Palazzo Zaguri a San Maurizio

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Palazzo Zaguri a San Maurizio. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Zaguri a San Maurizio

È questa mole di struttura gotico-moresca, dell’epoca all’ incirca del 1453 e se ne vede il carattere in ambe le facce, una respiciente il rivo dei Cornaro della Cà grande, l’altra sul campo di Sn Maurizio. Retrocedendo col pensiero si ha quindi motivo di ammirare tuttavia la fabbrica su cui ormai cinque secoli passeggiarono sopra innocenti, e se la mano degli uomini non vi avesse a proprio agio introdotti degli arbitri in vari tempi, quali sono accusati dalle contraffazioni, farebbe mostra ancora l’integrità dell’edificio, come vergine risulta il genio dell’architetto nella felice idea del disegno. Doppio sussiste ancora l’ingresso, dal lato della fondamenta, cordonato e listellato all’intorno; era triplice l’entrata sul campo, secondo le orme che restano, e una sola sta aperta, che introduce all’antico cortile, con qualche vestigio di mura merlate e della scoperta scalea. Di questa rimangono alcune colonnelle, con busti sovrapposti di marmo fino e di bel lavoro, con un leoncino sul pianerottolo, che addita uno stemma, ripetuto sulla facciata in più luoghi, e nello stesso anello gotico della cisterna nel cortile, la quale è adorna di anfore rilevate e di foglie ricurve ornamentali. Il detto stemma ha nella parte superiore un P, e nell’inferiore tre fasce trasversali, e apparirebbe del patrizio lignaggio dei Piero che ebbero stanza in Aquileia, e poscia per magnanimi fatti vennero ammessi ai consigli supremi della Repubblica, ultimo annoverandosi Marino, uno dei signori alla Tana o alla dogana del canape, nel quale si sarebbe estinta la casa, nel 140l, secondo il Codice Nani. Questi Piero sono indicati del confine di San Maurizio in un codice in foglio dell’800, col titolo: serie cronologica delle famiglie che ebbero le caxade in Venezia, acquistato dal cav. Macdonald scozzese. Un altro codice però a cui accenna il dott. Tassini nelle sue Curiosità veneziane, quello XXXIII classe VII, della Marciana, attribuirebbe lo stesso blasone ai Pasqualini, mercanti da panni e cittadini antichi di Venezia, i quali pure, secondo un’altra cronaca, fecero erigere molte fabbriche, massime in contrà di San Maurizio.

In tale bivio come dedursi, senza tema di errore, quale dello due famiglie abbia veramente fondato il palazzo? Chi guarda i due poggioli a colonnelle, contermini ai lati, con leoncini sovrapposti dalla parte del rivo, a fianco delle sei arcate del primo ordine, a sesti cuspidati, sorrette da cinque colonne massicce di marmo, con capitelli semplici fogliati, conosce l’epoca con maggiore precisione. Nè può essere che del principiare del secolo XIV, arco arditissimo, sottostante alla scalea, di pietra canalata, che sebbene immurata nel cortile, si ravvisa al pari delle colonnette capitellate, quasi fino a metà dell’elevazione della fabbrica, all’angolo destro, dalla parte del rivo. E portando le attenzioni al prospetto sul campo non s’ingannerebbe chi ammettesse, che il poggiolo fosse intercolonnare, per chiudere nel primo ordine i cinque archi, cuspidati a sesto gotico, che hanno nel centro due sole colonne massicce di marmo, adorne di capitelli semplicemente fogliati, con listello tutto all’intorno, in corrispondenza al secondo ordine, avente quattro leggere colonne di pietra greggia, con capitelli a rosoni, in piedestalli alti quadrati. E tanto più se ci facciamo ad osservare le due finestre di ambi i lati, pure a cuspide, che apparirebbero slegate, ed hanno ancora avanzi, al lato destro dei rotondi di fregio all’arco, giusta lo stile moresco.

Ad onta le sofferte alterazioni, questa mole sarebbe a reintegrarsi e avremmo restituita una preziosità in una reliquia di architettura gotico-moresca. Il piano superiore è oggi proprietà dei negozianti signori Chantal. Per scale erettesi in tempo posteriore si accede al piano nobile di ragione del nob. cav. Giambattista Breganze ove risiede la Congregazione, vagamente detta Centrale, Autorità autonoma, che presieduta dall’I, R. Luogotenente sovraintende all’amministrazione territoriale o delle nove provincie del Dominio.

È ridotto nello stile rococò si per conio degli stucchi come per i dipinti del Varotari, di Francesco Rosa, del Negri, del Solimene e del Zanchi. Con un breve passo perciò dall’interno al piccolo cortile di passaggio, lo spettatore rimane sospeso fra due epoche, a ragguardevole distanza, il medio-evo e il seicento, vedendo in quello aprirsi un poggiolo di sesto acuto, a tre archi, con due colonne di marmo fino, abbellite da capitelli fogliati, e testine rilevate di leoncini, e scorgendo, fra gli stucchi del salotto, sovrapposto lo stemma della casa Zaguri, ad indicare il restauro per sua cura eseguito.

La generosa prosapia era oriunda dell’Albania, e ben prima che offrisse i centomila ducati alla Repubblica, per l’aggregazione al patriziato nel 1646, si segnalava per meriti a favore della patria. Trifone Zaguri, morto a Costantinopoli appo il bailo Soranzo, inviato a Ragusi dal Consiglio dei Dieci, penetrò le trame del nemico, riscattava col proprio denaro gli schiavi, combatte animoso e distrusse le navi armate di Castelnuovo e messe allo scoperto le mire proditorie di Cattare, preservava la città che fu in altri tempi sottoposta, pel valore degli avi, alla devozione della Repubblica. Da questo prode ascendente non fu degenere Pietro IV, che si distinse nell’armata contro i Turchi; era provveditore ordinario in Prevesa, e quale governatore delle navi, figurò alla conquista di Patrasso e di Lepanto, avendo avuto col nome comune il merito ad altri illustri, che seppero accoppiare al talento ministeriale il genio degli studi nelle scienze, lettere ed arti.

Poichè Girolamo fu d’ingegno acutissimo; Pietro I, detto Angelo, fu celebre letterato; e si riverisce un Marco, vescovo di Vicenza e di Geneda, lodato per dovizia di erudizione e poter di facondia e non meno per la carità somma verso i poveri esercitata, per cui un tal giorno si espresse: quando tutto ci mancasse per sovvenirli, venderemo il boston pastorale e la croce stessa che arma e munisce il nostro petto. Munifico tratto che ce ne fa sovvenire l’eguale nella largità di San Carlo Borromeo, che nelle distrette della pestilenza, vendeva per i poveri le argenterie fuse in Venezia, e meglio ancora ci richiama, per citare esempi italiani, alla magnanimità del Duca di Savoia Vittorio Amedeo II, eletto poi Re di Sicilia, di cui lasciò il ritratto morale l’ambasciator veneto a Torino Marco Foscarini in una sua Relazione. Il quale illustre principe avendo tutto il denaro distribuito ai miseri per la guerra durata coi Francesi dal 1690 al 1696, si tolse di dosso il collare dell’Annunziata, tempestato di gemme, e lo mise a pezzi, per darlo ad alcuni contadini che piangevano sulle devastate campagne. Del benefico vescovo Marco Zaguri era fratello Pietro Angelo, poeta, che diede l’idea di un nuovo teatro, e il disegno, su cui si eseguiva la fabbrica della Chiesa attuale di San Maurizio, sul modello di quella di San Giminiano, che, con barbaro consiglio, si stava allora atterrando, unito al Diedo, amico suo, ed al Selva, per il ministero dei quali può dirsi quel tempio una delle migliori fabbriche degli ultimi tempi, decorata la fronte più tardi, a spese del Passagnoli, con bassi-rilievi del Ferrari e del Zandomeneghi.

Perciò sta inumato nel mezzo il Zaguri coll’epigrafe: Petro Zaguri, patritio veneto, hujus Aedis architecto, uxor maerens, p. a. 1806; ed è monumento che rammemora fatti della patria insieme e degli ascendenti. Poiché la chiesa che sussisteva ai tempi del Doge Paoluccio Anafesto, e fu più volte riedificata, richiama alla fondazione di Venezia, che i di lui proavi si trascelsero a patria. L’origine della progenie, ora estinta, per curiosa coincidenza è accennata dalla scuola attigua degli Albanesi, che ha sculto sulla fronte in basso-rilievo l’assedio di Scutari. E non lungi sta questo palazzo il quale è sorto, quando il concetto ardito del medio-evo si prestava, a cosi dire, ad esprimere la libertà del dominio dei padri, che si allestivano le sedi, come a futuri principi e dominatori sui mari. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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