Pietro Polani. Doge XXXVI. Anni 1130-1148

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Pietro Polani. Doge XXXVI. Anni 1130-1148

Per acclamazione generale del popolo fu chiamato al trono ducale Pietro Polani, quantunque non contasse che soli 30 anni di età. Giù fu in riguardo alle sue molte virtù, e per onorare in qualche modo la famiglia del morto doge Michiel, una figlia del quale aveva impalmato il Polani.

Trovava lo stato in pace all’esterno; non così nell’interno, per le discordie insorte tra la famiglia Polani, e quelle dei Dandolo e dei Badoaro. Egli con somma prudenza le rappacificò. La peste che imperversò nel 1137, secondo narra una cronaca antica, non lo impedia di pensare all’ordinamento delle cose interne, come fu quello della festa delle Marie; ordinamento cotesto che venne rinnovato eziandio nell’anno 1142.

In riguardo alle cose esterne, vide nel terzo anno della sua ducca rendersi tributaria l’isola di Veglia; ed essendo poi venuto per la seconda volta in Italia, nel 1130, l’imperatore Lotario II, inviava a lui il doge, siccome ambasciatori, suo fratello Giovanni Polani, Orio Orio, e Pietro Dondidio (Donodei, o Donder) suo cappellano, per ottenere, come ottennero, la confermazione degli antichi privilegi. Assalita, nel 1140, la città di Fano da quelli di Ravenna, di Pesaro e di Sinigaglia, ricorsero i Fanesi per aiuto al doge, promettendogli in ricambio, fedeltà, annuo censo, privilegi ed esenzioni al commercio veneziano. Convenute cotali cose di reciproco accordo, il doge fece allestire una flotta, la capitanò in persona, e, conseguita intera vittoria, ritornò glorioso alla patria. Tre anni appresso, avendo i Padovani eseguito un taglio sul Brenta, dal lato di Santo Ilario di Fusina, dalla quale opera ne sorgeva impedimento alla navigazione, i Veneziani ne mossero lagno, e domandarono riparazione. Ma rispondendo arrogantemente i Padovani; il doge, a reprimere l’audacia loro, adunava milizie terrestri, alle quali furono preposti, al comando della cavalleria Guido di Montecchiaro, o Montagone, e a quelle della fanteria, Alberto da Bragacurta, o, come altri vogliono, Pier Gambacurta, ambedue stranieri. Le due armate vennero alle mani nel villaggio nominato la Tomba, ora Tombelle non lunge da Gambarare, ed i Padovani soccombettero per guisa che furon costretti a chieder pace, obbligandosi di ristabilire le cose nello stato primiero.

Rinnovavansi l’anno appresso, 1144, o, a meglio dire, si esacerbavano le inimicizie dei nostri contro i Pisani, suscitate per cause diverse. ma la precipua per gelosia dei commerci; sicché correvano i Pisani sopra le navi veneziane, depredandole. A reprimere le ostilità, la Repubblica metteva in mare una flotta, e con alterna vicenda accaddero più scontri, senza che una decisiva vittoria ponesse fine a quelle battaglie. Papa Lucio II si pose mediatore fra le due rivali Repubbliche, e le rappacificò, eccitandole ad unirsi piuttosto contro il comune nemico, per liberare la città santa. I Veneziani quindi, dopo la presa di Edessa, secondo narra il vecchio Sanudo, spedirono milizie in Oriente capitanate dal fratello del doge, Giovanni; continuando poi sempre a trasportare e crociati e pellegrini di là del mare, ed a soccorrere nei lor bisogni questi ultimi; per cui un Orso Badoaro donava, nel 1146 (e non 1145) parte di una sua palude situata fra Murano e Mazzorbo, affine di erigere, in onore di San Jacopo Apostolo, un ospizio pei pellegrini di Terra santa: e questo ormai era il secondo, che sotto la ducea del Polani si fondava, dappoiché cinque anni prima, cioé nel 1141, Pietro Gatileso, un altro ne instituiva, sotto l’invocazione di San Clemente, in una palude contigua al canal Orfano.

Correndo poi continuamente i pirati e le navi di Ruggero re di Sicilia, i mari della Dalmazia e dell’Epiro, una flotta veneziana era uscita a proteggere quelle coste: per la qual cosa Capodistria, Pola, Ossaro, Arbe, Veglia rinnovarono gli antichi patti, e le due prime, unitamente ad Isola, sottomisersi alla Repubblica, e le giurarono fedeltà, con la promessa di assisterla nelle sue guerre nel golfo, di rispettarne le leggi, ed assumendo altri obblighi verso di lei.

In frattanto le navi normanne più sempre correvano i mari a danno dell’Augusto d’Oriente Emmanuelc Comneno; e, già insignorite di Corfù, si erano volte a saccheggiare Cefalonia, Corinto, Tebe, Atene, Negroponte; dai quali luoghi tutti menarono cattive molte genti, affine di popolare alcune terre sicule quasi deserte. Per la qual cosa si volse Emmanuele a chieder soccorso ai Veneziani, i quali nel desiderio, da un lato, di conservarsi i larghi privilegi da essi goduti nelle terre imperiali e di acquistarne anche dei novelli; e dall’altro, punti da gelosia nel vedere i Normanni divenire ogni dì più possenti, acconsentirono.

Le inimicizie fra Ruggieri, re di Sicilia, e gli Augusti d’oriente erano antiche, a motivo delle pretensioni che questi ultimi avean sempre sulla Sicilia, e sopra altre città della Puglia e della Calabria. E già fin da quando imperava Giovanni, padre di Emmanuele, tentò egli di unirsi in lega coll’imperatore d’Occidente e re d’Italia Corrado III, e doge Pietro Polani ne era stato il mediatore. Nel 1147 però nulla si poteva sperar da Corrado, che, assunta la eroce, partiva con grosso esercito per alla volta di Terra santa. L’anno seguente pertanto si preparò dall’Augusto greco poderosissima flotta, di circa mille legni; ed ai Veneziani, che pur si allestivano a porgere a lui soccorso, concedeva un nuovo crisobolo, con più larghi privilegii commerciali, e concedente in perpetuo al doge il titolo di protosebaste, e al patriarca di Venezia quello d’iperteno, con gli annessi emolumenti.

La flotta veneziana, composta di quaranta galee e quattordici navi, capitanata dallo stesso doge, si mise alla vela nel 1148. Una tempesta di mare la costrinse a prender porto a Caorle, ed ivi fermarsi alcuni giorni, durante i quali cadde malato il Polani, sicché, lasciati al comando della flotta stessa Giovanni fratel suo e Ranneri suo figlio, ripatriò. Poco appresso passava a miglior vita, e veniva tumulato in San Cipriano di Murano. La cronaca Veniera, dice però che moriva a Caorle, e che, tradotta la salma a Venezia, ricevette sepoltura nella chiesa ora detta.

Durante la ducea del Polani si eresse, nel 1133, la chiesa di San Marziale dalla famiglia Cocco, o Cocchi; e nel 1138, il monastero di San Daniele, per opera di Leone da Molino, monaco cisterciense.

Il ritratto di questo doge, tiene nella destra mano il solito breve, con la seguente inscrizione, rapportata con alcune diversità dal Sanudo:

FANVM SVB ME TRIBVTARIVM EFFICITVR.
MONASTERIA SANCTORVM CLEMENTIS, ET JACOBI DE PALVDE CONSTRVVNTVR. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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