Chiesa e Monastero di Gesù, Maria e Giuseppe vulgo le Romite

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Chiesa di Gesù, Maria e Giuseppe vulgo le Romite - Dorsoduro

Chiesa di Gesù, Maria e Giuseppe vulgo le Romite. Monastero di Monache Agostiniane. Monastero secolarizzato

Storia della chiesa e del monastero

Tanto antico fu l’istituto delle donne recluse in angusti ritiri presso le chiese, che il dottissimo Pietro Canisio non dubita riportarne l’origine ai tempi della Legge scritta, fondato sull’esempio del la Santa Profetessa Anna, di cui attesta San Luca, che non partiva giammai dal tempio servendo al Signore in digiuni ed orazioni. Tali pure è probabile, che fossero le tre Sante figlie di San Filippo tanto celebre fra i primi sette Diaconi, le anguste cellette delle quali furono devotamente visitate da Santa Paola Romana nel suo pellegrinaggio per i luoghi Santi della Palestina. D’altre molte di simili recluse così vergini, che vedove ne fanno spesse fiate menzione e il Martirologio Romano, e le Istorie Ecclesiastiche, e non ha molti anni, che nella Diocesi di Capodistria fu scoperto il sepolcro di una illustre reclusa per nome Cunizza, ossia Cunegonda.

Una così severa forma di vivere introdotta in Venezia circa il secolo XIII fu abbracciata da molte, e restarono stabiliti molti angusti romitaggi, o negli atri, o sui tetti, o in contigue cellette di diverse chiese, come ne apporta un illustre esempio il Sabellico nel suo trattato del sito della città, ove riferisce, che Sofia piissima vergine dopo aver nell’antico Monastero di Santa Croce di Venezia fondato l’istituto di monache serafiche, passò a chiudersi nell’atrio della Chiesa Parrocchiale di San Nicolò, ove in solitudine e silenzio chiuse santamente i suoi giorni.

Consta pure da autentici documenti, che di tali recluse, o solitarie, ne abitassero in angusti romitaggi accanto le Chiese di San Giovanni Evangelista, detto Nuovo, di San Maurizio, di Sant’Agnese, di cui  uscì Caterina Fondatrice del Monastero di Santa Maria Maggiore, di San Samuele, di Santa Margarita, dei Santi Gervasio e Protasio, di Sant’Ubaldo, dei Santi Apostoli, di San Canziano, di Santa Maria Nuova, di San Francesco della Vigna, e di Sant’Angelo, in cui qualche tempo visse Caterina una delle fondatrici del Monastero di San Girolamo.

Conviene però credere, che oltre ai suddetti ritiri, altri ve ne fossero non nominati nei documenti, nei quali né pur si fa menzione del romitaggio situato già sopra la Chiesa Parrocchiale dei Santi Ermagora e Fortunato, benché il più famoso di tutti, e forse il più antico, benché ai tempi di papa Leone X, riferiva i suoi principi a tempo remotissimo ed immemorabile. Le antiche carte di questo sacro luogo si sono fatalmente perdute, ed il più antico documento, che ci resti, è un diploma pontificio, con cui nell’anno 1486 papa Innocenzo VIII concesse a Benedetta Eremita abitante appresso la Chiesa di Sant’Ermagora di Venezia il potere eleggere un sacerdote o secolare, o regolare per amministrare ad essa, ed alle due eremite di lei compagne Lucia e Caterina gli Ecclesiastici Sacramenti. Passate poi agli eterni riposi le due eremite Lucia, e Caterina, e subentrare in loro luogo nell’austero ritiro altre due, Giovanna e Margarita di nome, impetrò Giovanna nell’anno 1506 dalla Pontificia autorità di papa Giulio II di poter vivere nel povero romitaggio anche dopo la morte della sopra lodata Benedetta con una, o due compagne, godendo la continuazione del privilegio circa l’elezione del sacerdote, che ne avesse la spirituale direzione. Nell’anno stesso concesse con particolar indulto il pontefice a Margarita da Cataro professa del Monastero Osservante dei Santi Rocco e Margarita il potere trasferirsi al romitaggio di Sant’Ermagora, per ivi, finché vivesse ritenendo il suo abito, servire devotamente in quiete al Signore.

Volò al Cielo nell’anno 1518 la buona superiora Benedetta, dopo il di cui felice passaggio volendo le due superstiti eremite secondo la facoltà loro impartita dall’indulto apostolico associarsi unaltra compagna, loro si opposero il Piovano, ed i Titolari della Chiesa; onde convenne alle buone donne il rivolgersi all’autorità suprema della Sede Apostolica, acciocché le conservasse nel possesso del lor privilegio. Rimise il Pontefice Leone X la cognizione della causa a Leonardo cardinale della Rovere Sommo Penitenziere, il quale con sua lettera indirizzata nel giorno 23 di luglio dello stesso anno 1518 ad Antonio Contarini Patriarca di Venezia gli commise, il dovere stabilire le due eremite (da lui chiamate Monache sotto la regola di Sant’Agostino) nell’uso ed esercizi dei privilegi loro concessi dalla sede apostolica. Col nome pure di Monache Eremite recluse nel porticale dei Santi Ermagora e Fortunato di Venezia dell’Ordine di Sant’Agostino le chiamò nell’anno 1539 il pontefice Paolo III in un suo diploma approvativo dei loro privilegi; dal che si desume, che fino d’allora si avessero le recluse scelta per direzione del loro vivere religioso la regola di Sant’Agostino.

Mentre dunque a Dio servivano professando l’istituto delle Suore Agostiniane, insorsero contro di esse nuovamente i titolari di Sant’Ermagora, e presentarono le loro doglianze al santo pontefice Pio V per la loro giurisdizione offesa dalle recluse, che ricusavano di ricevere i sacramenti dai sacerdoti di loro parrocchia. Ne fu dal pontefice rimessa la decisione nell’anno 1571 al patriarca di Venezia Giovanni Trevisano, che con sua sentenza decise a favore del collegio capitolare della chiesa. Ricorsero con appellazione le eremite al legato apostolico residente in Venezia, e per giudizio del di lui uditore generale Silvio Gallasso restando annullata la sentenza patriarcale, restò deciso, che le eremite attualmente esistenti sotto la giurisdizione del patriarca in un luogo da immemorabile tempo riputato per religioso dovessero godere degli indulti, e privilegi loro concessi dai sommi pontefici. Fu poi confermata la sentenza dell’uditore nell’anno 1576 da Niccolò Galerio vicario generale di Padova, e delegato apostolico, comandando poi il nunzio pontificio nell’anno 1578 che le due uniformi sentenze dovessero essere puntualmente ed interamente eseguite.

Liberate da tali angustie le buone religiose, si stabilirono con tale fervore nell’intrapresa maniera d’austero vivere, che quantunque in ristrettissimo luogo provassero tutti gli incomodi di una estrema povertà, pure ivi vollero far a Dio un nuovo sacrificio di sé stesse, obbligandosi con voto a perpetua clausura. Per maggior decoro di così esemplare ritiro permise il patriarca Vendramino (mentre attualmente nel giorno 17 di gennaio dell’anno le visitava) che il vescovo di Adria Girolamo Porzia potesse consacrare l’altare dedicato a Sant’Agostino nel loro oratorio; il che dal buon vescovo fu eseguito nel giorno 24 dello stesso mese. Reso poi col passar degli anni rovinoso il predetto oratorio, allorché pensavano le monache a rinnovarlo incontrarono nuove opposizioni dal capitolo della chiesa, le quali però essendo state da sentenza dei giudici ripulsate ed escluse, fu con le pie offerte dei fedeli rinnovato ed ampliato il vecchio oratorio.

Al fine però di interamente liberarsi da vessazioni cotanto moleste, impetrarono nell’anno 1669 dal pontefice Clemente IX che le loro persone, ed il sacro luogo, in cui abitavano, fossero interamente e fa perpetuo esenti da qualunque giurisdizione della chiesa parrocchiale; con che fu lor ridonata la quiete. Servi questa in seguito perché molte oneste giovani desiderose di servir a Dio in austero ritiro ricercassero d’esser ammesse nell’angusto luogo; onde fu stabilito che l’antico numero delle tre recluse dovesse accrescersi fino alle sei, che ivi continuarono ad abitare sin presso al fine del secolo XVII.

Come però frequenti sempre più si rendevano le istanze delle vergini desiderose di ritirarsi, e già la Chiesa di Sant’Ermagora, sopra la quale si innalzava il romitaggio, dava contrassegni evidenti di non lontana ruina, così i procuratori del religioso luogo sapendo che si era reso vuoto l’Ospizio dei Padri Minori posto nel sito che si chiama Borgo di San Trovaso (chiamato in alcuni decreti del senato di San Nicolò) per essersi essi tradotti al nuovo Convento di San Bonaventura, deliberarono d’acquistare quel luogo capace per abitazione dell’eremite. Ottenuta dunque nel giorno 12 di agosto dell’anno 1693 la facoltà dal senato di ivi fondar un nuovo monastero, con la condizione però allora stabilita, che sei solamente dovessero essere le monache, diedero tosto mano i procuratori all’erezione del monastero, che per la maggior parte fu perfezionato per un pio e grandioso legato lasciato in testamento da Santo Donadoni il più insigne tra i benefattori del nuovo chiostro. Anche la chiesa sotto il titolo glorioso di Gesù, Maria, e Giuseppe fu in breve tempo, e con ben ornata struttura fabbricata col soccorso del generoso legato del Donadoni, essendo stata di nei lei fondamenti riposta una medaglia già di sopra con le altre posta al fine della prefazione.

Tanta fu allora la sollecitudine della fabbrica, che poté nell’anno susseguente 1694, il patriarca Giovanni Badoaro trasferire le eremite dal vecchio ed angusto ritiro i Sant’Ermagora alla nuova religiosa abitazione; né molto dopo il senato permise; che ampliare si potesse il numero delle monache per soddisfare ai pii desideri di molte vergini supplicanti.

Perché però la religiosa casa avesse canonicamente il nome, e la qualità di monastero, furono a nome delle suore al pontefice Clemente XI. presentate umili istanze; ed ottenuto poi dalla sacra congregazione dei vescovi e regolari favorevole rescritto, il patriarca Pietro Barbarigo nel giorno 3 di giugno dell’anno 1772, in solenne norma stabilì nei nuovi fabbricati chiostri il titolo di monastero con clausura, e la più rigida osservanza della regola di Sant’Agostino.

Restò poi arricchita la nuova chiesa di molte e preziose reliquie, e fra queste di una adorabile Spina della Corona del Redentore veduta molte volte dalle monache nel sacro giorno del Venerdì Santo rosseggiare di vivo Sangue. I corpi dei Santi Agapito, Basilio, Benedetto, e Filomena Martiri tratti dalle Cristiane Catacombe di Roma si venerano collocati negli altari della chiesa, ove pure si custodiscono una mano incorrotta di Santa Giuliana vergine e martire, e le sacre tese delle Sante Cornelia, Fausta, Vittoria, e Vicenza Martiri.(1)

Visita della chiesa (1839)

La chiesa, comunque ornata di pitture e sculture di quel secolo austero, non merita gran fatto le osservazioni. Nel comparto di mezzo del soffitto Nicolò Bambini dipinse l’Incoronazione di Nostra Donna, e Francesco Pittoni fece la tavola dell’altare maggiore dove Nostra Donna e San Giuseppe adorano il nato Bambino.(2)

Eventi più recenti

Avvenuta la soppressione degli ordini religiosi, i due fratelli sacerdoti Cavanis, che avevano istituito a Santa Agnese le scuole di Carità peri maschi, poterono ottenere nel 1811 il locale della Eremite per trasferirvi le scuole di Carità per le femmine, da essi pure istituite, le quali poi si affidarono alle Canossiane con strumento 2 luglio 1863. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

(2) GIUSEPPE TASSINI. Edifici di Venezia. Distrutti o vòlti ad uso diverso da quello a cui furono in origine destinati. (Reale Tipografia Giovanni Cecchini. Venezia 1885).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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