Palazzo Corner della Cà Granda a San Maurizio

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Palazzo Corner della Cà Grande a San Maurizio. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Corner della Cà Granda a San Maurizio

Nell’area, ove questo palazzo per colossali membrature giganteggia, preesisteva un’altra mole, e Giorgio Corner, fratello a Catterina, che ebbe il diadema di Cipro, vissuto fino al 1534, la comperava, secondo la testimonianza di Carlo Cappello, di lui biografo. L’edificio doveva essere certamente grandioso, se vi spendeva nell’acquisto ventiduemila ducati d’oro, e lo faceva poi ricco e magnifico per ornamenti di ogni genere. Un gravissimo incendio ne sformava in poco tempo la fabbrica, e allora un altro Giorgio, figlio di Jacopo, come ci narra il Cappellari, lo rinnovava di pianta. Abbiamo anche un qualche dato sull’epoca della fondazione da una lettera dell’Aretino, che accenna, come nel 1557 ne erano murate le fondamenta. È insigne questo palazzo fra gli altri per magnificenza, capacità, ricchezza di pietre, struttura, simmetria, e per il sito, scoprendosi dall’altezza sua, di fronte e alla destra, le circostanti lagune, alla manca l’Adriatico, per quanto l’occhio può dominarlo. Si giudica il palazzo più bello che sia forse in Italia. Tutta la faccia sul gran canale è doppiamente colonnata, in tre ordini, rustico gentile nel piano terreno, jonico e corintio nei superiori. La loggia si apre splendida, con ricca gradinata alla porta maggiore; simmetrico è l’atrio; vaga la triplice arcata d’ingresso, che si ripete dal lato opposto, e introduce alla sala terrena.

Fa gioco di ombra la forte cornice modiglionata, che divide il piano inferiore dal nobile. Si lodano il binato degl’intercolunni, la proporzione della cornice, che corona il prospetto, la forma e l’ ornato delle finestrelle del fregio, e la collocazione delle finestre tra quei piloni, che sembrano portare il binato. L’insieme dà un’aria al palazzo di maestà e di grandezza. Vi ha un cortile scoperto, con bellezze ed ornamenti alla romana, circondato, all’ altezza dei due piani nobili, da poggioli di marino a colonnette. Oltre il vestibolo al limitare, altro magnifico atrio mette dal cortile alla gran riva d’approdo, a cui si accede per altro vestibolo elegante. La fabbrica è delle più robuste muraglie, di spesse e grosse travate, per cui risulta della massima solidità. La pianta è modello di acconcia distribuzione, e si perdona qualche menda, principale essendo l’eccentricità della scala primaria.

Sorse questo edificio suntuoso in tempi di grandezza per l’arti, e i Cornaro ne commettevano il disegno al Sansovino; il quale, già amico al Pinturicchio ed al Signorelli, commentator di Vitruvio, era al servigio della Signoria, ed emulo dei maestri veneziani, affinava il gusto nelle opere architettoniche, ed educava nel suo studio il Vittoria nell’età dei Caliari, dei Vecellj, dei Tintoretti e dei Giorgioni. Aveva dato gran saggio di se nella fabbrica della Libreria, lodata dal Palladio, come il più ricco ed ornato edificio, che sia sorto forse dai tempi antichi fino ai nostri. Infatti spicca in questo palazzo il raro talento dell’architetto, e si vede la semplicità nobile insieme e maestosa del Sansovino, che seppe dare ad ogni sua fabbrica un diverso carattere, perché a primo aspetto significhi il fine, a cui serve, essendo giudiziosa appunto 1’applicazione dei luoghi ai molti usi diversi. A travatura, usata da quel maestro, anche la Sala delle udienze, con camino magnifico, le cui pareti erano un tempo fornite di samisdoro. Si appellava la camera d’oro, perché dorate le cariatidi, e il cornicione dorato, del valsente di 18 mila zecchini. Nel cortile scoperto, di fronte all’ ingresso, sta una elegantissima nicchia, a guisa di tabernacolo, sopra la cisterna, di gentili membrature, con finezza di marmo. La statua, alquanto manierata, è di Francesco Penso Cabianca, che vi lasciava sculto il suo nome. Sul pavimento si vedeva fino ai di nostri una specie di laberinto dei Pisani, ora palazzo regio a Strà, e venne disfatto, per sostituirvi, con poco lodevole consiglio, un selciato di pietra molare. Benché Giorgio Corner abitasse nel palazzo a San Cassiano, pure, quando assunse le redini della famiglia, stabilì quivi la residenza propria, e avendo nei traffici tesoreggiato, faceva ricche largizioni alla patria. È fama che nessun privato conseguisse tanto copiose dovizie, avendo girato i mari, per conto dei Corner, una flotta mercantile cosi ragguardevole, che la Repubblica non permetteva l’entrata alle navi in porto, se non a poche per volta. Quindi temette il Senato, che quell’eccesso di facoltà potesse soverchiare il dominio, e ordinava si sperperasse la famiglia in più rami; perciò questi erano detti i Corner della Ca’ grande, rimasto cosi sugli altri rami tradizionale il titolo di prevalenza. Teneva infatti signorie la casa e domini, su Argo, su Napoli di Romania, su più siti della Morea, e feudi a Negroponte, e nelle isole di Arbe, di Scarpante e della Piscopia.

In tutte le missioni diplomatiche uno sempre dei Corner ebbe il primato dalla culla della Repubblica. Felice fu maestro dei cavalieri, avanti i dogi; Alberto uno dei tre primi avogadori; Giovanni primo rettore a Sebenico; Andrea il primo che si decorasse dal Senato del titolo di cavaliere. Un Filippo fu marito di Agnese, figlia a quel Ordelafo Falier, che pose a contribuzione la Croazia, e col nome di suo duca e principe faceva nella piazza di San Marco il trionfale ingresso, preceduto dalle bandiere tolte al nemico, e traendosi dietro un codazzo di schiavi in catene.

Caduta la Repubblica, il regime Italico acquistava questo palazzo per 94 mila franchi, e fu residenza lunga pezza della R. Delegazione provinciale, e di altri uffizi; ora vi risiede l’I. R. Luogotenenza. Un grave incendio, che irruppe la notte 6 dicembre 1847 colpiva in deplorabile guisa la fabbrica, rimasta illesa la sola parte sul rivo. Occorse molta spesa a racconciarlo, e si rifabbricava allora la scala. Si guastarono notabilmente più suppellettili di gran prezzo. Colà dove più menarono strage le fiamme risultava un terreno vacuo, e l’ I. R. Luogotenenza lo acquistava oggidì dal ben noto scarpellino Vincenzo Fadiga, e vi faceva sorgere un giardino grazioso, per cui può dirsi converso in sito di allegro diporto un triste segnale dell’eccidio. In questi splendidi recinti il procurator di San Marco Nicolò Corner aveva raccolta una scelta e sontuosa libreria, ed una pinacoteca di dipinti del Tintoretto, di Raffaello, del Vecellio, del Bassano, del Palma vecchio, e di Paolo. Di quest’ultimo era il quadro la cessione della corona di Cipro, che fece Catterina al doge Barbarigo. Era il dipinto, che il cavaliere Jacopo Treves dei Bonfil, con uno di quei rari tratti di generosità, onde a lui solo somiglia, donava alla Commissione per gli asili d’infanzia, la quale, fattane una lotteria, ritraeva il reddito di oltre diciasette mille lire austriache, a prò della filantropica istituzione cittadina. Cosi poté dirsi, che reliquie delle ricchezze di casa Corner, perfino in questi ultimi tempi, si usufruttarono ad utilità di Venezia. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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