo fu sepolto (come aveva comandato vivendo) nello stesso Oratorio di San Giobbe, il quale per le diverse mutazioni di fabbriche ora è situato fra la chiesa e la sacristia di San Giobbe, ed in esso tuttavia si conserva il sepolcro del fondatore con la di lui immagine incisa sopra, ed a piedi un’iscrizione, che lo qualifica fondatore del luogo, e della chiesa.

Dopo la morte dell’ottimo sacerdote la di lui figlia Lucia vedova di Enrico Dolfin, pretendendo, che il luogo di San Giobbe avesse ad essere di sua ragione in compenso della dote di Elisabetta sua madre a lei dovuta, con sentenza del Magistrato competente l’ottenne, e vi istituì Priore un pio sacerdote di nome Filippo, a cui consegnò l’amministrazione del luogo. Volendo però la religiosa matrona, che avesse il suo effetto la caritatevole intenzione del suo genitore, stabilì con solenne strumento del giorno 6 di giugno 1427, nove Governatori di condizione nobile, i quali avessero a governare il luogo, e in mancanza d’alcuno di essi eleggere dovessero il successore.

Concesse poi lo stesso luogo al Beato Pietro da Pisa fondatore dei poveri Eremiti di San Girolamo, a condizione però che dovesse nell’Oratorio fare celebrare una messa almeno quotidiana, e solennizzare con pompa la Festa della Santissima Vergine, come era d’uso, ed obbligato fosse a ritenere nella compagnia del luogo il sopra lodato sacerdote Filippo.

Tre soli anni continuarono ad abitare nell’Ospitale i religiosi della Congregazione del Beato Pietro da Pisa; dopo di che avendo stabilito Lucia di consegnar l’Ospitale ad altra famiglia regolare, gli eremiti si ritirarono volontariamente da un luogo poco adattato al loro istituto, e con spontanea rinunzia nell’anno 1425 lo cedettero all’antica padrona, a condizione per, che nel termine d’un anno o dovesse ricoverarvi poveri, o introdurvi altra comunità di persone religiose.

Non si adempì per la proposta condizione se non nell’anno 1428, in cui i governatori del pio luogo per impulso della sopra lodata Lucia implorarono dall’autorità del Pontefice Martino V la permissione d’assegnare il luogo alla famiglia dei Frati Minori Osservanti, la quale allora fioriva in somma riputazione di santità. Fu dal Pontefice con sue lettere segnate nel giorno 14 di maggio dell’anno suddetto rimesso l’adempimento dei pii desideri al Primicerio di San Marco Polidoro Foscari, per di cui ordine Vettor Bonfantini Piovano di San Leone come Suddelegato Apostolico concesse a Lucia Delfina facoltà di consegnare la Cappella di San Giobbe a fra Marco Querini, ed agli altri Religiosi Minori dell’Osservanza, permettendo pure a questi nel giorno 24 del susseguente novembre di poterne ricever l’oblazione, e stabilirvisi in possesso. Per render però  più accetto a Dio il sacrificio fatto, volle la pia matrona nel giorno 2 di luglio dell’anno 1434, cedere con solenne donazione a qualunque titolo di juspatronato, che le competeva sul luogo stesso per l’assegnazione a lei fatta della dote materna, con che venne ad essere quel sacro luogo in piena ed assoluta potestà dei religiosi, che pensarono poco dopo di rovinare l’Oratorio per ivi fondare una chiesa più dilatata.

Riuscì una tale determinazione assai dispiacevole alla benefica donatrice; ma come già a favore dell’Ordine dei Minori spogliata si era interamente di ogni giurisdizione, così ricorse supplichevole alla suprema autorità di Eugenio IV, affinché vietasse il distruggere un pubblico monumento della pietà paterna. Delegò il Pontefice la controversia a tre insigni ecclesiastici, a San Lorenzo Giustiniano Vescovo di Castello, a Tommaso Tommasini Vescovo di Feltre, ed a Fantino Dandolo Protonotario Apostolico, loro imponendo con sue lettere segnate nel giorno 18 di agosto dell’anno 1441, che veduto il luogo, ed udite le ragioni d’ambe le parti, decidessero chi, che conveniva all’Onore Divino. Unitisi dunque il Giustiniano, ed il Dandolo in assenza del Tommasini, e considerate attentamente le circostanze dell’affare, decisero nel giorno 7 del susseguente ottobre, che l’Oratorio illustre per la pietà del suo fondatore, e per avere in esso celebrata messa molti Cardinali (dei quali taluno fu assunto al supremo Apostolato) dovesse sussistere inviolabile, anzi fosse obbligo dei Commissari il risarcirlo, e restaurarlo. In venerazione di tal giudizio essendosi poi fabbricata una ben ampia chiesa, si conservò accanto d’essa intatto l’antico Oratorio.

Morì poi nel giorno 10 d’ottobre dell’anno 1447 la pia Matrona, e fu sepolta nel chiostro in un particolare sepolcro, ove giace con Cecilia Bembo sua figlia. Arrivò frattanto nell’anno 1443 in Venezia per seminarvi la parola di Dio l’apostolico uomo San Bernardino da Siena, ed avendosi scelto per sua abitazione il povero Monastero di San Giobbe, vi  attrasse un mirabile concorso di persone per venerarne la santità tra i quali Cristoforo Moro Senatore dei più riguardevoli  (a cui il Santo predisse il Principato della sua Patria) contrasse un così stretto legame di riverente amicizia col santo uomo, che nell’anno susseguente alla di lui canonizzazione celebrata solennemente da Papa Nicolò V, nell’anno 1450 volle a proprie spese innalzargli nella Chiesa di San Giobbe una magnifica cappella, e dilatare poi con aumento di nuove fabbriche le ristrette abitazioni del monastero. Passato poi a Roma col carattere di Ambasciatore per la Repubblica Veneziana, ottenne dal sopra lodato Pontefice nell’anno 1454, che la nuova cappella fosse decorata con spirituali perpetue indulgenze. Innalzato qualche tempo dopo al supremo Principato della Repubblica, secondo la predizione del santo, operò con tal efficacia a di lui onore nel Senato, sicché nel giorno 15 di maggio dell’anno 1470 fu ascritto fra i protettori della città e la di lui festa dichiarata solenne, come lo erano quelle di San Teodoro, e di San Magno.

Con quanto applauso poi fosse ricevuta in Venezia la canonizzazione del santo, lo dichiarò l’universale allegrezza, e la festosa pompa, con cui fu celebrata coll’intervento del clero, e di tutti gli ordini religiosi, e col concorso del popolo, alla di cui divozione concesse nello stesso anno 1450, il Consiglio di Dieci, che potesse istituire nella Chiesa di San Francesco della Vigna una pia confraternita dei fedeli ad onore di San Bernardino. Una simile permissione si replicò poi nell’anno 1453 per le Chiese di Santa Maria Gloriosa dei Frari, e di San Giobbe, ed in questa particolarmente si accrebbe a tal segno, che per alquanti anni il monastero si denominò anche nei pubblici documenti col doppio titolo di San Giobbe e di San Bernardino.

Ai sopra riferiti benefici altri ne aggiunse a decoro della chiesa il Doge Cristoforo Moro. Poiché non contento d’avere accresciuto il comodo ai religiosi con l’aggiunta di nuove fabbriche, erette in sito da lui acquistato, è di avere innalzata la decorosa cappella sotto l’invocazione del santo già suo amico, altre pure ne fece costruire nella chiesa, e morendo, oltre ad una ricca suppellettile di sacri arredi ad uso dei divini misteri, lasci in pio legato per  compimento delle di lui fabbriche dieci mila ducati a questo monastero, in cui volle essere sepolto nell’anno 1470, coi piedi nudi, ed in abito da francescano.

Furono doni altresì di questo principe una devotissima immagine di San Bernardino scolpita in cedro, che si venera nell’antico Oratorio, fabbricato dal primo fondatore Giovanni Contarini, ed il corpo asserto di San Luca Evangelista. Era custodito e venerato questo sacro corpo nella città di Jaitza (odierna Jajce) metropoli della Bossina (Bosnia), allorché avendo Maometto dl questo nome secondo Gran Signore dei Turchi occupato quell’infelice regno, ed assalita la città capitale i religiosi Francescani sottrassero l’insigne deposito dagli insulti dei barbari, e portatolo a Venezia l’offrirono al Doge Moro, nota loro essendo la devozione, che egli professava al Serafico istituto. 

Dalla Chiesa di San Nicolò del Lido, ove deposto dalla nave collocato si era il rispettabile corpo, comandò il Doge, che trasferito fosse alla Chiesa di San Giobbe per essere ivi venerato. Ma prima che seguisse la traslazione, ed il corpo esposto fosse alla pubblica venerazione, vi si opposero con vigore i Monaci Benedettini di Santa Giustina di Padova, vantantisi di possedere il tesoro del vero corpo di San Luca Evangelista, trasportato molto tempo prima dalla città di Costantinopoli alla loro chiesa.

Fu rimessa la controversia dal Pontefice Nicolò V, al giudizio del celebre Cardinal Bessarione, il quale nel giorno 30 di agosto dell’anno 1463, decise a favore del corpo recentemente condotto a Venezia, e questo disse doversi tenere per il vero ed identifico corpo di San Luca Evangelista. Da tale giudizio, appellarono i monaci padovani al Pontefice Pio II, il di cui successore Paolo lI destinò Giudici Apostolici in tale causa due Cardinali, Giovanni Caruaial Spagnuolo, e Bernardo Erulo di Narni, i quali esaminata la causa, e considerate con diligenza le circostanze, sospesero qualunque dimostrazione di culto al preteso corpo di San Luca Evangelista riposto in San Giobbe, finché essi in Roma con decisiva sentenza non ne terminassero la differenza.

Trattano con esattezza di un tale litigio gli scrittori d’ambedue gli Ordini Benedettino, e Francescano e Giacomo Cavazzi monaco ed storico di Santa Giustina di Padova quantunque provi che il corpo esistente in Venezia non si deve attribuire all’Evangelista San Luca, con tutto ciò concesse essere corpo di un santo, ed a prova di ciò apporta il detto di Isaia di Nicosia in Cipro monaco di San Basilio, e testimonio esaminato, nella controversia, il quale costantemente asserì che il corpo levato dalla Bossina era di San Luca Stipota sacerdote, e questo essere a lui noto per relazione di molti antichi monaci, ed essere cosa notissima così in Costantinopoli, come in Salonichi. Dopo il sopraccitato decreto dei due Giudici Cardinali, niente più si operò nel litigio, ed il sacro corpo di qualunque santo sia, riposa privo di culto sull’altare della sacristia di San Giobbe.

Fu la chiesa dopo gli ornamenti concessi dalla pietà del Doge Moro, consacrata nel giorno 14 di aprile dell’anno 1493, indi essendo stata per la maggiore parte rinnovata si replicò in essa il fregio dell’Ecclesiastica consacrazione nello stesso ricorrente giorno 14 di aprile dell’anno 1597, per mano di Girolamo Righetti Vescovo di Caorle.

Si custodiscono con venerazione in questa chiesa il corpo di Sant‘Antonino Martire, tratto dai cimiteri di Roma (e si crede esse quello, il quale dopo aver come carnefice trucidati molti santi Martiri, convertito poi alla fede divenne loro imitatore nella costanza fra tormenti, e compagno nella gloria), un osso della gamba di Santo Stefano Papa e Martire, e porzione della mascella con un dente di San Calisto parimente Papa e Martire.

Furono sepolti nel chiostro di questo monastero due Dogi, Cristoforo Moro (come si è detto) e Pietro Loredano, come pure Alidea Morosini piissima matrona, e moglie di Nicolò Tron Doge di Venezia morta nell’anno 1478. Visse in questo convento Giovanni Balbi tratto nell’anno 1586 dal Serafico Ordine alla chiesa Arcivescovile di Corfù e vi morì nell’anno 1684 Giovanni Maria da Bergamo, religioso d’insigne santità di vita.

All’antico Oratorio di San Giobbe eretto dal lodatissimo sacerdote Giovanni Contarini, e ridotto nell’interno del Monastero (come di sopra si è detto) accanto della nuova chiesa, sostituirono i commissari di Lucia Dolfina una piccola cappella in forma di chiesa dedicata alla Madre di Dio, in cui, (ottenutone nell’anno 1512 l’assenso dal Collegio Capitolare di San Geremia fu istituita la quotidiana celebrazione d’una messa secondo la volontà del fondatore a comodo dei poveri del contiguo Ospitale. (1)

Visita della chiesa (1839)

Sino alla soppressione generale del 1810 rimasero in questo convento i frati minori osservanti, e nel 1812 si ridusse il convento coll’orto ad uso di orto botanico. Ponendoci ora ad osservare la chiesa si vedranno essere mirabili i fregi d’intaglia nella esteriore sua porta e degni di ogni studio. Entrando nell’interno tre belle opere si offriranno altre volte allo sguardo: la tavola di Marco Basaiti, quella di Giambellino, e quella di Carpaccio. Queste tavole passarono a decorare questa Accademia di Belle Arti.

Il magnifico monumento di marmo, che sorge dopo l’altare secondo, fu alzato nel 1651 a Renato de Veyer de Palmy conte d’Argenson, mandato ambasciatore alla repubblica dal re di Francia, e che morì innanzi che facesse il solenne ingresso. Fu scolpito da Claudio Perreau di Parigi. Nell’altare seguente è di Paris Bordone la pala coi Santi Pietro, Nicolò ed Andrea: la gentilezza propria di quel pittore è tutta in questa pala.

Prima di entrare nella vicina cappella, si vedrà sopra l’arco di essa un ricco deposito di bel marmo, diviso in tre intercolunni con tre busti di tre fratelli della famiglia Nani. 1. Paolo, morto procuratore nel 1608; 2. Agostino, cav. e procuratore, che sostenne varie ambascerie e morì nel 1627; 3. Ermolao, estinto nel 1633, e che assai si è adoperato per la patria nel tempo della pestilenza. Entrati poi nella cappella una rara opera di Girolamo Savoldo si scorgerà essere la tavoletta con la Nascita di Nostro Signore. Il bambino che spicca affatto dalla tela, gli atteggiamenti graziosissimi dei pastori; l’intero partito e le tinte veracissime dovrebbero procacciare a questa tavola quella stima di che il negletto sito purtroppo l’ha privata.

Osservata l’urna che sta sopra la porta della sacrestia, e che chiude le ceneri del cardinale Marc’Antonio da Mula, morto nel 1570, nella sagrestia sarà degna di considerazione la tavola d’altare divisa in tre comparti, che forse è delle prima opere di un Vivarini. In faccia all’altare, dalla parte opposta, è assai bello e ben conservato un quadretto con Nostra Donna di Giambellino nel quale non che altro (che tutto è caro ed amoroso), la prospettiva, avuto riguardo a quei tempi è mirabile. Si vede il ritratto finalmente del doge Cristoforo Moro, appeso al lato destro della sagrestia: ritratto che per il soggetto che esprime e per l’antichità cui si riferisce, più che per lo pregio artistico, vuole essere osservato.

Tornando in chiesa, eccoci condotti dinanzi alla facciata del maggiore altare, che colla vaghezza dei suoi intagli presenta largo soggetto di studio a che si incammina nell’arte degli ornamenti. Apre l’adito questa facciata alla cappella maggiore ed a due laterali cappelline. Né meno pregevole dei fregi ornanti gli archi e di pilastri delle dette cappelle, è il fregio che tutto intorno cinge nel mezzo della cappella maggiore la grande pietra del sepolcro del doge Cristoforo Moro morto nel 1470. Per la copia degli intagli, tutti messi ad oro, non sono poi da passarsi senza osservazione il magnifico altare, il tabernacolo ed i sedili del coro travagliati diligentissimamente.

Nel primo altare del lato sinistro Carletto Calieri, con molta sagacia, dipinse la tavola sul rame, colla speranza di proteggerla dalla tramontana. Esprime nell’alto Maria Vergine con Cristo sostenuto dagli Angeli, ed al basso i santi Francesco d’Assisi ed Antonio di Padova. Nel terzo altare Antonio Zanchi fece la pala con i santi Bonaventura, Pietro d’Alcantara e Francesco Solano, e le sante Rosa, Chiara e Margherita da Corotona. Belle sono le sculture della cappella seguente, ma ignoto è lo scalpello che le eseguiva. Ben perciò si sa essere stato Antonio Rosselle di Firenze quegli che operava le sculture adornanti l’ultima cappella eretta dal procuratore Pietro Grimani morto nel 1553 e nella quale vi pose il suo sepolcro.

Varie confraternite erano un d? addette a questa chiesa: quella della Madonna di Lonigo, quella della Beata Vergine della Pietà quella dei Barcaiuoli del traghetto di Marghera, sotto il titolo di Sant’Andrea; quella dei Barcaiuoli di Ghetto, sotto la protezione dell’Annunziata; il sovvegno di San Diego, e la scuola degli scorticatori sotto il titolo di Sant’Antonio martire. (2)

Eventi più recenti

I padri francescani custodiscono la chiesa fino al 1810 (già dal 1806 era stata decretata da soppressione degli ordini religiosi e la concentrazione in pochi conventi). Il 25 ottobre di quell’anno la chiesa fu affidata al clero diocesano e due anni dopo il convento demolito per far posto all’orto botanico.

Nel periodo di abbandono la chiesa su depredata di molte opere e nel 1815 le pale d’altare di Bellini, Carpaccio e Basaiti portate all’Accademia, dove sono tutt’ora visibili.

Nel piccolo tratto di convento rimasto, nel 1844, dopo il forzato trasferimento dai locali in Calle delle Monache per dar luogo alla costruzione della ferrovia, si stabiliscono i figli della Carità Canossiani, ordine fondato nel 1831 da Santa Maddalena di Canossa principalmente per la formazione cristiana dei ragazzi.

Nel giugno del 1952 il Patriarca Carlo Agostini erige San Giobbe a parrocchia staccandola da San Geremia.

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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