Palazzo Corner Spinelli a Sant’Angelo

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Palazzo Corner Spinelli a Sant'Angelo. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Corner Spinelli a Sant’Angelo

Qualunque giudice, alquanto esercitato nell’arte, non può non convenire, che tra la facciata di questo palazzo e quella dell’altro dei Vendramin-Calergi risulti qualche relazione di conformità, non tanto nella maestosa cornice, che corona l’edilìzio, quanto principalmente nella configurazione dei davanzali. E ciò per l’innesto della duplice arcata in una più grande che la serra, col solo divario della finestrina, a guisa, per cosi dire, di pera, anzichè in forma rotonda, che sta inserita nella mezza luna delle arcate maggiori. Certamente per alcuni rispetti può dirsi alquanto inferiore a quella nobilissima fabbrica l’attuale magione. Ma si nota bene, che se anche ne limitiamo il pregio, è la nostra una limitazione, risultante da un confronto con altra mole più vantaggiata, ritenuto però sempre in questa un tipo di bello suo proprio. E tanto siamo lungi da non apprezzarne il disegno, che ci sembra anzi avere questo palazzo adescato l’ingegno di altro artefice a ritrarne altrove le delicate sembianze, coli’ imitazione avendo aggiunto al merito artistico.

Nè è senza fondamento per ciò il pensiero di chi lo giudicava il modello, di cui si valesse l’ architetto lombardo, mentre si accinse a disegnare la mole Vendramin. Ammessa la quale idea, non ci dispiace di tener dietro al gentile, che si pone quell’originale dinanzi, e immaginiamo che, con quel regolo, vi tolga le mende, ne ingentilisca lo stile, introduca con maggior lusso le decorazioni, e sparga l’insieme del prospetto di tutte quelle finitezze delicate dell’arte, che rendono degno di ammirazione quell’edilìzio suntuoso, nè mai encomiato abbastanza. Né pare che discordasse il Temanza da si grazioso giudizio, poichè, attribuita sulle prime questa opera a Sante Lombardo, poco dopo si corregge, e crede più cauto limitarsi alla vaga asserzione, che sia fattura d’uno dei Lombardi. Daltronde, dal Temanza stesso ci verrebbe una prova di priorità della fabbrica, nella indicazione che nel 1542 doveva compiersi la riforma dell’interno, citeremo le parole del Vasari, rassettato per la casa Cornaro a San Benedetto, all’albore, dal Sammicheli che era di messer Giovanni Corner amicissimo. Sono poi altre prove trattarsi di uno dei primi lavori lombardeschi, le variazioni, che si incontrano, internandosi nell’edificio, il difetto di scale adeguate alla nobile costruzione, e la non molta agiatezza negli intagli dei capitelli, che partecipano degli stili gotico, jonico e corintio. Leggiadro è questo palazzo nel suo genere, e di finissimo gusto; il fianco destro di esso risponde sul rio vicino, e il sinistro sulla piazzetta, ove nel 1676 sorgeva il teatro di Sant’Angelo, ora recinto ad uso di granai e magazzini.

La faccia sul canal grande è lodata, come molto nobile, dal Sansovino, a bugne, di pietra d’Istria, in tre piani. Il pian terreno a bozze comprende una serie di stanzini, e i due superiori sono di carattere più gentile, con pilastri angolari, fiancheggianti ogni piano, che quasi mostrano tenerlo in assetto. Vari marmi si vedono intarsiati, in mezzo ai campi, di porfido, serpentino e verde antico; qualche vaso è ai lati, con fogliami ricorrenti attorno il quadrato e la tabella, sopra di cui un tempo stavano le aquile bicipiti, inquartate nel blasone Corner, forse a ricordo di privilegio imperiale, tracciate nei disegni dei palazzi Coronelli, oggi non più che in ombra sulla muraglia. Il fregio della gran cornice è ricco di ornamenti, e del pari il basamento presso all’acqua, a cui avrà corrisposto la riva di approdo, cinta forse da colonnelle. Si loda come ingegnoso il ripiego dell’industre architetto nella distribuzione dei davanzali, al piano inferiore.

Poiché, quantunque fosse richiesto dalle convenienze dell’interna struttura un differente riparto, pure seppe disporli in guisa, che quelli degli stanzini si combinassero sotto ad uno dei due, appaiati negli ordini superiori, e i due al piano terreno rimanessero equi-distanti. I due poggioli, laterali al medio, nel primo piano, appariscono di genere nuovo per la forma, con tre sezioni di cerchio; quello di mezzo è più sporgente ed à lo stesso disegno delle arcate, costrutte per comodo, a foggia di pergamo o vasca. L’atrio regolare, è di buon gusto, con sei colonne di ordine toscano, spira formosità e leggiadria, non però la consueta fierezza, e quasi licenza delle opere Sammichelesche. Un piccolo atrio, di pianta quadrata, aperto dal lato respiciente l’ingresso, e fronteggiato da un arco a due intercolunni sugli altri tre, mette lateralmente a due corticelle, e di faccia ad un andito, involtato a botte, e abbellito da pilastri dell’ordine stesso. A queste nel primo piano corrisponde un terrazzino pensile grazioso, che à ingresso per la Sala, pure Sammichelesca, con colonne, e sparsa di stucchi. In una stanza è antico il soffitto, di bello stile lombardesco, a dorature e intagli, con fregio e cornicioni dorati, e con alcova a rococò, pure sparsa di dorature e d’intagli, da cui pendono gli stemmi Grioni e Berlendis, per le relazioni di sangue dei Corner con quelle non meno illustri famiglie. Un tempo erano lodati nove quadri ad olio, che Giovanni Corner aveva commesso al Vasari, per lo palco o soffitto, scrive Temanza, di magnifica camera, tutta di legnami intagliati e messi ad oro riccamente. Quando fioriva il Temanza, si ricorda in proprietà questo palazzo dei Spinelli, di Castelfranco, che da più secoli avevano acquistata la cittadinanza veneta, e vantavano legami di parentela con famiglie patrizie. Un Andrea Spinelli fu maestro di cunei e stampe, e qualche di lui opera in bronzo si conserva nel museo Correr. In origine si distinsero come mercanti di panni d’oro, e tessuti con oro, e di seta, di lana a porpora, e di panni a porpora tinti, e zendadi o lavori di seta. Si sa già dalla storia, che nel 1248 salivano in fiore le tintorie di color fino, e le fabbriche degli scarlatti. Grandi speculatori essendo stati i Veneziani, penetrarono nei più remoti luoghi del mondo, e trasportarono le arti nel seno della patria, in tal numero, ch’erano in voga, come ora lo sono in Amsterdam ed in Londra. Quindi con somma gelosia guardavano le loro manifatture, e severe leggi vigevano contro chi sviava i capi maestri e lavoratori per aliena giurisdizione. Parimenti concedevano privilegi, anche di nobiltà, a chi montava in alta stima per il merito speciale in un’arte. Certamente dovevano gli Spinelli aver tesoreggiato, se poterono offrire centomila Ducati alla Repubblica, per venire aggregati al patriziato, nella persona di Paolo e David fratelli, coi discendenti.

Non dimenticavano mai i Veneziani, che dal commercio derivò la fama della loro grandezza; e questo palazzo può ricordare in embrione il gran quadro dei Veneziani antichi, che anche patrizi, anche Dogi, esercitavano la mercanzia. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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