Famiglia Morosini

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Campo San Simeon Grando, 929 - Santa Croce

Famiglia Morosini

Morosini Sono talmente disparate le opinioni degli scrittori intorno alla origine della illustre casa Morosini, che sarebbe opera perduta il qui riferirle distesamente. Pure, a toccarne di volo, e perché si veda quanto fantastici sono i genealogisti in generale, diremo, come Giulio Faroldo la faccia derivare da Maurizio Galbajo settimo doge; e ciò con errore manifesto, perché affatto diversa la famiglia di esso principe; e perché quella dei Morosini pervenne nelle isole realtine contemporaneamente alla Galbajo. Né meno fantastica è l’origine data dal co. Jacopo Zabarella, nel suo Trasea Peto, che la vuole discesa dalli Virgili Maroni, nobili mantovani, sicché non si perita annoverare fra i di lei antenati l’illustre cantore di Enea, e con ridicola argomentazione, dal cognome Marone ne trae quello di Morosini. Seguita il Prescot, il quale, nei suoi Pregi della nobiltà veneziana, la dice di origine romana, volendola trapiantata nella Schiavonia con le colonie dell’imperatore Claudio; di dove trasferitasi a Mantova, giunse poi a ricoverarsi nelle lagune. Cesare Malfatti, nella sua Cronaca, afferma venuti li Morosini, parte da Mantova e parte dalla Schiavonia; per tal modo rimanendo in bilico tra le opinioni dei due ultimi accennati scrittori. Finalmente Scipione Agnelli, nel IV libro degli Annali di Mantova, senza rintracciare nella notte dei tempi l’origine di questa casa, la dice fuggita al tempo d’Attila da quella città, con altri nobili venuti a porre stanza nelle isole realtine.

Da tutte queste varie e disparute opinioni non può che dedursi, essere qui pervenuta la casa in parola fino dalla fondazione di Venezia. E già la vediamo far parte delle dodici famiglie, nelle quali fu primamente stabilito il corpo del patriziato; e quindi divenire mano mano cospicua per la copia innumerevole di personaggi illustri da essa prodotti; sicché, oltre aver dati al trono quattro dogi, il sacerdozio, le armi, la toga, le lettere, contano fra le sue glorie molti uomini celebratissimi di questa casa; non escluse le donne; tra le quali annovera Tommasina, regina di Ungheria, e Dea e Morosina, quella moglie di Nicolò Trono, e questa di Marino Grimani, dogi, ambedue coronate, con tutta la pompa, principesse.

Godettero anche i Morosini il dominio del castello, o terra della Tisana in Friuli, e quello di San Vincenti nell’Istria, luogo ricco di boschi, che passò poscia, per ragione dotale di Morosina accennata, nella famiglia Grimani; ed ebbe finalmente il contado di Sant’Anna nel territorio di Cittadella. Eresse la casa in discorso, la chiesa di San Mauro, detta poscia Sant’Angelo, ed il monastero di San Giorgio Maggiore, e restaurò le chiese di Santa Maria Maggiore e di Santa Giustina. Unita alla famiglia Pesaro, fabbricò la chiesa della Santissima Trinità nella villa di Prà nel Padovano, ed era suo juspudronato la parrocchiale di San Michele Arcangelo nella villa di Barbana. Ha poi cappelle, altari, memorie, inscrizioni nobilissime in molte altre chiese di Venezia e fuori, sicché poche famiglie al pari di essa può ostentare la pietà e la magnificenza dei suoi maggiori.

Usarono i Morosini di parecchie armi, variate in tempi diversi e per diverse cagioni. Le più antiche sono quelle recanti una fascia azzurra in campo d’oro, ed è la sottoposta al ritratto qui offerto, e l’altra che convertì la fascia in banda dei colori medesimi. In seguito, Albertino fratello della regina Tommasina, alzò la croce d’argento in campo vermiglio; Andrea, che fu generale contro Zara ribelle, fece la croce vermiglia in un cerchio dello stesso colore, e la pose sopra la banda; ed altri ancora caricarono la detta banda di tre gigli d’argento, dono dei monarchi di Francia, appresso dei quali sostennero illustri ambascerie; ed altri, finalmente, in più modi variarono lo scudo, come si può vedere nel Blasone del Coronelli.

Il doge Domenico Morosini, ebbe a padre Pietro, o, come altri vogliono, Francesco q.m Lorenzo. Partito con la flotta capitanata dal doge Domenico Michiel, andò in Soria, e si distinse valorosamente nell’assedio e nella presa di Tiro, come negli altri fatti guerreschi che susseguirono. Quanto poi fece dopo a pro della patria non é detto dagli storici; ma certo é che per i molti suoi meriti fu chiamato al trono ducale, le cui azioni superiormente narrammo. Ebbe a moglie Sofia, della quale non abbiamo veruna notizia, tranne quella, che ottenne sepoltura in compagnia del marito. Si ricordano dai genealogisti, e principalmente dal Cappellari, con nota onorata, come suoi figli: Giovanni, capitano della flotta contro Ruggero re di Sicilia; Domenico, di cui superiormente toccammo, che fu poi conte di Zara, e nel 1173, si trovò fra gli elettori del doge Sebastiano Ziani; e Marco, del quale si narra tra le altre cose, essere stato presente alla stipulazione della pace seguita in Venezia tra il pontefice Alessandro III e l’imperatore Federico Burbarossa.

Il compilatore della Storia documentata di Venezia attribuisce la vittoria riportata sopra i pirati anconetani a Morosino Morosini, figlio del doge, detto da lui capitano della flotta. Si vede avere egli seguito in questa narrazione il codice ambrosiano del Dandolo; senza curarsi di consultare l’opera delle Inscrizioni Veneziane dell’illustre cav. Cicogna, vero tesoro di patrie memorie, ove egli, con quella sua critica sempre acuta e sapiente, mostrò ottenuta quella vittoria dalla stessa flotta e dagli stessi capitani che domarono le città ribelli dell’Istria; e, per di più, che il doge non ebbe alcun figlio
di nome Morosino Morosini.

Il doge Marino Morosini, ebbe a padre Jacopo q. Leonardo. Nel 1230. fu duca di Candia, dove sconfisse li Cortazzi autori della rivolta colà accaduta. Ambasciatore a papa Gregorio IX nel 1236 per le cose dei Genovesi, conchiuse in lega, contro l’imperatore Federico II; e poi, nel 1249, fu assunto al principato. Morì senza figlioli. Il sarcofago che chiude le ossa del Morosini è collocato nell’atrio della Basilica Marciana, sotto la seconda cupoletta verso la porta della Madonna. Il prospetto di esso sarcofago, diviso in due comparti, presenta superiormente, Cristo fra gli Apostoli: inferiormente, la Vergine, con alla destra due figure, una d’uomo, l’altra di donna, fra tre incensieri, ed alla sinistra tre figure, due uomini ed una donna pure fra tre incensieri; figure che mal si potrebbero divisare, attesa la loro molta rozzezza. Nel listellino dividente li due comparti accennati, è scolpita questa semplice inscrizione, mal riportata da tutti gli scrittori.

HIC. REQVIESIT. DNS. MARINUS MOROCEN~ DVX.

Il doge Michele Morosini, da San Giovanni Lacerano, fu figliolo a Martino, reputatissimo senatore, e dall’ epoca della sua morte si raccoglie essere egli nato l’anno 1307. Della gioventù di lui nulla sappiamo, tranne l’avere avuti tre figli, Giovanni, che fu cavaliere, Marino ed Andrea ; e neppure ci è noto chi fosse la sposa sua, meno il nome di lei, che fu quel di Giovanna, ciò argomentando dalla figura del Battista posta nel musaico sovrastante la cassa mortuaria del doge, espressa in atto di accomandare questa di lui moglie al Crocifisso. Troviamo che, nel 1354, fu uno degli elettori dello sciagurato doge Marin Faliero, e che nel 25 luglio 1374 fu creato procuratore di San Marco de supra, in luogo del defunto Pietro Trevisan. Dopo due anni partì ambasciatore a Francesco da Carrara signor di Padova, il quale aveva dato sospetto di sé ; e nel 1377 lo fu alla Repubblica di Genova, per le differenze che ardevano allora vivissime fra ambedue le Repubbliche. Fu indi ambasciatore a Carlo, figliuolo del re d’Ungheria, il quale, con 40.000 soldati, assediava Trevigi, e nel 1379 allo stesso re per trattare della pace. Ci raccontano le storie che, ritornando di Siria con ricchissima e copiosa mercanzia, approdato a Rodi, intese il pericolo della patria combattuta dai Genovesi, e consigliato alla vendita delle merci e a ritirarsi altrove, generosamente rispose di non voler commettere questa viltà, ma voler colla patria vivere o morire; onde tosto, vendute le mercanzie, e ricavatone considerevole somma, passò di volo a Venezia, e fattone pubblica offerta, fu di gran ristoro alla travagliata Repubblica. Nel 1381, fu ambasciatore al duca di Savoia, mediatore della pace coi Genovesi, e lo fu anche a Genova per le cose di Tenedo. Assunto finalmente al ducato moriva, come dicemmo, pochi mesi dopo.

Il monumento eretto al lato sinistro della cappella maggiore dei Santi Giovanni e Paolo, è uno dei più cospicui di quel tempo. Sopra due mensole, poggia il ben ornato feretro, su cui giace supina la statua del morto doge. Un vòlto archiacuto lo copre, nel cui sfondato, a mosaico, è figurato il Crocifisso, con la Madre vergine e col Discepolo diletto, e più ai lati, in ginocchio, quinci e l’immagine del doge e quindi quella della moglie sua, assistiti dai santi omonimi, cioè dall’arcangelo San Michele e dal Battista. Più basso, di tutto rilievo, per testa ed ai piedi sono due diaconi cogli incensieri in mano. Nel prospetto dell’arco vi è San Marco e Davide, lavorati pure a mosaico, e in basso rilievo stanno sotto a questi lo scudo del Morosini, e sopra l’eterno Padre. Coronano l’arco alcuni arabeschi portanti altre immagini di santi, e in cima torreggia la statua dell’arcangelo Michele. Fiancheggiano il monumento due operosissime guglie cariche di arabeschi e statuine; e nei superiori tabernacoli stanno collocati i simulacri di Maria e dell’Angelo annunziante. Sotto al feretro si legge questa inscrizione :

INCLITA VITALES MICHAEL QVEM DVXIT IN AVRAS
MAVROCENA DOMVS, VENETVM DVX CIVIBVS INGENS
SPES ERAT, ALTA PARANS, INTERCIPIT ARDVA FATVM
CEPTA DVCIS VIRTVTE POTENS, FVIT ENSIS ACVTVS
IVSTICIE. HEV MORIENS PATRIE PER SECVLA LVCTVS
QVA CINIS EST IACET HIC, MENS GAVDET FAMA CORRVSCAT.
M.CCC.LXXXII . DIE XVI . OCTVBRIS FVIT SEPVLTVS.
DVCAVIT MENSIBVS QVATVOR . DIEB . QVINQ.

Il doge Francesco Morosini, nacque nel 1618 da Pietro procuratore di San Marco, e di soli 18 anni si applicò alla militar disciplina, imbarcandosi come nobile sulla galea di Pietro Badoaro, capitano della guardia di Candia. Tre anni dopo, cioè nel 1639, combatté nel fatto della Vallona, contro i pirati che infestavano l’Arcipelago; e l’anno appresso passò sopraccomito di galea, e fu spedito a Messina ad incontrare il principe Ludovisi, generale di santa Chiesa. Il suo valore apparve più spiccato nel 1645, nella battaglia combattutasi a Milo, ove abbordò una nave sultana sottomettendola: poi nel 1647, promosso governatore di galeazza, difese la breccia fatta dai Turchi alle mura di Candia, richiamando, col suo esempio, le milizie che l’avevano abbandonata. L’anno appresso, pugnando ai Dardanelli, sottomise una galeazza nemica, sicché, a premio del suo valore, l’anno dopo, fu nominato capitano del Golfo. Eletto, nel 1654, alla carica di capitano delle galeazze, pugnò a Trio, e nella battaglia data nelle acque di Paros, fece schiavo il rinegato Nicolò di Natalino Furlano, grande almirante delle navi ottomane, e fece cattivi altri cinquecento infedeli, predando la sua nave, munita di settantacinque cannoni, e disfece la galea del capudan-pascià. Fatto provveditore dell’armata, nel 1653, prese la galea del bei di Cipro, ed altri legni nemici carichi di munizioni e di vettovaglie. L’anno dopo combatté ai Dardanelli, sottomise Egina, prese due saicche cariche di biscotto, e rese tributarie Scopulo ed altre isole. Tornò l’anno seguente ad Egina e vi distrusse tutti i munimenti guerreschi; acquistò le fortezze di Volo e di Megara, e nelle acque della Prevesa catturò tredici galeotte. Eletto, nel 1656, governatore e generale in Candia, disperse la flotta turca, che ne bloccava il porto, obbligandola ad abbandonar l’Arcipelago. Perito miseramente, nella battaglia datasi ai Dardanelli, nel 1657, il generalissimo Luigi Leonardo Mocenigo, fu a lui sostituito il nostro Morosini; il quale soggiogava, l’anno appresso, l’isola di Canea ; e nel seguente si impadroniva di Calamata, fugava la flotta nemica nelle acque di Samo, correva le coste della Natolia, conquistava li castelli di Torm, di Cismes, di Ruggio, recandosi a svernare a Milo. Nel 1660, tentò di dare assalto improvviso al campo turco, sotto Candia; ma le truppe che aveva poste a terra furono avviluppate e poste in fuga prima che potessero occupare posizione vantaggiosa. Di tale sinistro accusò il Morosini il provveditore Antonio Barbaro, e quindi lo puniva di bando capitale. Ma il Barbaro volò a Venezia, si discolpò e fu assolto; ed in quella vece il Morosini fu richiamato e rimosso dal supremo comando, vedendosi obbligato a difendersi da gravi imputazioni, dalle quali si lavò e fu dichiarato innocente. Nel 1663 fu eletto provveditore in Friuli, indi provveditore di armata; e nel 1667, per la seconda volta, era designato generalissimo del mare, recandosi alla difesa di Candia. Per quasi tre anni, durante i quali il Morosini ritardò la caduta di quella città, fece prodigi di valore, operando ciò tutto si poteva fare a salute di quella misera terra, onde a premio veniva eletto nel 1668 cavaliere di San Marco; ma alfine cedere dovette alla necessità prepotente, abbandonato da ogni aiuto, e cesse la piazza a condizioni onorevolissime, stabilendo in pari tempo la pace. Ripatriato che fu, il 20 settembre 1669 venne creato procuratore straordinario di San Marco de supra; ma venendo tosto accusato siccome violatore delle patrie leggi ed usurpatore della sovrana potestà, perché senza permissione del Senato aveva ceduto Candia e fermata la pace, fu inquisito, e per la difesa eloquente di Giovanni Sagredo e di Michele Foscarini fu assolto pienamente. Venne poi eletto savio del consiglio; e nel 1678 revisore alle fortificazioni in Terraferma; passando nel I683 provveditore generale in Friuli. Rottasi nuovamente, nel 1684, la guerra colla Porta ottomana, veniva per la terza volta, eletto il nostro Morosini a capitan generale. Salpò nel mese di luglio, e corse subitamente ad assediare Santa Maura, e se ne impadronì in capo a sedici giorni; prese poscia Nicopoli, occupò la Prevesa e il Zeromero. L’anno dopo, conquistò Corone, Calamata, Zarnata, Chiefalà, Passavà e la fortezza delle Gomenizze, ed in ogni incontro riportò sopra i nemici vittoria. Nella campagna del 1686, fugò l’esercito turco sotto Chiefalà, prese Napoli di Romania, Navarino, Modone, Argos ed altri luoghi. L’anno dopo disfece l’oste turca, prese Patrasso e Lepanto, e, con lo flotta del golfo, casteI Tornese, Misistra ed altre terre, traducendo cattivi da circa tremila nemici. Poi acquistò Corinto ed Atene, la quale ultima città bombardando, a grande sventura, da lui stesso compianta, sofferse mina gran parte del tempio famoso di Minerva, il Partenone. Tante splendide vittorie valsero a far sì che, con nuovo esempio, il Senato decretasse la erezione del suo busto fuso in bronzo, nelle sale d’armi del Consiglio dei dicci, e gli valsero il soprannome di Peloponnesiaco. Poco appresso, passato alla seconda vita il doge Marc’Antonio Giustiniano, quantunque assente il Morosini dalla patria, fu eletto a succedergli, come più sopra dicemmo, ove pur narrammo quanto poscia operò sendo doge, finché venne a morte nell’età sua d’anni 76, dopo sei anni circa di principato. Il Morosini fu un eroe che illustrò la patria e la fece splendere di gloria non peritura, e la storia narra essere stata la sua morte pianta sinceramente dall’armata, la quale aveva sempre ammirato in lui il valoroso guerriero, l’esperto capitano, il padre dei suoi soldati, l’ottimo cittadino; e narra del pari che la città tutta fu a quell’amara notizia immersa nel lutto. Pure fu chi detrasse alla sua fama, propagando alcuna satira. Una di queste conserviamo in un codice cartaceo di Miscellanee, scritta in centottanta versi scipiti, in forma di dialogo, i cui interlocutori sono, il Morosini, Caronte, una scolta d’Averno, Pioto ed i soldati morti in battaglia. Incomincia : Caronte, olà, Caronte. Finisce: Giuro che questo a le fido consegno.

Il sepolcro del Morosini è situato poco lungi dalla porta centrale della chiesa di Santo Stefano, nella navata maggiore. Il sigillo è ricco d’ornamenti in bronzo fusi da Filippo Parodi, e reca questa inscrizione :

FRANCISCI MAVROCENI
PELOPONNESIACI
VENETIARVM PRINCIPIS
OSSA MDCXCIV. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Campo Rialto Novo, 524 (San Polo) – Campo San Simeon Grando, 929 (Santa Croce) – Riva del Vin, 723 (San Polo) – Riva del Vin, 723 (San Polo)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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