Palazzo Belloni Battaggia a San Stae

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Palazzo Battagia a Sant'Eustacchio. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Belloni Battaggia a San Stae

Anche questo palazzo si disegnava dal Longhena, e sorgeva alla sinistra del Canal Grande, ben avanti di quello dei Pesaro, che fu opera ultima dell’architetto. Ne commetteva la fondazione Bartolommeo Belloni, unico superstite di uno stipite, che diede molti illustri nell’armi e nelle lettere. Non era già del ricco ed antico ceppo, oriundo dell’Illiria, e giunto nel 889 sulle lagune, nè altrimenti della linea patrizia, perchè questa si estinse fin dal 1394. Ma fu del lignaggio non compreso alla Serrata del Gran Consiglio, e che soltanto nel 1648 ne ottenne l’aggregazione, mercè l’offerta dei 450 mila ducati, fatta appunto dal fondatore dell’edifizio. Il blasone infatti sculto nel fregio della cornice, e ripetuto per tutta l’estensione del prospetto, come ai lati e sulle inferriate, che figura in due mezze lune ed in una specie di fascia unita con una stella d’oro, si riconosce di questa Casa.

Forse alla prima linea appartenne quell’Antonio Belloni, che fu matematico insigne della Repubblica, di cui si gloria Cavarzere, e la cui memoria si rivendica dalla oblivione immeritata nelle Biografie degli illustri del secolo XVIII, per cura del cav. e prof. D. Emilio Tipaldo. Il continuatore della Venezia del Sansovino encomia questo palazzo, per la costruttura, da lui notata mirabile, per la ricchezza dei marmi e degi intagli bellissimi. In due ordini figura il prospetto, dorico cioè e corintio, e nella inferior parte sporgonsi in fila delle teste di leone, scolpite in marmo, di tutto rilievo, che sembrerebbero assumer quasi l’ufficio di sostenere col dorso la fabbrica. Altresì per questa opera si dà il merito al Longhena di più che mediocre architetto. Infatti è nobile e splendido l’atrio a grandi dimensioni, foggiato ad archivolti nel letto, e ad imitazione dello stile gotico con poggiuolo di ferro a ringhiera, che fa le veci di decorazione ai lati, interrotta dalla fabbrica più recente, di cui toccheremo. Ivi i due archi ora dimezzati, che corrispondendo al centrale mettevano nel cortile, servivano di ala al palazzo. Questo bell’atrio, che dà accesso a ben nove magazzini, è costruito con pietra d’Istria a bugne; ha sedili di marmo di Verona, con piedestalli lavorati di marmo nero; è abbellito ai canti da due spalliere di busti, rappresentanti imperatori romani, tutti di marmo di Carrara, collocati fino alla riva, con vaghe colonnette di marmo, di cui è ricca tutta la mole. Grosse fascie, pure di marmo, decorano le pareti della scala, che conduce agli assai comodi ammezzati, e scorgonsi signorili ornamenti di bei stucchi aidisegno, e camini di vario marmo delle cave di Pola, altri di Carrara. I contorni delle porte sono di marmo di Verona, altresì nel piano nobile, e nella sala, che ha suntuosa la porta principale, sorretta da due belle colonne di marmo orientale, con capitelli di marmo di Carrara, e con l’architrave, il fregio e la cornice, in un alla base, di bel marmo di Verona. Alquanto manierate sono bensì le pitture delle pareti, però non senza qualche pregio; si attribuiscono a David Rossi, e rappresentano soggetti mitologici, che risultano di miglior effetto nel plafone, sebbene dello stesso pennello, a cui dava encomio il Borsato. Qualche plafone imita lo stile lombardesco, avendo rosettoni, alla foggia di quelli nel palazzo Soranzo a San Polo. I chiaro-scuri nello stanzino sopra l’orto sono di Fabio Canal, e le pitture delle faccie, nelle stanze da presso, di Antonio Canal, copiate da Gio: Battista Tiepolo rappresentanti soggetti, che furono d’inspirazioni al Tasso, al quale poeta sovrano alluderebbe la musa coll’arpa.

Leggiadro è il tinello con caminetto alla francese, intonacato nell’interno, ad uso veneto, con piastrelle di porcellana. Sulle pareti che si rivestivano di arazzi di seta rosata, a più colori, si sfoggia lusso di specchi a profusione, di cornici ad intaglio, e a dimensioni grandiose; di marmo stanno le coperte su più tavole di legno dorato. Tale è la copia e la disposizione delle stanze, che l’occhio le ammira da lungi schierate, dall’un canto e dall’altro, con camere confinanti a tutto agio, anche nel secondo piano. Al quale si accede per due scale a parte, in più rami; la secreta di fronte alla principale ha principio nell’atrio, e conducendo all’intorno, mette capo fino alla sommità dell’ edifizio.

Per il matrimonio di una Laura Belloni vedova Tornaquinci in Giovanni Battaggia, passava il palazzo in quella famiglia, originaria di Cotignola, appellata Sforza, per l’invitta fierezza, onde tenne il ducato di Milano. Parecchi infatti degli ascendenti si segnalarono per valore. Quanto non primeggiò Leonardo, comandante in Sittia di Candia, che sebbene fosse aperto e indifeso il campo, pure animoso seppe respinger l’oste! Nè meno si distinse Girolamo, schermito in Candia dagli attacchi il forte di San Dimitri, sbaragliate le bande ottomane, già provveditore straordinario in Dalmazia nell’assedio di Cattaro. Un tal carico era con potere supremo in tutto il Levante, la residenza a Corfù, la vesta di porpora con paludamento dorato, alla foggia di generalissimo. Altresì esaltasi dalla storia Francesco, che fu Duca in Candia, e rimase dall’oste sacrificato nel 1568, ben avanti che la memoranda isola, straziata sempre da cruente rivolte, con ingente onere dell’erario, cadesse in mano degli Ottomani. Fu un assedio, che costò la vita a 408 mille Turchi, e a 30 mille Veneziani, sprecate ben molte mine, in venti assalti generali. Il quale assedio fu il più memorabile, che vantin le storie, di cui parlando un generale francese con Luigi XIV, lo qualificava vera opera di giganti. Dai Battaggia seguiva il traslato del palazzo nel ricco mercadante Antonio Capovilla, benemerito per avere conservato tra noi l’antica riputazione di un attivo ed utile ramo di nazionale industria e commercio. Egli erogava più di centomila ducati nel miglioramento delle decorazioni, nell’ampliazione della fabbrica, e nei manufatti, per la conservazione di due cisterne, e nel giardino di delizie, abbellito da busti in marmo di Carrara. Alla morte del Capovilla era erede del palazzo il consigliere Lorenzo Paron, di lui nipote, erede pure dell’abate Fadini, udinese, di cui assunse il secondo cognome, non ignoto alla storia. Poichè un Francesco Fadini fu guardian grande nella Scuola di San Gio: Evangelista, ai nostri giorni risorta, mercè la Corporazione delle arti edificatorie di mutuo soccorso, con lo spezioso titolo di Arciconfraternita.

Anche un Lodovico Fadini figura nelle antiche cronache pievano di Rialto, e canonico ducale. Del consigliere Lorenzo Paron Fadini fu vanto la conservazione della mole, con bel decoro; egli la costituiva poi in parte di dote alla propria figlia Angelica, consorte dell’ altro consigliere co. Ettore Brazzà Savorgnan. Di presente è possesso del co. Alessandro, figlio e nipote degli estinti ottimi cavalieri. Nel 1804, aggiunte dal Capovilla, quando ingrandiva il palazzo, ben quattordici stanze nei piani, e perciò demolite parecchie antiche case nel circondario di Sant’Eustachio, veniva anche l’area compresa di quella, ove ebbe stanza il troppo famoso general Carmagnola. In essa è fama convenissero a lauto pranzo il Doge Foscari e la Signoria, con seguito di patrizi, e vi smontassero dai peatoni dorati lo stesso giorno, che nella piazza di San Marco su eminente palco era il Carmagnola pubblicato conte dalla Repubblica, con dodicimila ducati di entrata. Ben notabile curiosità per la storia, che rende vieppiù interessante questa magione, per vetuste memorie. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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