Palazzo Zenobio degli Armeni ai Carmini

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Palazzo Zenobio ai Carmini. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Zenobio degli Armeni ai Carmini

È d’avviso il Coronelli, che il veneziano Antonio Gaspari, fiorito nella prima metà del secolo XVII, sia stato l’architetto di quest’ampia mole, che grandeggia su d’una delle fondamente del canale, rimpetto all’antica chiesa claustrale dei Carmini. Il prospetto colossale è senza pecche, in quanto all’euritmia; tre sono gli accessi; le colonne anno capitelli d’ordine toscano, si nel primo comparto, che nel secondo; in quello, il poggiolo se apparisce alquanto goffo, spicca pure in ricchezza; in questo, non può dirsi inelegante, benchè di vario carattere a foggia di terrazzino.

È fama, che quando i Zenobio acquistarono da Elena Corner Morosini la parte di mezzo del fabbricato, lo ampliassero ai lati, mercè l’opera dello Scalfarotto e del Temanza. Il blasone gigantesco dei Zenobio, che si conserva, e figurava un tempo sulla fronte, era della stessa pietra di Istria, di cui è rivestita tutta la facciata. Ma sia pure d’altri il merito di aver fatta sorgere la maggior parte dell’ edilìzio, col porticato d’ingresso, sorretto da dodici colonne, di ordine rustico-toscano, con sedili all’intorno di pietra rossa di Verona, nessuno toglierà per altro il vanto ai Zenobio di aver commesso al genio del Temanza il disegno dell’ edifizio, che nel fondo del giardino può dirsi scena insieme e prospetto al palazzo, diviso in due piani, con sala nel mezzo, largo quanto la loggia, adorna da colonne d’ordine jonico, con statue e terrazza, di puro stile, che accoppia la comodità all’eleganza. In origine si teneva quella loggia ad uso di archivio e di biblioteca, come risulta da una epigrafe, che leggesi in una stanza del palazzo degli Albrizzi, eredi Zenobio, a Sant’Apollinare. Un Alvise Zenobio si distinse come dotto, e donava alla Università di Padova vari strumenti di fisica, e altri di nautica all’Arsenale.

Fu l’uomo raro per forza di carattere e nazionale carità, perchè, non avendo potuto tollerare l’aspetto dell’eccidio della sua patria, fuggiva in Londra, ove nei giornali pubblicava scritture con garbo. Mecenate delle scienze e delle arti, egli aveva profferto cento zecchini del proprio all’Accademia di Padova, come premio a chi avesse additato i mezzi, per rimettere in fiore il commercio veneziano; la quale nobile idea non sarebbe abortita, se la politica di quei tempi non attraversava il patrio disegno. Chi non rammemora in Venezia la di lui sorella, Alba Zenobio vedova di Alessandro Albrizzi, procurator di San Marco, perla di pietà, per il santo uso, che fece delle molte ricchezze, in sovvenimento degl’indigenti, dai quali lagrimata, lasciava in questi recinti la vita, nel 1837. Esempio parlante ai doviziosi di quel genere, che l’Alighieri condanna a risorgere coi pugni chiusi l’amaro giorno del sindacato delle coscienze.

La casa Zenobio fu sempre amica dell’arti belle, e protesse Luca Carlevaris di Udine, che quivi abitava, e quivi moriva nel 1731, detto di Cà Zenobio, per la intimità dell’amicizia, che pareva quasi parentela, colla famiglia illustre. Egli, valente nel dipingere paesi, marine e prospettive, arricchì le pareti di opere molte; a quella stagione anche il Lazzarini dipinse un soppalco; e Giovanni Battista Tiepolo decorava, ai primi suoi anni, la sala da ballo, avente loggia colonnata, e galleria superiore, d’ordine toscano, con fregi di stucchi, di parecchi disegni, e rilievi, a profusione. In copiose stanze il palazzo si scomparte, con mirabile simmetria, e nella somma sua ampiezza sono combinati i comodi, senza discapito del decoro e della magnificenza, a cui rispondono le agiatissime scale, i terrazzi di marmo, i contorni delle porte, pure di marmo, le porte stesse ad intaglio, con figure di bronzo, i camini massicci e svariati di pietra d’Istria, i soppalchi alla sansovinesca, e le cornici con intagli e dorature. Le decorazioni competevano in somma alle dovizie dei Zenobio e dalle regali origini del loro lignaggio.

Nel 1844 il conte Giovanni Battista Salvi di Vicenza che aveva la proprietà di questo edifizio, ne ordinava un radicale ristauro, poichè molto era deperito per il tempo lungo e il soverchio abbandono. Ora lo possedono i pp. Armeni Mechitaristi, che fino dalla metà del secolo XIII, ottennero sulle lagune dal doge Ziani privilegi di culto e di commercio, e i quali furono quivi ospitati, quando fuggivano col benemerito padre Mechitar dal convento di Modone, poichè fu invasa la Morea dalle armi Ottomane. Già il Senato aveva con affittanze, rinnovate ad ogni ventennio, accomodata ad essi tutta l’isola di San Lazzaro, non chiesto che il tributo di alquante libbre di cera, quasi per non occultare il genio di gradirne il soggiorno, e conservarsi il diritto del possesso, che ebbero in seguito al cadere assoluto della Repubblica.

Istituito poi nel 1836 da Odoardo Raphael, negoziante armeno di Madras nelle Indie, il rinomato collegio, a cui sono filiali gli Istituti di educazione, che sono sapientemente condotti a Parigi, a Costantinopoli, a Trebisonda e ad Elisabetopoli, lo fecero fiorire, per anni molti, nel palazzo Pesaro a Sant’Eustachio, sotto gli auspici di un dotto e benemerito arcivescovo, indi lo trapiantavano in questi recinti, ove la nostra città gode di avere ospiti dei suoi lidi i prediletti monaci, di aspetto elegante insieme e maestoso, fiore di ogni dottrina e gentilezza, la vita esemplare dei quali scorre nell’austera, ma affettuosa semplicità dei costumi patriarcali. Così, a mezzo di questo palazzo e dell’Isola di San Lazzaro, è Venezia l’anello prezioso, per cui diffondesi la civiltà agli indigeni delle regioni dell’Asia Minore e del bel cielo dell’Armenia, antico teatro dei più solenni avvenimenti del mondo. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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