Il Corpo della Repubblica

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Jacopo Palma il Giovane. - Venezia e la Lega di Cambrai - Sala del Senato, Palazzo Ducale

Il Corpo della Repubblica

Doge. Fornito di cospicua grandezza, di dignità reale e di esteriori onorificenze, nelle funzioni, nel vestito, nel corteggio godeva il privilegio di eleggere il primicerio e i canonici di San Marco. Tutti gli editti, dispacci, lettere, ec, che la repubblica o scrivesse, o ricevesse, portavano il serenissimo nome di lui. Tal era il capo della repubblica, il presidente a tutti i supremi consigli, cioè al maggior consiglio, al senato, ai dieci, alla signoria, ma nello Stato non aveva potere.

Maggior Consiglio. Era il fondamento, il sovrano, il padrone della repubblica, e dopo la nota sua riforma del 1297, non fu se non composto di soli patrizi. Dovevano questi essere frutti di legittime nozze e di nobili genitori, provati tali presso l’avvogaria, ed inscritti nel libro d’oro istituito nel 1319. ll doge, col suo consiglio minore, presiedeva e proponeva l’elezione di molti dei magistrati, che dentro e fuori di Venezia tenevano ragione di possanza pubblica. Non poteva avere ingresso nel maggior consiglio chi non era giunto all’età di anni 25, o non aveva cavato il bollettino nell’avvogaria per aver compiuto questa età, o estratti alla barbatella, cioè nel giorno di santa Barbara ai 4 dicembre, prima di questa età, cavando la bala (palla) d’oro. I soli benemeriti della patria furono talvolta eccettuati da queste leggi. Privi come siamo di autentici documenti, il voler trarre in luce l’origine di questo consesso supremo, sarebbe studio incerto e perduto. Dalle antiche memorie si può solamente raccogliere, che il maggiore consiglio non ebbe forma regolare che nel 1172. Da lui dipendevano tutte le magistrature ed uffici, e le sue leggi erano venerande.

Senato o Consiglio dei Pregadi. Uno dei corpi principali e più importanti della repubblica. Lo componevano i nobili più assennati e degni di stima. Portava il nome di pregadi (pregati), poiché è fama che negli antichi tempi non essendo per l’adunanza del consiglio stabiliti né giorni, né qualità e numero determinato di cittadini, a piacere del doge venivano pregati ad intervenire, solamente quelli che reputava i più atti agli affari. Ma nel secolo XIII, scemata l’autorità ducale, e meglio ordinato questo consesso, ad imitazione dei Romani, prese il titolo di senato, senza togliere quello di pregadi, che fu in ogni tempo conservato. Per decreto del maggior consiglio nel 1229 si compose di 60 nobili, e di altri 60 della giunta nel 1435. Di molti altri membri si accrebbe nel correre dei secoli, in guisa che si numeravano circa 300, dei quali, meno 53, tutti davano voto deliberativo. Venivano eletti annualmente dal maggior consiglio e scelti dalle più cospicue magistrature, o confermati i vecchi, o a questi altri di nuovo sostituiti. Restò così il senato in ogni tempo permanente. Grande, ma varia fu la sua autorità.

Nella civile polizia aveva somma influenza; i suoi decreti erano leggi della repubblica, come quelle del maggior consiglio. Era desso l’anima del commercio. A renderlo floridissimo nominava ambasciatori ai principi esteri, spediva legni mercantili, proteggeva con tutto l’amore la navigazione. Dava commissioni ai castellani, ai consiglieri delle piazze forti e mercantili. Trattava di guerra e di pace, di materie politiche, di pubbliche entrate, e di altri affari della maggiore importanza. Le sue deliberazioni non potevano essere intromesse se non a sé medesimo, ed i savi del collegio, che avevano il potere di radunare il senato, non riferivano le cose che a lui solo. Era in somma l’anima del governo. Il suo archivio è preziosissimo.

Consiglio dei Dieci. Dello spirito di questo tremendo decemvirato si fece parola nella storia civile e politica di Venezia. Diremo ora solamente alcuna cosa della sua istituzione, delle sue riforme, dei suoi diritti. La celebre congiura di Bajamonte Tiepolo, e la funesta guerra contro i Ferraresi, furono i precipui motivi per i quali il maggior consiglio creò il corpo dei dieci nel 1310, e di cui fu al doge con i suoi consiglieri data la presidenza. Fu l’istituzione del consesso confermata perpetuamente nel 1335 col semplice titolo dei dieci. Ma nel 1355, che fu l’epoca della congiura di Marin Faliero, si aggiunsero al corpo altri 20 nobili cittadini scelti dal maggior consiglio e dal senato, ed allora fu chiamato Consiglio di X con zonta, la quale nel secolo XV si restrinse a soli quindici membri, e nel secolo XVI fu affatto abolita.

Nel correre dei tempi fu la sua autorità più o meno ampia. Le riforme e correzioni fatte dal Maggior Consiglio negli anni 1458, 1582, 1628, 1762, liberarono lo Stato dal pericolo d’una oligarchia, col segnare moderate misure e giusti termini al suo potere. Che se precedentemente alla riforma del 1628 attendeva quasi ad ogni ramo amministrativo, poi le sue attribuzioni non si estesero se non alle materie dei nove decreti seguenti, notati da Marco Ferro nel suo Dizionario del diritto comune e veneto.

Primieramente fu stabilito che il consiglio dei dieci revocare non possa le leggi del Maggior Consiglio, né far dichiarazioni o ampliazioni nelle materie ad esso non applicate, e furono esclusi dal medesimo consesso i congiunti strettamente di sangue, e quelli della famiglia del doge vivente, non che dal carico di consiglieri, che si cacciassero coi figliuoli del doge medesimo. ll secondo decreto ristrinse le grazie anche dei salvocondotti, ad eccezione dei casi di Stato, come gravi e secreti, egualmente che di quelli atroci per scoprirne i rei, rimettendo il di più al senato. ll terzo decreto limitò le grazie per la liberazione dei banditi e dei relegati. Col quarto si stabilì, che tutto l’appartenente alla giustizia distributiva sia in potere del solo Maggior Consiglio, quando però non vi sia criminalità annessa, e perciò col quinto decreto allo stesso consiglio dei dieci, furono confermati i casi gravi criminali, nei quali intervengono patrizi offensori od offesi, lasciando però facoltà allo stesso, di rimettere ai magistrati, e reggenze competenti, i casi minori; e quindi fu stabilito che nelle occorrenze privatamente civili, i capi del consiglio dei dieci, ingerire non s’abbiano in alcun modo. Fu tolta a lui col sesto e settimo decreto la elezione dei quattro esecutori alla bestemmia, e devoluta al senato. Il decreto ottavo rinnovò al consiglio la raccomandazione dei monasteri di uomini e di donne sì in Venezia, che nel dogado; riaffermò l’elezione del magistrato sopra i monasteri, di cui l’obbedienza sia parimente promiscua verso i due consigli, con che si comunicò ad ambedue porzione di quella giurisdizione che era privativa del solo consiglio dei dieci. Il nono ed ultimo decreto, determinò espressamente le materie competenti a questo consesso. Eccone i capi principali. Tosto che furono accettati dal Maggior Consiglio i suddetti decreti con altri quattro, fu stabilito, che la elezione dei segretari dei dieci spettare dovesse al senato: che le violenze ed ingiurie fatte nelle gondole, ed altre barche nei canali della città e delle lagune, siano soggette alla giurisdizione dei dieci; così pure le maschere ed i teatri: finalmente, si accordò allo stesso la presidenza ad alcuni boschi dello Stato. Così terminò la riforma. Con la legge del 1762 si ordinò che non si potesse erigere in Venezia nuove scuole pie, suffragi, confraternite senza la facoltà data dai dieci, eccettuate le fraglie delle arti e mestieri della città, che dipendevano dal senato. Ecco come l’aristocrazia sapeva contenere ciascuno nel proprio dovere.

Inquisitori di Stato. Erano tre nobili dei quali due scelti dai decemviri ed uno dalla signoria. Questo tribunale istituito, come credesi, nel secolo XV, si dichiarò permanente coi decreti del 1530, 20 settembre, e 1583, 19 aprile. Le ispezioni di questo aveano per fine di sopravvegghiare coloro che erano rei di Stato, o propagatori di pubblici secreti. Si procedeva nell’esame e nel processo rapidamente, quando si trattava della salvezza e tranquillità del dominio. ll voto concorde dei tre era sentenza, che si pubblicava nel Maggior Consiglio. In tal guisa, gli inquisitori e capi dei dieci si considerarono e furono veramente in ogni tempo il più forte sostegno della pubblica libertà, dell’ osservanza delle leggi, della disciplina dei nobili, il presidio dei dieci, da cui derivava il potere.

I decreti del Maggior Consiglio del 1628, 1762 corressero quegli abusi, che si reputavano introdotti, essendo che non vi è istituzione umana, che nel lungo corso dei tempi non si allontani dall’ottimo divisamente per cui venne creata.

Quarantia. Si chiamarono con questo nome i tre consigli o tribunali supremi che giudicavano le cause criminali e civili, cioè il consiglio di XV al criminale, di XL civil vecchio, e di XL civil nuovo, ed era composto ciascuno di 40 giudici. Il primo era antichissimo, e l’origine è perduta fra l’oscurità dei tempi. Certo è che nel secolo XIII era giudice assoluto delle sentenze fatte dai magistrati delle città, del dogado, della Dalmazia e degli altri Stati di mare. Era allora una delle sue prerogative approvare i membri che dovevano comporre i pregadi ed il maggior consiglio, e non aveva se non esso la facoltà di concedere, dopo la riforma del maggior consiglio sotto il dogado di Pietro Gradenigo, il privilegio a coloro che amassero di essere membri del medesimo. Aveva ancora gran parte negli affari della polizia dello Stato. La camera, dove coi suoi capi o presidenza si adunava, veniva chiamata quarantia, e quivi si dava udienza ai legati ed ambasciatori stranieri, si ascoltavano le preghiere dei sudditi, si leggevano le lettere, insomma si deliberavano le cose, che dopo vennero affidate al pien collegio, alla consulta dei savi, al senato, e poi si rassegnavano al maggior consiglio. Spettavano poi ai XL le imposte sopra gli averi dei sudditi, il governo della zecca, i giudizi civili e criminali, ed eccetto che il commercio, le cose tutte, sulle quali si appoggia la civil società. Membri dello stesso, nel 1262, non potevano essere se non i consiglieri, i giudici del proprio, del petizione e gli avvogadori del comune, che erano i cittadini più chiari per maturità di pensare.

Questo consesso cambiò forma nell’epoca dell’istituzione del senato, di cui divenne parte essenziale, in guisa che fu detto unum corpus et unum consilium, e si decretarono pene a quelli fra i XL che non intervenissero in senato. Nel principio del XV secolo, venne creata la quarantia civile, ma restò nell’antecedente l’autorità di giudicare sovranamente le cose criminali e non riserbate al consiglio dei X, e perciò da quest’epoca venne detta quarantia criminale o consiglio dei XL al criminale.

Nel 149a il Maggior Consiglio, considerando, che coll’aumentarsi del dominio si aumentavano ancora fra i sudditi le controversie, creò a tal uopo un nuovo corpo di XL giudici, a cui diede il nome di quarantia civil nuova, e la precedente prese il titolo di quarantia civil vecchia. Alla nuova apparteneva la giudicatura dei fatti di terraferma col mezzo degli auditori nuovi, ed alla vecchia, quelli della città e dogado col mezzo degli auditori vecchi. Restò poi abolito il collegio delle appellazioni e delle biade.

A questi due tribunali, nel correre del tempo, vennero aggiunti in soccorso i due collegi dei XXV e dei XV.

Consiglio Minore o Signoria. Il potere arbitrario e l’autorità quasi indipendente dei dogi, e insieme lo spirito della libertà dell’antico popolo veneziano, diedero origine, nel 1032, alla istituzione di questo corpo, che era il più forte fondamento della aristocrazia. A questo scopo, dai sei sestieri di Venezia vennero scelti due, poi quattro e finalmente sei dei più saggi cittadini dell’età non minore di anni 25 compiuti, ai quali si diede il titolo di consiglieri. Non potevano essere eletti se fossero stati parenti del doge, o se per sei mesi non avessero abitato nel sestiere da cui venivano scelti. Ai sei consiglieri si aggiunsero, nel secolo XIII, i tre capi dei XL al criminale, in guisa che il doge, i sei consiglieri ed i tre capi formavano il collegio minore, detto anche serenissima signoria.

Il fine dell’istituzione fu di consigliare il principe in ogni cosa, e di assisterlo nella esecuzione delle sentenze a lui affidate. Si poteva il doge coi consiglieri assomigliare a signore, che sebbene fra i magistrati divida le faccende dello Stato, tuttavia anche egli nel trattare di quelle vuole intervenire.

Apparteneva a questo consiglio accettare le suppliche che contenevano cose civili, e troncare le controversie del basso ministero insorte o per avidità, o per ambito di superiorità. Aveva il diritto di poner parti, ossia proporre nuove leggi nel consesso della repubblica. Né domande, né suppliche si accettavano nel Maggior Consiglio, se prima a pluralità di voti non fossero state accettate dal minor consiglio. Imponeva pene ai giudici ed officiali negligenti, e nella prima settimana di ottobre di ogni anno doveva alla lettera leggere al principe la promissione ducale. I consiglieri, trovando nel doge qualche difetto o mancanza, potevano segretamente ammonirlo.

Ordinavano l’elezione delle cariche, consultavano gli affari da proporre al Maggior Consiglio, e dovevano dimorare due giorni per settimana in palazzo, registrando in un quaderno i consulti sì delle pubbliche che delle private cose. Era geloso l’ufficio dei consiglieri in guisa, che senza l’assenso del doge non potevano, neppur per un giorno, star lontani dalla dominante. Non era a loro lecito vagar per la città, né far parte dei ridotti dei nobili. Non dovevano appartenere ad altro uffizio, né a magistratura.

Senza assenso del senato non potevano disporre del pubblico patrimonio, né rispondere agli ambasciatori o nunzi delle città suddite, né distribuire cariche, né uffizi in città, né fuori, né interpretare le leggi del Maggior Consiglio. Quando quattro consiglieri non erano della medesima opinione, la decisione dell’affare veniva rassegnata al pien collegio, o al senato, o al Maggior Consiglio. Non potendo essi giudicare per motivi legali, si sostituivano dei capi di XL al criminale, degli avvogadori del comune e degli auditori delle sentenze, ec.

Quantunque i consiglieri fossero di uguale podestà, tuttavia, per la qualità degli uffici che esercitavano, i sei dei sestieri si dicevano superiori, ed i tre capi dei quaranta, inferiori.

Collegio dei Savi. Il collegio comprendeva i savi grandi, o del consiglio dei pregadi, i savi di terraferma ed i savi agli ordini: sei erano i primi, e cinque per ciascuno gli altri. Questi 16 nobili cittadini venivano scelti da qualunque magistratura, eccetto che da quelle dei procuratori di San Marco, degli avvogadori, degli auditori, dei provveditori alle biade, che si rispettavano per l’importanza dei loro carichi, e poi venivano eletti in senato. In tal modo nel 1430 si formò il collegio ordinario e permanente, e sì vantaggioso al veneziano governo. Si dicevano savi, perché volgarmente si credeva, che fossero a preferenza degli altri forniti di maggiore sapienza. I savi agli ordini, che erano giovani cittadini e cominciavano da questa carica la carriera politica, avevano cura di far eseguire gli ordini stessi, ed attendevano alle cose marittime dell’arsenale, dei navigli, delle mercanzie e mercanti sopra le isole di Candia, Corfù, Dalmazia, Albania, Romania ed altri luoghi di mare, e riferivano queste materie al senato, e perciò erano anche chiamati ordine delle navi o savi di mare. Intervenivano al senato, ma non aveano suffragio deliberativo. I savi di terraferma attendevano alle faccende di guerra e di pace appartenenti al dominio terrestre. Questi savi aveano cinque uffizi detti:

1. Savio alla scrittura, o ministro di guerra.
2. Savio alle ordinanze, o ai ruoli militari di villici per riserva.
3. Savio cassiere, o ministro delle finanze.
4. Savio ai da mo, cioè alle deliberazioni che si dovevano sollecitamente spedire.
5. Savio ai cerimoniali, avente l’uffizio di ricevere i principi e ministri stranieri.

l savi grandi o del consiglio del senato, che sovra gli altri godevano di riputazione, procuravano gli uni e gli altri uffizi sì nella città di Venezia, che nelle provincie.

L’ufficio, in una parola, di questi savi, era quello di proconsultori della repubblica. Il decreto dei pregadi del 1440 i dichiara che dovevano trattare de omnibus et singulis e riferire a lui. Potevano talvolta sospendere le deliberazioni del senato, ma col dovere di dichiarare le ragioni nella prossima adunanza dello stesso. Era ai savi proibito aver comunicazione con ministri stranieri sotto pene severe, ed introdurre senza licenza della signoria persone in collegio. Ecco il perché le suppliche delle persone private, o delle comunità, si drizzavano alla signoria e non al corpo dei savi. Questi ancora dovevano tener secreti gli affari di tutto il dominio, ed avevano l’incombenza di spedire lettere, ducali e decreti del senato.

Pien Collegio. Furono ventisei le persone componenti questo illustre consesso, cioè i sedici savi del collegio ed i dieci membri della signoria. Ignota è l’epoca della unione di questi due corpi in un solo. Ampie erano le sue giurisdizioni. Diremo le principali.

Fu ufficio di lui conoscere e maturare gli affari prima di presentarli ai pregadi, decidere quelle materie, che venivano dal senato a lui delegate. Dare udienza agli ambasciatori stranieri, ai nunzi delle città dello Stato, ed anche ai privati. Accoglieva i rettori patrizi ritornati alla città, i vescovi, i prelati, i preposti ecclesiastici, sì secolari che regolari destinati a visitar monasteri od altre chiese. Nominava cittadini non nobili alle cariche maggiori militari nel dominio; in fine, qualunque grazia o privilegio domandato al principe era presentato al pien collegio prima che fosse dal senato concesso. Aveva diritto anche in materie economiche, giudiziali, ecclesiastiche. Deliberava i dazi e le gabelle dello Stato, e li faceva custodire da ufficiali da lui nominati. Decideva le questioni intorno i privilegi dati dalla repubblica alle città, eccetto che quelli di prima dedizione, che appartenevano al consiglio dei dieci. Scioglieva le questioni che insorgevano sopra i dazi con gli appaltatori, e quelle col pubblico erario; e finalmente, fra le sue cure più gelose doveva vedere le carte portate da luoghi stranieri, che trattavano di persone e cose di chiesa.

Il collegio si radunava ogni giorno; né tale si considerava se non era composto almeno di quattro consiglieri, due capi dei XL, tre savi del consiglio e tre di terraferma. I membri duravano in carica sei mesi. (1)

(1) AUTORI VARI. Venezia e le sue lagune, Volume I. Stabilimento Antonelli Venezia 1847.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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