Chiesa dei Santi Simeone e Giuda Apostoli vulgo San Simeon Picolo

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Chiesa dei Santi Simeone e Giuda Apostoli, vulgo San Simeon Picolo - Santa Croce

Chiesa dei Santi Simeone e Giuda Apostoli, vulgo San Simeon Picolo

Storia della chiesa

Un’antica pergamena trovata rinchiusa in piccola cassetta di piombo insieme con alquante reliquie dei santi nella mensa di un altare, allorché nell’anno 1718 si atterrava la vecchia chiesa, ci porge qualche benché non grave congettura di credere, che l’antica chiesa Parrocchiale dei Santi Apostoli Simone e Giuda, di cui si dice fondatrice la famiglia Briosa, sia stata fabbricata nel secolo IX. Poiché i pochi caratteri, che ancora rimangono in essa carta (corrosi gli altri, e fatti svanire dal tempo) esaminati dai periti furono indicati dell’uso di detto secolo. Altri più fondati argomenti delle susseguenti sue rinnovazioni si trassero nell’occasione stessa, quando nell’escavare il terreno della vecchia chiesa per stabilirvi i grandiosi fondamenti della nuova mole, vi furono rinvenuti tre pavimenti di diversa materia, e differente manifattura, l’uno sovrapposto all’altro in poca distanza; dal che si rileva oltre la prima fondazione aver avuto questa chiesa due posteriori rifabbriche, almeno del pavimento.

Privo per altro l’archivio di qualunque documento attinente ai tempi antichi, solo si sapeva per tradizione essere stata la chiesa consacrata nel giorno 21 di giugno dell’anno 1271 e perché anche questa memoria non andasse smarrita, fu nell’anno 1625 fatta incidere in marmo da Fabrizio Tolla allora piovano.

Nonostante le molte sue rinnovazioni, mostrava la chiesa nei principi del secolo XVII contrassegni tali di sua antichità, che per levarla dall’imminente pericolo di rovina convenne nell’anno 1718 di atterrarla, e nel giro poi di venti anni fu con grandissimo dispendio rialzata dai fondamenti, indi nel giorno 27 di aprile dell’anno 1738 onorata con l’ecclesiastica consacrazione da Gasparo Negri prima sacerdote alunno di questa chiesa, e poi vescovo di Cittanova nell’Istria, da cui fu trasferito al vescovado di Parenzo. Con solenne culto si venera in questa chiesa da tempo immemorabile un braccio di Santa Dorotea vergine e martire in Cesarea di Cappadocia; onde per stabilirne durevole, ed accrescerne nel popolo la devozione, fu nell’anno 1744 ottenuto per la città e diocesi di Venezia il di lei uffizio proprio di nove lezioni.

Altra venerabile e preziosa reliquia, asseriscono l’Ughello nell’Italia Sacra, ed il Torelli negli Annali Agostiniani, essersi posseduta da questa chiesa nel secolo XV cioè il capo ed un braccio dell’Apostolo San Simone, i quali nell’anno 1434, da un prete di nome Giacomo Clemente, nativo del Castello di San Vito nel Regno di Napoli, furono furtivamente rapiti a questa chiesa insieme con altre riguardevoli reliquie, e trasportati ad Ansano, luogo allora soggetto alla giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Chieti. Procurarono a tutto potere (così scrivono gli autori suddetti) i veneziani di riaverle, e ne scrissero perciò efficaci lettere così al vescovo di Chieti, come ai Capi della Terra d’Ansano; ma inutilmente: per cui non esaudite le loro giuste istanze, restarono gli Ansanesi in quieto possesso delle rubate reliquie. Di un tale fatto, e delle susseguenti doglianze non facendone menzione alcuna né gli scrittori veneziani, né i registri pubblici, esattissimi per altro di quei tempi, e gli stessi storici napoletani tutto passando sotto silenzio, egli è verosimile il credere, che supposta la realtà del furto, quando avesse voluto il Senato interessarsi per a restituzione, piuttosto che al vescovo di Chieti, ed ai capi di una piccola comunità si sarebbe rivolto ad impetrare la protezione del pontefice Eugenio IV, allora regnante, e della regina Giovanna, sotto la di cui ubbidienza era in quei tempi il Regno di Napoli.

Due furono i piovani di questa chiesa innalzati a riguardevoli dignità ecclesiastiche, cioè nell’anno 1391 Bartolommeo Recovrati, eletto poi primicerio della Ducale Basilica, e Marco Cattaneo nel 1459 il quale dichiarato arcivescovo di Durazzo si ritenne a titolo di commenda la sua chiesa, in cui volle anche essere sepolto. (1)

Visita della chiesa (1839)

Il 1738 era ancora dominato dal corrotto gusto, bella e felice ispirazione si fu quella di Giovanni Scalfarotto di condurre la fabbrica di questa chiesa sul modello del Pantheon di Roma, comunque non servilmente imitato. Nel che fare diede prova di molto ingegno e di gran magistero. Divisa in tre parti l’altezza di tutto il tempio, due di esse costituiscono la larghezza, onde che ne risulta il semplicissimo rapporto di tre a due. Diviso è pure in tre l’ordine principale, che, compreso lo zoccolo, equivale all’altezza dei tre scalini per cui si monta al coro.

Il ternario trionfa anche nel prospetto e ne segna le principali divisioni. Un terzo della colonna è l’altezza della gradinata, ed è di tre parti l’altezza dal piano del vestibolo sino alla sommità dell’attico, mentre è di una parte quella dell’attico medesimo. Pesantissima nondimeno riesce la figura della sovrapposta cupola per lo estremo suo innalzamento, concorrendo a renderla ancora più pesante la cupa tinta del rame, onde è ricoperta. Il grande bassorilievo, col martirio dei due santi titolari nel timpano del frontespizio, è di Francesco Penso, detto Cabianca. (2)

Al pari di quelli del Pantheon sono a tabernacolo gli altari di questa chiesa; ma niente è di essi, circa ad opere di pittura che possa essere osservato.(2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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