Pietro I Orseolo. Doge XXIII. Anni 976-978

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Pietro I Orseolo. Doge XXIII. Anni 976-978

Compiuta la fatale vendetta dal popolo sopra il doge delinquente, confiscati ed attribuiti alla nazione i di lui beni, ricoverata la vedova di lui, Valdrada, in Pavia presso l’imperatrice Adelaide, vedova di Ottone I e madre di Ottone II, si raccolse l’assemblea generale nell’ isola di Olivolo, intorno la episcopale chiesa di San Pietro per eleggere il principe nuovo.

Era il dì 12 agosto 976, e unanimemente venne acclamato a tal dignità Pietro Orseolo; uomo santissimo e tutto dedito, fino dagli anni più teneri, agli esercizi pietosi di religione. Laonde, dopo molto resistere, accettò il difficile incarico che imponeva a lui la nazione, coll’ idea di giovarla in quei burrascosissimi tempi, in cui, pei fatti accaduti, erano tutti gli animi agitati. Prese quindi le redini dello Stato, tostamente curò che rinnovata fosse la chiesa di San Marco arsa dal fuoco, e restaurato venisse il palazzo ducale, assai danneggiato da quell’incendio. Poi accomodò le pretensioni della profuga Valdrada; regolò sapientemente le interne finanze dello Stato, a tal uopo radunando l’assemblea generale per ristabilire il pagamento delle decime, che annualmente esborsare solevano gli antichi Veneziani per la salvezza, dicevano essi, della loro patria. Ed era questo un tributo, che ciascheduno soddisfaceva al fisco, perché potessero sostenersi le spese tutte indispensabili allo Stato. Appianò infine le discordie insorte fra la Repubblica ed i popoli di Capo d’ Istria, allora appellata Giustinopoli, fermando un novello trattato, nel quale promettevano gl’ Istriani di lasciare libero ai nostri il commercio nella città loro e nel lor territorio; di proteggere e di fendere la personale sicurezza dei viaggiatori; di pagare in fine il solito tributo annuale di cento misure di vino.

La sua molta pietà e religione però, che indotto lo aveva ad allargare la mano in assai opere di carità, fra cui nell’erigere uno spedale in sulla pubblica piazza, affine di ricoverare i pellegrini che a visitar si portavano da lungi le sacre ossa dell’evangelista San Marco; questa sua religione lo spinse ad abbandonare il trono e la patria per raccogliersi in Dio.

A sollecitare tanta sua risoluzione valse il venire che qui fece, per venerare le prefate reliquie, Guarino, abate del monastero di San Michele di Cussano, in Guascogna, il quale, contratta amicizia coll’ Orseolo, gli pose in cuore di effettuare la magnanima impresa. Laonde, disposte segretamente le cose sue, si preparò alla partenza. A due soltanto aperse il suo animo, cioè a Giovanni Morosini di lui genero, e a Giovanni Gradenigo: perfino alla moglie sua Felicita, ed al proprio figlio Pietro celò interamente l’arcano.

Scrisse quindi, doge Pietro, il suo testamento, nel quale dispose mille libbre d’argento ai poveri, mille altre ai suoi parenti, e mille al pubblico erario, affili di valersene nei propri bisogni, o, come altri dicono, nelle spese, degli spettacoli nazionali solenni. Molto oro portò anche seco per offrirlo al monastero di Cussano, a cui era diretto. E siccome l’abate Guarino partecipata aveva la risoluzione del Doge al celebratissimo Romualdo, patriarca dei Camaldolesi, ed al monaco Murino di lui compagno, così pur questi due si associarono in quel viaggio.

Nell’alto dunque della notte del primo settembre, secondo il Sagornino, dell’anno 978, partirono da Rialto su un piccolo legno, travestiti in modo da non essere da alcun conosciuti, ed approdarono al borgo di Sant’Ilario presso Fusina. Ivi stavano già preparati sei cavalli, e montato in sella ciascheduno al suo, attraversarono le provincie Lombarde e le Piemontesi, valicarono le Alpi, e in brevi dì giunsero nel Rossiglione, e finalmente a Cussano; ove l’Orseolo, il Morosini e il Gradenigo assunsero le desiderate lane monastiche. Il primo, cioè l’Orseolo, contava allora cinquanta anni di età; e ne visse altri diciannove tra le pratiche assidue delle più eroiche virtù. In questo frattempo fu visitato una volta da Pietro suo figliuolo, a cui predisse non lontana e gloriosa la ducale dignità. Morì quindi ai 10 gennaio dell’anno 997, ricco di meriti e chiaro per gli operati prodigi. Dopo quasi otto secoli, Clemente XII, lo esaltò all’onore degli altari, e ducando Carlo Ruzzini, cioè nel 1733, la Repubblica otteneva una preziosa reliquia, che tuttavia si conserva in ricca custodia argentea nel Tesoro della Basilica Marciana.

Perciò il ritratto dell’Orseolo espresso nel fregio della sala del Maggior Consiglio, lo rappresenta cinto il capo di aureola radiata, e tenente nella sinistra mano il solito papiro, su cui è scritta la seguente leggenda, riportata con grave diversità dal Sanudo, dal Sansovino e dal Palazzi:

HOSPITALE SANCTI MARCI PRIOR AEDIFICAVI:
DEINDE MONACHVS FACTVS MIRACVLA PLVRIMA EGI. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto.  Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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