Giovanni I Partecipazio. Doge XII, Anni 829-937

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1906

Giovanni I Partecipazio. Doge XII. Anni 829-837.

Succeduto al fratello nel trono ducale Giovanni Partecipazio, che nelle avversità aveva temprato l’animo alle prove più dure, si dimostrò ottimo principe, pio e magnanimo, quantunque non avessero fine le sue sciagure. Poiché la sua vita  fu lunga vicenda di segnalati servigi resi alla patria, e di acerbi dolori patiti, a cagione dei congiunti e dei cittadini. A tutto non pertanto egli oppose animo generoso ed invitto, lasciando chiara ed affettuosa memoria fra i posteri.

Sua prima impresa, fu quella di rivolgersi contro i pirati Slavi Crovati, con altro nome appellati Narentani, coi quali erano già due secoli quasi che i Veneziani combattevano. Ma sia che si fossero suscitate fra quei barbari interne discordie, sia  che temessero essi del nuovo doge, ossia che venissero battuti dai nostri, Mislo, o Miroslavo, loro duce, si recava a Rialto a trattare di pace, e colla pace abbiurava all’antico suo culto idolatra, rendendosi cristiano. Doge Giovanni lo accolse con molto onore, lo colmò di doni, lo tenne al sacro fonte, e stabilì seco lui la pace richiesta; pace che poco durò.

Ma più di questi barbari apportò gravissimi mali alla Repubblica l’esiliato doge Obelerio, il quale, toltosi da Costantinopoli, trovò modo di avvicinarsi alle isole realtine, ponendo stanza in Vigilia, città anche appellata nelle vecchie carte Abondia  ed Utilia, posta sul margine interno del continente, di fronte ai lidi di Malamocco e Pelestrina, ove, forse, coll’aiuto del fratello Valentino e di altri del suo partito, sperò di volgere a suo pro la fortuna. Sennonché, il doge, raccolti i suoi, si recò tosto a stringere quella città di assedio: ma venne pel momento distolto per lo ammutinarsi dei Malamocchini aderenti al vecchio doge, che parte facevano della sua armata; sicché fu costretto lasciare una mano dei suoi ad attendere all’assedio, e con un’altra mano volare a Malamocco, recandovi colà strage ed incendio. Quindi tornato sotto Vigilia, giunse a rendersene signore, e fatto cattivo lo stesso Obelerio, decapitare lo fece, e piantarne la testa, prima sul lido di Malamocco, e poscia sul margine esterno di Campalto, presso Mestre, sul territorio appartenente all’imperatore Lotario, che  aveva forse favorito il ribelle. Allora, siccome sembra, fu distrutta Vigilia stessa, in pena della ribellione, né più ebbe nome, o lo ebbe ignobile e per breve tempo.

Ducò poscia per alcun tempo tranquillo Giovanni occupandosi con tutto l’animo alla erezione della basilica del santo Patrono; a cui fare ordinò il trasportamento, dalla distrutta Altino, di vari marmi orientali.

Sennonché nel secreto dei depressi abitatori di Malamocco e di Vigilia, si tramava intanto nuova congiura, dalla quale non fu dato al doge di uscirne incolume. A capo dei ribelli si pose il tribuno Carausio, o Caroso, figlio di Bonoso non pur tribuno, il quale mal soffrendo vedere ridotta la podestà ducale, quasi ereditaria nella famiglia Partecipazio, ed agognando, da altra parte, salire esso stesso al trono, suscitar fece grave tumulto, sicché assalito il palazzo ducale, fu stretto Giovanni fuggire, e ripararsi in Francia presso all’imperatore Lodovico, secondo il Dandolo, ovveramente, giusta il Sagornino, alla corte del giovane re Carlo.

Infrattanto gli aderenti degli Obelerii, ed i congiurati raccolsero l’assemblea nazionale, ed elegger fecero doge lo stesso Caroso, con grave corruccio degli amici del principe evaso. Laonde, non appena scorse sei lune, trenta fra i primari di questi, capo dei quali si fece Basilio tribuno, raccoltisi celatamente a Campalto, nella chiesa di San Martino di Stra, o di Strata, trattarono del modo di cacciare l’intruso. Né si fidando di tornare a Rialto, operarono da colà la rivolta; per la quale entrati in patria sorpresero improvvisamente il palazzo; impadronendosi di Garoso, e, adunati i comizi lo deposero dal seggio ducale, e per consiglio, come si narra, di Domenico Orcianico, lo privarono degli occhi, nel mentre che misero a morte Domenico Monetario, Tritolo da Grado, Diodato Gruro e Marino Patrizio, e dannarono all’ostracismo gli altri di lui partigiani. Si statuiva poi che fino al ritorno di doge Giovanni, richiamato al trono, il governo venisse affidato ad Orso vescovo di Olivolo, ed ai due tribuni Basilio Trasmondo e Giovanni Marturio.

Ritornava egli in fatti, accolto con gioia dal popolo tutto; ma allor che pareva dovesse ei goder della pace, venne in quella vece nuovamente turbata, per lo tornare che fecero alle rapine gli Slavi Narentani. I quali rotti i patii, altra volta fermati coi  nostri, predarono, alla bocca del Golfo, alquante grosse navi con ricco carico, che ritornavano in patria da Benevento, ed uccisi o fatti cattivi gli equipaggi, obbligarono i Veneziani a rimaner sempre sull’armi contro di essi.

Compieva il doge infrattanto la basilica di San Marco, e trasportava in essa la salma dell’Evangelista, unitamente alla dignità del Primicerio, o primario cappellano ducale, instituendo nuovi sacri ministri per la sua ufficiatura, con grande consolazione del veneto popolo.

Sennonché parte di esso popolo poco amava doge Giovanni, anzi, corrotto dalle occulte mene dei partigiani di Caroso e di coloro che rimasero orbati dei parenti, o di quelli cacciati in bando nelle ultime rivolte; mossi tutti, come dice il Sagornino, da infernale talento, macchinarono la sua perdita. Costoro quindi accordatisi, con alla testa parecchi della famiglia dei Mastalici, ardirono, il dì di San Pietro, mentre il doge usciva, secondo il costume, dalla cattedrale di Olivolo, assalirlo e spogliarlo delle insegne ducali. Raccolta poscia da essi l’assemblea nazionale, fu statuito che gli fossero rasi capelli e barba, e vestito monaco, venisse chiuso nel cenobio di Grado; ove poco appresso morì. Ciò accadde nell’837, dopo otto anni circa che egli aveva retto amorosamente il suo popolo, dal quale fu di brutta ingratitudine ricompensato.

La di lui immagine reca nel cartellino, tenuto dalla sinistra mano, la seguente leggenda:

SVB ME, SANCTI MARCI ECCLESIA CONDITVR,
IBIQVE CORPVS DEPONITVR, PRIMICERIVS ORDINATVR,
SANCTI IVLIANI ECCLESIAE ERIGITVR : TANDEM CLERICVS DIEM CLAVSI. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia 1861

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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