Sala del Senato o dei Pregadi

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Sala del Senato o dei Pregadi - Palazzo Ducale

Sala del Senato o dei Pregadi

Il pregadi non era altro che il senato. Nacque quel nome di pregadi dal pregare i senatori ed più vecchi del consiglio ad intervenirvi. Era negli ultimi tempi della repubblica composto di 120 nobili senatori, 6o dei quali erano pregadi, e 60 di quelli così detti della zonta perché aggiunti posteriormente. Oltre di essi entravano all’uopo a comporlo anche altri consiglieri e magistrati. Si radunava in esso la guerra, la pace, la tregua, le imposizioni, le cariche da distribuirsi, le nomine degli ambasciatori, in somma tutte le materie politiche ed economiche che la repubblica. Questa sala fu cominciata nel 1301 sotto il doge Gradenigo e si finì nel 1309, nel qual anno cominciò quivi a ridursi il consiglio maggiore continuando a ridurvisi sino al 1425, in cui, non essendo più capace al gran numero dei senatori, passarono essi nella nuova sala del maggior consiglio rimanendo questa per il ridotto dei Pregadi. Fu però preda essa pure del fuoco nel 1574, ed in quell’occasione perirono in essa molte preziose pitture e molti ornati messi ad oro. Dopo quell’avvenimento venne rifatta quale oggidì si vede.

Tuttavia è mestieri all’osservatore d’immaginare la doppia fila dei banchi che la occupavano longitudinalmente e sui quali sedevano i senatori non meno che sugli altri banchi laterali tuttavia sussistenti. Sussiste ancora alla metà del lato delle finestre la bigoncia su cui salivano quei senatori che avessero voluto sostenere i propri ragionamenti. E celebre era per verità il eloquenza di che i Veneziani nei secoli della repubblica fecero quivi pompa, protraendo spesso il calore delle dispute sino a lunga notte. A tal fine pendevano dal soffitto di questa sala tre gran cannoni di ferro vagamente lavorati e messi ad oro onde raccogliere il fumo delle tre torcia che venivano accese quando cessava la luce diurna.

Premesse tali notizie chi voglia esaminar le pitture adornanti questa sala incominci dal quadro di Jacopo Palma il giovane sopra la porta maggiore. Rappresenta i due dogi Lorenzo e Girolamo fratelli Friuli assistiti dai santi del loro nome ed adoranti il Salvatore, Nostra Donna e San Marco. Creati, uno nel 1556 e 1’altro nel 1559, si volle forse con questo quadro alludere alle preghiere per essi fatte nel tempo in cui la peste e la carestia imperversavano nella città nostra. Veramente è una delle più belle opere di quel pittore. Disegno, vaghezza di colorito, correzione, tutto c’è per entro se scusi quella svenevolezza a cui per i gran lavori erano trattati ed i Palma ed i suoi contemporanei: svenevolezza che nel secolo seguente (XVII) fu la cagione precipua di quello sciamannato fare da tutti conosciuto. Lo stesso Palma fece ai due lati di questo quadro le due figure a chiaro-scuro esprimenti la Prudenza e la Giustizia.

Passando a considerare il destro lato si trova tra le finestre un gran quadro attribuito da alcuni a Marco Vecellio, da altri ad un suo discepolo. Opera vigorosa è desse in vero per ogni riguardo. Vedasi San Lorenzo Giustiniaui all’altare di San Pietro di Castello venir eletto primo patriarca di Venezia (anno 1451). Quindi si scorgono i tre vescovi che il consacrano, ed i senatori assistenti alla lettura del breve di Nicolò V, il quale concentrando le due chiese di Grado e di Castello dà alla seconda il patriarcato proprio della prima. La seguente figura di Tolomeo filosofo è pur altre belle produzione dell’anzidetto Jacopo Palma.

Nel gran vano sopra il trono il Tintoretto dipinse il Redentore morto sostenuto degli angeli e dai Santi Antonio abate, Giovanni, Domenico, Sebastiano, e Marco in uno ai genuflessi dogi Pietro Lando e Marcantonio Trevisano, l’uno creato nel 1538, e l’altro nel 1555. Anche le due mirabili laterali figure a chiaro scuro sono del medesimo autore. Sotto a questo gran quadro, ai due lati del trono, da Gian Domenico Tiepolo raffigurossi quinci Cicerone disputante, e quindi Demostene incoronato.

Sono del Palma i tre primi gran quadri del seguente lato opposto alle finestre. Il primo esprime il doge Francesco Veniero, creato nel 1554, innanzi a Venezia che assisa in trono accoglie i doni da molte città dello stato dove egli andò rettore. Vi assistono in aria i Santi Marco e Francesco. Il secondo quadro rappresenta il doge Pasquale Cicogna (creato nel 1585) raccomandato da San Marco al Redentore. La Fede, la Giustizia e la Pace, virtù tutelari di quel doge, si abbracciano e l’isola di Candia, raffigurata per una bella giovine con uve in mano e col labirinto appresso, per essere vari anni stata governata da lui e liberata delle armi turchesche culla vittorie navale alle Curzolari, si vede qui posta, in una alla statua che essa erigeva ai tanti meriti di quel doge. Il terzo quadro rappresenta la famosa lega di Cambrai avvenuta nel 1508. Vi sta nel mezzo il doge Leonardo Lorredano, creato nel 1501, con Venezia sul leone che affronta una giovine (l’Europa) assisa sul toro e difesa da uno scudo sul quale stanno effigiate le armi dei principi collegati, in un lato si scoprono la Pace e l’Abbondanza; due Vittorie volano sopra di esse, e da lunghe appare la città di Padova recuperata la prima dai Veneziani contro gli alleati. A compiere la facciata fece il Tintoretto l’ultimo quadro e la figura della Pace a chiaro-scuro nell’angolo. In quell’ ultimo quadro dipinse il doge Pietro Loredano, creato nel 1567, implorante Nostra Donna ed i Santi Marco, Pietro e Lodovico per la carestia e per la guerra col Turco che allora affliggevano Venezia significata dalla piazza ivi ritratta. Ai due lati della porta, che mette il Pregadi in comunicazione con la sala del Collegio, vi sono due ricchi ed ornati orologi: l’uno dimostrante le ore, e l’altro i segni celesti.

Ma il soffitto, mirabile per la ricchezza dei fregi dorati e per l’armonia dei compartimenti, richiama le nostre attenzioni. Da Cristoforo Sorte veronese si diede il disegno di questo soffitto dove nel mezzo il Tintoretto rappresentò Venezia sopra le nubi a cui, come a regina del mare, da molte deità marine vengono offerti cavalli, conchiglie, perle ed altro. Andrea Vicentino, nell’ovato verso la porta a sinistra del Collegio, dipinse l’officina dei Ciclopi con Venere che presiede ai loro lavori, e nell’altro ovato opposto, l’Aliense secondo alcuni, e Girolamo Gambarato secondo altri, espresse il doge tra i consiglieri. Vengono i due ovati dall’uno e dall’altro capo della sala. In quello sopra il trono Tommaso Dolabella fece l’adorazione prestata all’Eucaristia dal sommo pontefice, da vari prelati, dal doge Cigogna e dal senato. Sopra un breve nell’alto vedi scritte Tutela R. P. quasi a dire la tutela del governo veneto essere stata in Cristo Nostro Signore. (1)

ERMOLAO PAOLETTI. Il Fiore di Venezia, Volume II. Tommaso Fontana tipografo edit. Venezia 1839

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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