Procuratie Nuove a San Marco

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Procuratie Nuove a San Marco

Procuratie Nuove a San Marco

Se il Doge Ziani si riguarda il primo nel merito di aver ideato un embrione delle procuratie vecchie, il Sansovino è a tenersi primo nel concetto delle procuratie nuove, poiché colla fabbrica, che servir doveva ad uso di pubblica biblioteca, egli si faceva a disegnarle, non soltanto nel palazzo, di fronte al ducale sulla piazzetta, quanto principalmente nella testata, dalla parte della gran torre. Quivi quelle tre arcate si vedono dal suo genio disposte, per continuar l’edificio nell’eguale forma, per tutta la linea della piazza. Ed è ben a dolersi, che ne sia rimasto sospeso l’effetto, senza che se ne conoscesse la causa. Forse non più pensava il Senato di compiere l’opera, o vi fu urgenza d’impiegare il proto in altri lavori di rilievo, allora che si attendeva a decorare la piazza di architetture e di marmi.

Certamente sarebbe stata una meraviglia quel bel disegno prolungato per settantaquattro archi e tre facciate, con statue, che coronassero la sommità, con magnificenza romana. Ma il Sansovino quasi centenario, mancava, appena finiti i giganti, senza che avesse potuto fare la decorazione nei tre lati, alla base della gran torre, col compimento della loggetta. Si principiarono quindi otto anni dopo, nel 1578, queste nuove procuratie, sui disegni dello Scamozzi, e il Senato trascelse Nicolò da Ponte, che fu poi doge e procuratore della fabbrica. Ogni procuratia era un palazzo comodo e grandioso, come si scorge dalle scale e dai cortili interni, e nell’insieme risultava un edificio unico, che principia dal quarto arco, contando dall’angolo al campanile, e si estende per settantasei arcate sino alla estremità della piazza, in una linea retta, lunga piedi 384.

L’opera è splendida per bontà di disegno e per imitazione felice, ma non fu plausibile il consiglio di non seguire le tracce del Sansovino, che mostrò l’intenzione di pareggiare in altezza queste procuratie alle vecchie, poiché si alterava l’idea sansovinesca, coll’ aggiunta di un terzo ordine, che non era necessario. Poteva infatti elevarsi sul rivo, alla plaga meridionale, ma, diminuita invece la trabeazione ionica del Sansovino, ne venne l’unione irregolare, che si vede, di faccia al campanile, delle porzioni superiori delle due fabbriche, per la sostituzione di quel altro ordine al fregio della sommità, con disgusto dell’arte. Lo Scamozzi però non giunse che alla decima arcata, onde un occhio artistico ravvisa, dalla cantonata sino all’arco ultimo, un notabile decadimento nell’opera, goffa, non svelta, non graziosa, e anzi mano a mano che l’edificio continua, perde sempre più di eleganza nelle sculture e negli intagli, avendovi posto mano Francesco di Bernardo, indi Marco della Carità, e il Longhena, che vi dava compimento nel 1690.

Cospicua è l’aggregazione di questi palazzi, negli ordini dorico, jonico e corintio, sorretti da volti, finestroni e colonne, che superiormente sommano a quattrocento settantacinque. Le impalcature ed il tetto sono di larice; legno, che abbonda nei depositi di Venezia, e dura più secoli senza tarlarsi. Il Senato non mirò a risparmio, e trovandosi esausto l’erario, per le gravi spese della guerra, conferiva ad un numero di patrizi la dignità di procuratore, tassato ciascuno di 22000 ducati, salva rifusione di mille all’anno, e passava il valsente nella cassa de supra dei curatori dell’opera. Questa fabbrica serviva ad uso di appartamento di gala, nell’altro lato sulla piazza. Dopo caduta la Repubblica, fu davvero infelice l’idea di continuarsi il porticato, di fronte alla Basilica, e di erigere l’edificio ad uso di palazzo regio, che primo abitò Napoleone. Poiché per la nuova costruzione si demoliva il tempio Sansovinesco di San Giminiano, in due ordini, con bella porta nel mezzo, e con finestre simmetriche fra gli intercolunni laterali, una vera gemma dell’arte, che bellamente legava, come anello, le vecchie e le nuove procuratie, fra le quali sorgeva nel centro.

Quanto fu anche nobile l’idea di deporre le ossa di Sansovino in questo tempio, fattura sua, in quella piazza, ove abitava presso l’orologio, quale proto di palazzo, e che decorava di tante opere proprie, come architetto e come scultore! Nè sapremmo, se gloria derivasse per ciò maggiore al maestro o alla Repubblica, sublime anche nella riverenza al genio delle arti, che di tanti tesori arricchiva Venezia. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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