Arsenale Marittimo

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Torri e Ponte dell'Arsenale - Castello

Arsenale Marittimo

Il più antico ed il più singolare di ogni altro arsenale marittimo, che quasi per incantesimo innumerevoli flotte fece uscire dal suo seno, merita invero di essere esaminato benché privo oggi mai delle antiche memorie venerande che nei torbidi del 1797 rimasero distrutte.

L’origine del veneto Arsenale rimonta adunque ai primi secoli della repubblica. E sebbene il popolo veneziano, non per anco conquistatore ed inteso soltanto a le speculazioni commerciali, avesse cantieri e fabbricasse navigli in vari noti della città, né ancora cercasse colla diffidenza compagna del dominio di ridurre in un solo luogo munito gli strumenti della difesa, pure non si tosto venne a le prese cogli emuli delle nascenti sue virtù che pensava di fabbricare tal luogo dove le navi e le armi fossero salve dai ladronecci, dalle arsioni e dagli sfoghi della vendetta. Ecco i motivi per cui non appena i Veneti cominciarono i conquisti di Oriente che presero pur ad erigere un Arsenale, che Arzenà nel antico dialetto veneziano si appellava. Certo che nella prima sua istituzione non ebbe il grand’ambito odierno; non la venustà accoppiata alla forza: soddisfaceva ai bisogni e basta. Prese bensì poi una forma più grandiosa col modello di Andrea da Pisa nel 1304 epoca dal Sansovino assegnata invece a cominciamento; tuttavolta nei tempi posteriori ebbe mestieri di nuove aggiunte. Una n’ebbe nel 1312; una nel 1473; ed una nel 1579. A cagione dei terribili incendi accaduti nel 1509 e nel 1569 ricevette immediati restauri, ampliazioni ed abbellimenti finché nel 1618 fu ridotto in isola pe timore di una congiura suscitata da gente straniera. Il marchese di Bedmar, ambasciatore di Spagna a Venezia, conosceva gli ostacoli all’ingrandimento della sua nazione in Italia finché sussistesse la repubblica di Venezia. Approfittando quindi di chiunque si fosse in Venezia mostrato, malcontento del proprio governo combinò una congiura nella quale entravano inoltre il duca di Ossuna e Pietro di Toledo, l’uno vice re di Napoli e l’altro governatore di Milano; paesi allora soggetti alla Spagna. Scopo principale di tal congiura esser doveva l’incendio dell’Arsenale merce le secrete intelligenze di due emissari che fingendosi precipitati cercarono dal duca di Ossuna cercarono rifugio in Venezia ed impiego nell’Arsenale. Se non che alcuni accidenti ritardando lo sviluppo della congiura medesima, un ufficiale normando in essa inviluppato ebbe campo di svelare ogni cosa al consiglio dei X e procacciare la salvezza della Repubblica.

Svanito quel pericolo l’arsenale si rese isolato da ogni altra comunicazione: si circondò di grosse ed alte mura ed a proporzionate distanze venne difeso da varie torri in ciascuna delle quali sotto la Repubblica vegliavano in tempo di notte le scolte. Negli anni 1808 e 1809 ebbe nuove riforme; vi si fabbricarono nove scali vivi tutti di pietra per la costruzione di vascelli d’alto bordo; dal lato orientale si aperse una nuova porta all’uscita dei grandi vascelli e si diede principio all’escavazione del canale che da quella nuova apertura arriva al porto di Malamocco.

Prima del 1810 non aveva altro varco marittimo se non quello che si vede nel campo dell’Arsenale munito da due torri per il quale passa il rivo della Madonna. Ma fatto il menzionato nuovo passaggio ai navigli dal lato orientale, questo verso il campo dell’Arsenale si usa pei legni di lieve immersione soltanto.

Ecco in breve la storia di un edificio che ha ben oltre tre miglia di giro e che, secondo d’Argensone, è la più maravigiosa cosa che veder si possa nel rimanente del mondo.

Il campo, o piazzola, che sta di rincontro all’ingresso dell’Arsenale fu ridotto più ampio dopo il 1797, e veniva chiuso negli antichi tempi da imposte in tutte le strade che vi mettono capo. Il pilo di bronzo, che vi sorge nel mezzo a sostegno dell’antenna pei vessilli del governo, fu eretto ai tempi della guerra di Morea (anno 1693) in memoria del doge Francesco Morosini il Peloponnesiaco. Un ponte di marmo congiunge codesto campo col portone che dà ingresso all’arsenale ed una balaustrata, sui pilastri della quale sorgono otto statue di marmo rappresentanti otto deità mitologiche ricinge quel ponte. A fianco della balaustrata stanno esternamente quattro leoni. Il maggiore seduto sulle zampe posteriori alla destra, ed il primo sdraiato alla sinistra della balaustrata furono recati da Atene nel 1687 quando le venete armi guidate da Francesco Morosini occuparono l’Acaja, discesero nell’Eubea e conquistarono l’intero Peloponneso. Quello alla destra stava nel porto del Pireo che appunto per esso si appella tuttora il porto Leone. L’altro alla sinistra stava sulla via che dal porto medesimo guida alla città di Atene; ma la sua testa da mano profana fu rinnovata. Soggetto di grandi controversie tra i dotti furono alcune iscrizioni o cifre antichissime, con disposizione spirale, incise sulla giubba e lungo le spalle del primo; però la spiegazione più verosimile, perocché ci sembra la più semplice, è a nostro avviso quella del signor Davidde Weber, il quale_opina che le quattro sigle unite siano il nome abbreviato dell’architetto edificatore, e che la sigla più bassa significhi il N.° 5, forse riguardo al posto occupato da quel monumento nella serie del peristilio. Il leone che segue alla sinistra sembra ivi collocato nel 1716 giacché vi è sotto scolpito Anno Corcyrae liberatae.

Passati adunque per la detta balaustrata, pria di entrare nell’arsenale, è d’uopo considerarne il portone coetaneo alla prima di esso instituzione. Decorato venne nell’anno 1460 con colonne di marmo greco e con un gran leone che vi campeggia nell’attico. Nel 1571 si fece servire inoltre a monumento fella vittoria delle Curzolari leggendovisi nel fregio: Victoriae navalis monumentum MDLXXI, e nel 1578 si pose in sulla cima del timpano anche la statua di Santa Giustina, opera di Girolamo Campagna, perocché nel dì che dalla chiesa si celebra la festività di quella santa accadde appunto si memoranda vittoria. Nel 1688 si rese finalmente quel portone nuovo segno glorioso avvegnachè si fece servire qual arco di trionfo a Francesco Morosini. Quindi se ne rivestì l’imposta, come pur ora si vede, con guerreschi emblemi e trofei di rame, e si è collocato nell’alto lo stemma del doge con lo scritto: Franc. Maurocenus Dux. Adesso c’è invece lo stemma imperiale.

Trascorse la porta, si giunge in un atrio di gentile e semplice architettura sul disegno di Jacopo Sansovino, e nel quale un’italiana inscrizione ricorda aver l’imperatore Francesco I, di gloriosa memoria, nel 1816 assistito nel terzo giorno di Pasqua all’annua solennità della benedizione dell’arsenale.

Dall’atrio passando nell’interno noi ci faremo ad esaminarlo sulla scorta della preziosa guida dell’arsenale pubblicata dal signor Giovanni Casoni, ingegnere dell’arsenale stesso, il quale per la copia della sua erudizione, più che per la qualità del suo ufficio, fu in stato di far un’operetta dotta insieme, esatta e gradevole. Sulle tracce pertanto di tal guida, per quanto brevi confini di quest’opera ce lo consentono, noi ci faremo ad esaminare l’interno di si magnifico stabilimento e principieremo dal così detto arzenal vecchio che è quello spazio d’acqua circoscritto da fabbriche subito offerte nell’entrare allo spettatore. Esso è l’antico arsenà di cui parla Dante nel canto XXI dell’Inferno. La prima porta, che tosto si vede alla sinistra, dà ingresso alle due sale d’armi, l’una posta nel piano inferiore e l’altra nel superiore. Sta su quella prima porta un monumento eretto nel 1688 per decreto del senato ad Ottone di Konigsmark generale di sbarco della repubblica che, sotto gli ordini di Francesco Morosini il Peloponnesiaco, pose l’assedio ad Atene, investì l’Acropoli dove sorgeva il famoso tempio di Minerva, il Partenone, e dove, si dice, fosse ancora conservata la statua di quella dea lavoro di Fidia. Per sventura le artiglierie di lui diroccarono affatto quei ruderi antichi.

Saliti ora alla prima sala d’armi, ridotta nel 1825 al modo presente, noi la vedremo fornita di antiche armi, scarsi avanzi delle depredazioni del 1797. Dirimpetto all’ingresso vi ha il busto di S. M. Francesco I del vivente Bartolommeo Ferrari, affine di ricordare la sua venuta in Venezia nel 1825.

Passando poscia alla seconda sala d’armi nel piano superiore, tutta guernita con armi da fuoco moderne, ne troveremo però tra esse alcune di antiche assai interessanti; 1.° Qui sta l’armatura spedita da Enrico IV in dono alla Repubblica che era collocata prima nelle sale dell’armamento di palazzo ducale insieme alla inscrizione che ricorda un tal dono. Indi vi ha un cavallo bardato con l’armatura equestre di Erasmo da Narni detto Gattamelata che comandò le armi contro il duca Filippo Visconti e che tanto si distinse nel 1483. 2.° il monumento di Vittore Pisani qui trasferito dalla chiesa di San Antonio di Castello; 3.° un antico fucile a cavalletto che porta 20 canne disposte intorno ad un cilindro girevole. I colpi partono due per scarica ed il fucile prende fuoco con miccia: forse è opera anteriore al secolo XIV. 4.° Portamiccie che si costumava nel principio del secolo XIV a bordo delle galere. 5.° Monumento alla memoria dell’ammiraglio Angelo Ermo, una delle opere prime di Canova eseguita in Roma nel 1794. Esso è formato da una colonna rostrata avente il busto dell’eroe ed esposta all’urto dei flutti. Una leggiadra fanciulla ricurva scrive sulla colonna il nome di Angelo Emo mentre un genio alato sceso dall’etere lo ricinge colla corona delle vittorie. Ancora puro è Canova in questo monumento: il convenzionale che offuscò le sue opere posteriori in questa è piuttosto tentato che raggiunto. 5.° A tra antico fucile a cavalletto avente una sola canna fissa con cinque tubi alla parte inferiore della canna. Girano quei tubi sul perno e sostituiscono per cinque volte la carica. 7.° Spingarda bellissima di esatto e diligente lavoro che si vuole opera di un figlio del doge Pasquale Cicogna. Finalmente in questa sala vi hanno quattro armadi dove sono raccolte molte armi ed antiche memorie e che per la massima parte stavano nelle anzidette sale dell’armamento nel palazzo ducale.

Vedute cotesta sale, scesi che saremo al piano, troveremo sopra la porta succedente quella che ci introdusse nelle sale menzionate il monumento da Alvise Foscari eretto alla memoria del di lui amico Girolamo Contarini, e qui trasferito dalla chiesa del Sepolcro dove noi lo abbiamo ricordato. Movendo poi per la sinistra, seguitano dieci cantieri, indi i depositi di carenaggio, e officine di pittura, di falegname, di tagliatore e di tornitore. In quest’ultima officina sorge un altare con spalliere e ginecei sul quale in occasioni di divini uffizi si celebra la messa con l’intervento di tutti gli operai dello stabilimento. La pala è di Francesco Maggioto. Viene finalmente l’officina degli scultori ed indi succede la chiesa della Celestia aggregata all’arsenale nel 1810 e tramutata in un magazzino. Qui termina il limite dell’antico arzenà perocché lo spazio d’acqua che a sinistra si distende, detto canal delle Galeazze, era un giorno ortaglia annessa al monastero della Celestia e fu la quinta delle aggiunte fatte all’arsenale nel 1557.

Continuando il cammino si passa dall’opposto lato al fabbricato per la squadratura dei legnami eretto ne la prima metà del secolo XVIII con architettura di Giuseppe Scalfarotto. Un robusto basamento mette piede nell’acqua e 13 archi giganteschi, semplicemente decorati, ne costituiscono il maestoso prospetto. Lungo piedi 447 ed alto piedi 45, è assai industriosa l’impalcatura di quell’edificio per la connessione delle travate per la solidità prodotta dallo equilibrio in che furono poste tante scambievoli azioni, e l’urto di tante spinte.

Di qui si passa alla sala dei modelli ridotta da un cantiere nel 1778 dove gli ingegneri tracciano sul pavimento le curve normali dei più grossi bastimenti, e dove altre volte si accoglieva una collezione di navigli antichi e moderni atta a dimostrare la storia della navigazione. Ma nel 1797 il maggior numero di quei modelli è sparito, né altro più ne rimane che alcuni modelli raccolti in 12 armadi: quelli delle galere, quelli delle fregate la Venere e la Pallade ultime costrutte sotto la repubblica, il celebre galeone conosciuto per Villore Fausto stato costruito nel 1570 e cosi denominato dal celebre Fausto suo autore che per decreto del senato fece edificare la tanto rinomata quinquireme ad esempio delle antiche; i modelli delle bombarde (fra le quali l’Orione e la Distruzione), portanti un mortaio di 500 libbre di palla ed adoperate nel 1783 dall’ammiraglio Emo sotto le piazze di Tunisi, Sfax, la Goletta, ecc.; il modello di un brulotto, bastimento che viaggia anco sott’acqua e del quale usarono i Veneziani si nel XII secolo nelle spedizioni di Terra Santa e si nel 1449 quando incendiarono due grosse navi ed altri bastimenti Catalani raccolti nel porto di Siracusa; le piante elevate di nove fortezze avanzo della doviziosa raccolta di piante che formavano altra volta l’ornamento di questa sala; finalmente il modello del Bucintoro che la repubblica usava nelle solenni occasioni di pubbliche comparse ed essenzialmente nel giorno dell’Ascensione per l’annua visita del mare. L’ultimo fu arso nel 1797 dal fanatismo democratico che distrusse tanti rari monumenti.

Usciti dalla sala dei Modelli si trova alla destra non meno che alla sinistra di un canale detto Vasca i cantieri delle galeazze ragguardevoli per la grande loro vastità e cosi denominati per aver servito un tempo alla costruzione delle galeazze. Ma non occorre deviarci punto dal cammino onde esaminare un altro riparto di cantieri che cinge ad oriente la darsena detta nuovissima e di cui è parte un altro detto delle nappe; l’uno e altro appartenenti ad un terzo ingrandimento fatto all’arsenale nel 1447. Cingono poi quella medesima darsena nuovissima per tutta la linea settentrionale altri cantieri gli uni agli altri succedenti costrutti pure nello stesso terzo ingrandimento del 1447 e denominati i riparti di San Cristoforo, dell’Arsenale nuovissimo e del Loreto.

Giunti a quest’ultimo riparto si trova la porta nuova più sopra menzionata eretta nel 1809 per la uscita dei vascelli di alto bordo. Costrutta nel 1809 là ove un’altra già ne esisteva sino dal 1516 si mise alla difesa di essa una robusta torre alta 106 piedi parigini e principiata dal governo italico si è compiuta dal governo presente. Sulla sommità di quella torre stanno due grosse antenne o capre per sollevare i vascelli.

Movendo poi per il lato occidentale dell’arsenale si vedranno altri riparti di cantieri e specialmente quelli detti scoperti perché tali furono ridotti per la considerazione del francese ingegnere Forfait il quale, con la demolizione di nove cantieri da vascello che ivi sorgevano, tolse in quella arte la singolarità dell’Arsenale di Venezia di avere cioè i cantieri tutti coperti in guisa che a qualunque inclemenza di tempo e di stagione possono gli operai continuare nei lavori loro.

Progredendo il cammino si stendono lateralmente verso mezzodì nove locali addetti in altri tempi alla costruzione delle galera e chiamati i cantieri all’isolotto, la darsena dell’arsenale nuovissima e quella del nuovo, indi si giunge e ad altri cantieri già impiegati alla costruzione delle galere e ora usati per lavoro degli alberi e per l’officina dei caicchi.

Viene in fine la Sala ove stava il bucintoro. La fabbrica di questo edificio è architettata da Michel Sammicheli tra il 1544 e 1547. La sua decorazione è di serio dorico tutto a borse scabre, risentite, alternate. Un attico ricorre lungo tutta la fronte ed in mezzo ad esso in basso-rilievo sta una figura di donna rappresentante la Repubblica di Venezia. Ora serve questa sala per conservare cinque scalè ossia barche lance destinate al servigio dell’ i. r. corte. Appesi alle muraglie di essa si vedono tuttavia alcuni fianchi di galera i quali ricordano il costume dei Veneziani di ornare da puppa di quei navigli con pezzi dorati. Esiste inoltre in questa sala un canoè indiano pervenuto da Rio Janeiro nel 1818, ed il tronco dell’albero da puppa dell’ultimo bucintoro.

Dalla sala detta de Bucintoro si passa a varie officine ed indi, compiuto il cammino, se si salga il ponte, si scopre la Darsena dell’Arsenale nuovo stata in origine l’antichissimo lago di San Daniele acquistato dalla Repubblica da quei monaci nel 1325 ed unito all’arsenale nel 1326. I magazzini generali che fiancheggiano quella darsena dalla parte di levante offrono e nel loro prospetto e nella loggia ad essi superiore qualche cosa di singolare tanto per la solidità quanto per la semplicità della decorazione. Consiste il prospetto di quei magazzini in sei vaste arcate con vólto ed imposte ricorrenti. L’attico che ne corona la sommità serve di balaustro all’anzidetta loggia superiore, nella quale si ergono quattro grosse ed altissime antenne per distendere le vele nuove che ricevettero il necessario attuffamento nell’acqua marina pria di venir depositate nei magazzini.

Dalla darsena dell’ Arsenale nuovo, movendo verso mezzo giorno, si essa ad un vasto piazzale che appartiene alla prima origine dell’Arsenale (anni 1304 e 1305 ). Molte officine stanno intorno al piazzale medesimo, e da esso passando nel così detto stradale, può essere veduta nel fondo la porta dorica per la quale si entrava nell’Arsenale di terra, innanzi che fosse diviso dall’Arsenale marittimo. Fiancheggiano nello stradale alcune officine, a ridosso delle quali sta il grande fabbricato della Tana. La grande officina della corderia, dove si fabbricano le funi e le gomene, fu eretta nel 1579. Lunga piedi parigini 965,46 è divisa longitudinalmente in tre spaziose navate mediante due ordini di robustissime colonne in stile toscano. Ampie sono le gallerie che ne dividono per altezza i due lati maggiori, ed alcuni ponti lanciati sulla navata di mezzo la mette in comunicazione con le dette gallerie. Dalla officina della corderia si passa ad altre officine e ad un parco di artiglieria di bronzo raccolto nel 1825. Finalmente si giunge al cosi detto stradale dei cantieri dove, affisso alla parete del fabbricato alla destra, sta il monumento eretto per decreto del senato al conte Giovanni Matteo de Schulemberg generale terrestre della repubblica, assai rinomato per la portentosa ritirata che ci fece sull’Oder alla presenza dell’armata di Carlo XII re di Svezia, e celebre tra noi per la bella difesa di Corfù da lui sostenuta contro le forze ottomane nel 1718. Oltrepassato il ponte, che è in capo al descritto stradale dei Cantieri, si torna alla porta principale terrestre e quindi il giro dell’arsenale è compiuto.

Parlando dell’Arsenale non vogliono essere dimenticati gli Arsenalotti, corpo di artisti operai stabilito fino dai primordi dell’Arsenale; porzione scelta della classe popolare attaccatissima al governo; unica guardia al consiglio maggiore ed ai magistrati della Repubblica; corteggio decoroso al principe nelle solennità militari e politiche; ceto così importante che somministrò tanti utili operai nelle esigenze dello stato e che l’arte navale propagò nella Russia, in Svezia, in Inghilterra a richiesta di quei sovrani; corpo in fine che godeva la predilezione della Repubblica al segno da assicurar ai padri ed ai figli di esso un perenne sostentamento.

Una delle circostanze nelle quali più campeggiava lo scambievole amore tra la Repubblica e gli Arsenalotti era la gita del Bucintoro al Lido nel di dell’Ascensione. In quell’occasione veniva il Bucintoro remigato da in Arsenalotti, e di protomastri loro, vestiti in costume con l’abito lungo, o veste talare pavonaccia, se ne stavano nelle gallerie del naviglio, mentre dopo la solennità restavano tutti banchettati al palazzo ducale con tale pasto quale da alcune semplici regole era stato nei primi tempi stabilito. Negli incendi si distinguevano gli arsenalotti per la desterità e per l’intrepidezza nel farsi ad estinguersi. Erano finalmente riuniti in corporazione secondo le varie professioni. Ora soli i calafati conservano un’ombra del primo istituto.

L’Ammiraglio dell’Arsenale, che era il primo della Repubblica, era persona per lo più marina: portava una veste talare di color rosso ed una sopravveste di pavonazzo; godeva di molti privilegi e nel di dell’Ascensione dirigeva il Bucintoro ed andava ad invitare il principe e ad assicurarlo del tempo opportuno per la gita solenne.

Quanto alla direzione nobile dell’Arsenale essa era affidata a sei patrizi, tre dei quali venivano scelti dai senatori e si chiamavano sopra Provveditori, durando in quel carico sedici mesi, e gli altri tre, che non erano senatori, si dicevano Padroni dell’Arsenale. Duravano 32 mesi ed erano tenuti ad abitare nei tre palazzi di pubblica ragione che sono d’appresso l’Arsenale dove ora stanno le cancellerie, e che si appellavano altre volte l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso. Uno dei padroni dell’Arsenale doveva dormire per 15 giorni ogni notte in una stanza dell’Arsenale, ed a lui venivano recate le chiavi della porta di terra acciocché le custodisse sino allo spuntare del giorno. (1)

(1) ERMOLAO PAOLETTI. Il Fiore di Venezia, Volume II. Tommaso Fontana tipografo edit. Venezia 1839

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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