Sant’Antonio da Padova

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Sant’Antonio da Padova

Il culto di Sant’Antonio a Venezia risale poco dopo la sua morte (+ 1231) dovuto al suo soggiorno in città in casa Civran a S. Giovanni Grisostomo, secondo una traduzione destituita di ogni prova. Senza considerare i pellegrinaggi dei veneziani alla sua tomba, è certo invece che nel 1255 il santo era festeggiato nella chiesa dei Frari con altare proprio, come da bolle di Alessandro IV datate da Anagni il 28 luglio (A.S.V. B. 106, XXXII – 13) e 6 luglio (ivi, B. 106, XXXII – 4). Nel 1305 si celebrava la festa in Venezia secondo un documento del legato apostolico card. Napoleone ( A.S.V. B. 106, XXII – 8).

Nel Messale marciano (lat. cl. 3, XLVII = (2100) anteriore forse al 1323 figura festa di precetto, con Messa propria (Introito del Comune dei dottori e capilettera in saio da conventuale). Così pure è precetto nel Messale marciano del 1392 (lat. cl. 3, XLV, = (2244) tipicamente francescano, con ottava di essa e festa della traslatio, pure di precetto, il 15 febbraio.

Il 30 marzo 1439 esiste una confraternita sotto il titolo di S. Antonio in parrocchia di S. Simeone profeta, con l’incarico del pane dei poveri e suffragio dei defunti; subito dopo fu avocata dai francescani dei Frari, nonostante la resistenza dei fedeli di S. Simeone: anzi con decreto del Senato 15 ottobre 1440 veniva stabilito che in Venezia non sorgesse nessun’altra scuola, tranne quella dei Frari, in onore del santo. La nuova scuola ai Frari aveva avuto la sanzione ufficiale del Consiglio dei Dieci il 23 luglio 1439 con i privilegi consueti delle confraternite: statuto proprio, altare proprio nella chiesa annessa e il nome caratteristico: “Fradaia de Santo Antonio di Padova”.

Il culto tuttavia non ufficiale divenne tale durante la guerra di Candia, prima come festa di palazzo, con decreto dei Pregadi del 30 giugno 1646 ( A.S.V. libro d’oro, III c. 114), poi su memoriale di Giovanni Grimani, già podestà di Padova, che il 27 febbraio 1651, proponeva per il buon esito della guerra e protezione dell’armata, di erigere un altare al santo in Basilica della Salute o in quella di S. Marco, con qualche effige o piccola reliquia e visita annuale del doge. Discussa la cosa ed approvata il 29 dello stesso mese, fu dato incarico ai Rettori di Padova di ottenere una reliquia del santo. Le difficoltà opposte dai Padovani non furono da poco; alla fine la reliquia fu concessa ed entrò in città il 9 giugno, per la via del Brenta, con un corteo fastoso puntualmente descritto dai cronisti, ed accolta come si soleva fare per i grandi personaggi. Dal reliquiario di S. Marco, dov’era stata collocata, fu condotta con processione solenne dal Doge, dal Senato, dal Clero e popolo lungo un ponte di barche gettato sul Canalgrande, sino in Basilica della Salute il 13 dello stesso mese.

Progettò l’altare il Longhena, proto della basilica; nel 1656 era già compiuta la pala commissionata al pittore padovano Pietro Liberi; l’anno dopo l’altare era ormai terminato.

Quasi vent’anni dopo in altra circostanza la Repubblica godette del patrocinio del santo, in seguito alla cessazione della peste che aveva colpito l’armata veneziana nell’assedio di Castelnuovo, onde con decreto senatoriale del 5 luglio 1587 fu incaricato il Bonacina di lavorare in isbalzo la scena in una tavola votiva assegnata all’altare del santo.

Dopo il 1651, il doge si recava ogni anno il 13 giugno in processione alla Salute, in manto chermisi e d’oro con mozzetta ad udire la Messa e venerare la reliquia. Caduta la Repubblica il voto continuò sino al 1954, quando prima fu abolito il ponte ed ora con decreto patriarcale in data 5 dicembre 1963 la festa è stata traslata in chiesa a S. Moisè.

L’iconografia veneziana del santo merita una considerazione a parte; è impossibile darla qui per esteso. Egli è raffigurato quasi in ogni chiesa. Ci si limita a quella dei Frari e della Salute, in quanto qui assunse valore ufficiale. Della chiesa della Salute si è detto sopra; per quella dei Frari: statua goticizzante in facciata; nel barco, del Gambelli (1475?), rilievo nel coro, del Canozzi; ancona di A. Vivarini (1468); tela di anonimo del secondo quattrocento nell’altare proprio; statua lignea in sacrestia; tela del tintorettesco Floriano (1600) nel monumento Garzoni: del Rosa nel 1670, ivi: del Pittoni (1728) ivi: di G. Einz nel 1670 sotto l’organo; nella pala di cà Pesaro di Tiziano (1519); tra i santi francescani di B. Licinio (1489-1559); episodi della vita nella vetrata absidale del Beltrami (1907). Parecchie confraternite in suo onore si svilupparono nell’età post-tridentina: a S. Giovanni Crisostomo (1637) ; a S. Angelo (1657); a S. Nicolò (1660), a S. Vito (sovvegno 1661); a S. Eufemia di Giudecca (1622); a S. Severo (sovvegno, 1691); alla Madonna dell’orto (sovvegno, 1706); a S. Zan Degolà (1707); a S. Beneto (1720).

Giova ricordare pure, come motivo di culto, la frequenza del santo nell’onomastica veneziana aristocratica e popolare; in quest’ultima nelle forme ridotte Toni e Tonin, nell’altra spesso in composizione con altri santi (Marco, Giovanni, Giuseppe), soprattutto nel corso del sei-settecento. (1)

 (1) Antonio Niero. I santi Patroni, in Culto dei Santi a Venezia. Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1965.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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