Il cortile di Palazzo Ducale

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Cortile di Palazzo Ducale - San Marco

Il cortile di Palazzo Ducale

Cominciando l’esame di questo cortile dalla gran facciata della Scala dei Giganti, si è essa principiata dallo architetto Antonio Bregno sotto i dogi Marco ed Agostino Barbarigo (anno 1486) e da Antonio Scarpagnino venne compiuta durante il regno di Francesco Donato (anno 1550). In grandi difficoltà versarono in vero quegli architetti nell’elevazione di siffatto prospetto, perocché la massima di stato di voler salvo ad ogni costo ciò che del palazzo restò illeso dai disastri o resse agli urti del tempo, rendeva sommamente malagevole il distribuire le finestre con quella simmetria e quell’uguaglianza di proporzioni che pur sono tanta parte del bello architettonico. Per la qual cosa presero essi il partito di occultare le irregolarità colla profusione degli ornamenti a guisa di chi confonde una macchia, che stoffa preziosa abbia deturpata, coll’introdurvi i ricami, atti se non a toglierla, almeno a nasconderla. Se ciò non fosse, dovrebbe piuttosto notarsi quivi a difetto che a bellezza la profusione degli ornamenti; ma ammesso il mezzo come giusto affinché fossero distratti riguardanti, chi non ammira l’eleganza, la varietà, la maestria degli ornati stessi, da diventare per poco una serie di veri modelli ornamentali?

Esaminando le altre facciate, diremo che i lor vólti inferiori, ad esempio di quelli di Antonio Bregno, cominciarono nel 1602 a venire rimessi a pieno centro anziché a sesto acuto, siccome erano per lo innanzi, da Pietro Cittadella sotto la direzione del l’architetto Bartolommeo Monopola figlio di Alessandro, ricevendo nel 1607 compimento quelli del lato di mezzogiorno, e nel 1610 quelli a ponente. Intorno a quel tempo il medesimo Monopola intarsiava di marmi la piccola facciata aderente al fianco della basilica rimovendo da essa l’antica scala coperta di piombo chiamata la Foscara, ed aggiungendo a maggior venustà l’orologio superiore. Sei statue, divise in due ordini e collocate in altrettanti nicchi l’adornano. La prima inferiore alla sinistra di chi guarda pare che esprima l’imperatore Marco Aurelio la sua inferiore corrispondente una deità. Le due altre superiori esprimono: quella alla sinistra, Cicerone nei rostri, e l’altra l’Abbondanza. Le due ultime finalmente, dall’uno e dall’altro lato dell’orologio, sono due statue palliate, delle quali non si saprebbe conoscere il soggetto. Tali statue portate dalla Grecia vennero lasciate alla repubblica (anno 1603) dal procuratore Federico Contarini posseditore di un museo rinomato. Si pose per ultimo ad ornare la parte destra della facciata, nel sito medesimo ove era la Scala Foscara, quella statua di Francesco Maria dalla Rovere duca di Urbino che da Pesaro mandava in dono ai Veneziani l’ultimo duca di tale famiglia. Dall’una parte di essa si collocarono due statue altresì; l’una rappresentante un guerriero antico e l’altra Marciana sorella dell’imperatore Traiano, messa in luogo di una Minerva trasferita nel museo della pubblica biblioteca.

Andiamo ora all’ultima facciata di fianco alla Basilica, sorgente sopra quel ramo del Cortile che corte dei senatori è chiamata, cioè precisamente alla sinistra di chi monta la Scala dei Giganti. Questo lavoro bellissimo di Guglielmo Bergamasco (anno 1520) per il bisogno della simmetria riuscì esso pure nelle logge inferiori uguale a quelle del Bregno; ma tosto che il Bergamasco fu sciolto dal dovere dell’imitazione, e poté usare del proprio ingegno, elevò su quelle logge un prospetto che noi non sapremmo qual altro mai possa riuscire più elegante. La gravità delle squadrature nel basamento delle finestre; le colonne; quali anzi che innestarsi nel muro spiccano di tutto tondo sopra certe are adorno di festoni, allungando cosi la forma dell’ordine senza aver ricorso a colonne di maggior diametro; la proporzione degli architravi e dei fregi, i festoncini sopra ciascheduna finestra nella trabeazione superiore; la fascia traforata cingente la terrazza adoperata altre volte come giardino; tutto, tutto è in somma una vera creazione del genio, un’opera che l’occhio non sa mai saziarsi di riguardare.

Pozzi. Né meno sono degni per il genere loro di considerazione i due gran pozzi di bronzo collocati nel mezzo del cortile intagliati a fogliami ed a figure; opera l’uno di Gian Francesco Alberghetti (anno 1559), l’altro di Nicolò dei Conti (anno 1556). (1) (cfr. Pozzi del cortile di Palazzo Ducale )

ERMOLAO PAOLETTI. Il Fiore di Venezia, Volume II. Tommaso Fontana tipografo edit. Venezia 1839

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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